Ageismo, la discriminazione silenziosa
Nel mondo, il termine “ageism” è piuttosto noto, mentre la sua traduzione italiana, ovvero la parola ageismo, è decisamente meno conosciuta.
Questa, tuttavia, non è affatto una mera curiosità linguistica, ma è indice del fatto che tale tematica è molto trascurata nel nostro Paese, anzi si potrebbe affermare che in molte occasioni, in Italia, l’ageismo è perfino ben accettato dal tessuto sociale.
Ma che cos’è, esattamente, l’ageismo?
Cosa significa “ageismo”
Il suffisso “-ismo” è applicato in molteplici parole italiane e ricorre molto spesso anche in termini che indicano delle forme di discriminazione, come “razzismo” e “sessismo”.
Razzismo significa, appunto, discriminare una persona per la razza di appartenenza (in realtà non è neppur corretto affermare questo, dal momento che l’unica e sola razza esistente è quella umana), il sessismo invece si configura quando una persona è discriminata per via del suo genere.
Il discorso è del tutto analogo per quel che riguarda l’ageismo: quando si verifica l’ageismo, infatti, la persona subisce una discriminazione per via della sua età, pressoché nella totalità dei casi perché la sua non è più un’età giovane.
Come si diceva l’ageismo trova, in Italia, un tessuto piuttosto fertile, per molteplici ragioni: gli aspetti normativi, spesso correlati con il mondo del lavoro, sono quelli più oggettivi, ma vi sono anche fattori sociali, sicuramente più subdoli e difficilmente dimostrabili, che contribuiscono a rendere concrete queste forme di discriminatorie.
Gli aspetti