A 60 anni si è anziani?
In occasione del 63° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, che si è tenuto alla fine di Novembre del 2018 a Roma, è stato enunciato come l’anzianità si sia posticipata, creando grande scalpore e numerose segnalazioni da parte di programmi televisivi e giornali.
Infatti, il concetto di anzianità è stato definito in una maniera più dinamica, con la soglia che si aggira tra i 65 e i 75 anni. Ciò è dovuto al fatto che le performance mentali e fisiche della donna e dell’uomo che vivono in Paesi altamente sviluppati come il nostro, sono cambiate rispetto al passato. Una prima definizione di vecchiaia è stata attribuita da Otto Von Bismarck, che indicò i 65 come soglia di anzianità, anche se ciò è stato smentito da fonti autorevoli.
Le motivazioni dietro la scelta di Otto Von Bismark non trovano fondamento nella scienza, ma bensì in un questione di praticità. Infatti, in quell’epoca, erano pochi a raggiungere tale soglia d’età e, il cancelliere tedesco dal canto suo, si preoccupava delle pensioni. Questa definizione, però, è stata sostenuta per lungo tempo, grazie alla convinzione in merito all’esistenza di un limite fisiologico alla vita umana.
Secondo la scienza moderna, sono considerati anziani coloro che hanno raggiunto il 65esimo anno di età. Dato che la speranza di vita alla nascita è di gran lunga maggiore rispetto al passato, che è di 82 anni per gli uomini e di 85 anni per le donne, sono state definite due categorie di anzianità, una appartenente alla terza età e l’altra alla quarta età. Con terza età si intendono quelle persone con più di 65 anni caratterizzate da condizioni buone di salute, disponibilità di risorse e inserimento sociale. Per quanto riguarda la quarta età, invece, si sostanzia in decadimento fisico e dipendenza dagli altri.
Un’altra modalità impiegata per suddividere l’anzianità in fasi è attraverso la divisione in quattro sotto gruppi. Si parla di giovani anziani (età compresa tra i 65 e i 75 anni), anziani (75-84 anni), grandi vecchi (85-99 anni) e centenari. La SIGG ha proposto di cambiare il concetto di anzianità, spostando a 75 anni l’età corretta per definire anziana una persona. Secondo uno studio, infatti, un 65enne dei giorni nostri tende ad avere una forma cognitiva e fisica di un 40enne di 30 anni fa, mentre un 75enne di oggi ha quella di un 55enne di 40 anni fa. Probabilmente è corretto alzare la soglie di anzianità considerando le aspettative di vita dei Paesi più sviluppati economicamente. Secondo i dati demografici, in Italia l’aspettativa di vita è aumentata di ben 20 anni rispetto al secolo scorso.
Ciò è testimoniato anche dal fatto che la popolazione con età compresa tra i 60 e i 75 anni tende a non avere malattie e ad essere in ottima forma, grazie al ritardo dell’età di morte e dello sviluppo di malattie.
Considerando che la popolazione italiana è sempre più longeva ed anziana, i più disillusi potranno pensare che la proposta formulata dalla SIGG sia finalizzata ad aumentare gli anni anagrafici necessari per andare in pensione. Nonostante ciò, questo aspetto non sembra essere previsto negli argomenti discussi dalla SIGG, ma è bene considerare che il mutamento della soglia di anzianità potrebbe realmente rivoluzionare i concetti di invecchiamento attivo e di anzianità, non solo a livello sociale ma anche culturale.
Quando si diventa anziani
Già a partire dal 2010, il Corriere della Sera dichiarava che la terza età cominciasse a partire dai 75 anni. E’ sicuramente anacronistico affermare che i 65enni siano degli anziani, in quanto quest’ultimi tendono ad avere una forma dei cinquantenni di 40 anni fa. La London School of Economics ha svolto un’indagine intervistando più di dieci mila over 65 provenienti da vari Paesi. Da questo studio è emerso come due intervistati italiani su tre non si sentano in alcun modo anziani. Quasi la metà degli intervistati, invece, credono che la vecchiaia inizi dal compimento degli ottant’anni.
Anche l’Università di Goteborg ha effettuato una ricerca, dimostrando che i 70enni dei giorni nostri sono più in forma rispetto a quelli di 30 anni fa. Infatti, i primi conquistano risultati migliori nei test cognitivi e di intelligenza, sicuramente grazie al fatto che sono più attivi, curati e colti rispetto al secolo scorso. E’ difficile, però, attribuire la definizione di vecchiaia esclusivamente a coloro che hanno varcato la soglia degli 80 anni, ma sicuramente siamo riusciti a guadagnare almeno dieci anni, dato che la terza età si raggiunge ormai al compimento dei 75.
Nel nostro Paese la situazione è decisamente positiva, infatti l’aspettativa di vita è una delle più alte del pianeta. Questo dato dimostra che viviamo bene e che è più probabile arrivare a 75 anni in buona salute da noi che altrove.
La rivista Scientific American si poneva una serie di questioni in merito all’anzianità, ad esempio sul come gestire gli inevitabili cambiamenti quando giungono i guai della vecchiaia. A tal proposito è sicuramente fondamentale cercare di stare bene evitando di lasciarsi andare, quindi avere interessi, mantenersi attivi fisicamente e mentalmente, ma accettando, allo stesso tempo, i nuovi limiti. Solamente con un approccio sano alla vita è possibile rendere lieve il peso degli anni, senza dover pensare alla perdita di ciò che non si ha più. Un fenomeno negativo che può prendere il sopravvento in questa fase delicata della vita prende il nome di ‘ageismo‘ e consiste nella rassegnazione verso l’avanzare dell’età. L’ageismo può tradursi nell’anziano che pensa che curarsi non valga la pena, anche quando incorrono problemi seri.
Nonostante ciò, la spesa sanitaria italiana è indirizzata alle persone anziane e molto anziane per il 40%. La nostra spesa sanitaria risulta inferiore rispetto alla media europea del 10%, con i costi a carico del paziente che risultano più alti.
Per quanto riguarda le altre parti del mondo, è chiaro che la soglia di anzianità a 75 anni non valga per tutti. Basti pensare che in Africa questa è al di sotto dei 75 anni. Ciò significa che la proposta di alzare tale valore assume una valenza meramente locale, che non è finalizzata al mutamento dell’età del pensionamento, in quanto quest’ultima deve considerare una serie di fattori relativi il contesto lavorativo, lo stato reale di salute dell’individuo, la platea contributiva nel suo insieme e le compatibilità economiche.
Anche se noi italiani possiamo vantare una speranza di vita piuttosto alta, non bisogna sottovalutare il fatto che gli anni vissuti con disabilità sono ancora troppi, in particolar modo nel sud Italia.
Cosa vuol dire vecchiaia
E’ abbastanza evidente che la Geriatria non sia realmente interessata a definire delle specifiche soglie di anzianità, soprattutto a causa delle implicazioni sanitarie e politiche che ne deriverebbero. L’importante, d’altronde, è migliorare l’appropriatezza e la qualità del cure e dell’assistenza a disposizione degli anziani. Sicuramente l’ospedalizzazione e la multimorbilità sono un problema evidente nella categoria degli over 75.
L’anziano, d’altronde, non andrebbe definito esclusivamente come una categoria medica, ma piuttosto come una socio-demografica. Ciò significa che i geriatri, ovvero coloro che studiano i problemi di salute delle persone anziane, e i gerontologi, ovvero chi studia la biologia dell’invecchiamento, non sono in grado di stabilire scientificamente un’età precisa in cui si entra nella terza età. Più che altro l’anzianità andrebbe valutata in relazione a chi la vive o la sta attendendo in prima persona, quindi considerando come esso si comporta e ciò che percepisce.
Gli italiani tendono ad ammalarsi di più non solo perché vivono a lungo, ma anche a causa della diffusione crescente di malattie croniche, incluse quelle disabilitanti. Parliamo di un fenomeno sempre più predominante nello scenario mondiale che, nonostante ci sia un miglioramento generale delle aspettative di vita, vi è un peggioramento notevole riguardo le condizioni di salute dell’uomo. Questo è stato dimostrato attraverso uno studio del Global Burden of Disease, ovvero un consorzio internazionale che comprende più di mille ricercatori provenienti da ben 120 Paesi del mondo.
Da questi dati raccolti è stato dimostrato come anche in Italia la situazione stia peggiorando in modo sensibile, almeno rispetto a una parte d’Europa. Una particolare attenzione andrebbe posta in merito alla differente longevità tra i due sessi, infatti la donna tende a vivere maggiormente, ma con più disabilità.
I risultati del suddetto studio hanno realizzato delle stime adottate anche dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, al fine di stabilire priorità d’intervento e di ricerca.
In definitiva, una grande fetta della popolazione italiana si sta sempre meno curando e sempre più ammalando, a discapito della produttività del Paese. In questo modo stiamo rischiando di instaurare un circolo vizioso in cui effetti e cause della crisi si alimentano tra loro. Per risolvere queste importanti problematiche è necessario riferirsi a dati scientifici concreti. D’altronde sono ancora mancanti dei seri piani di prevenzione per le patologie croniche che investono l’anziano, causandone la disabilità, e modelli di cura qualificati. Sicuramente sarebbe utile includere nell’educazione obbligatoria dei giovani italiani lo studio alla salute, che riguardi in particolar modo la prevenzione sia nei primi anni di vita, che nel corso di quest’ultima.
Se sei interessato all’argomento e vuoi saperne di più, ti invitiamo a leggere il nostro articolo su l’invecchiamento attivo.
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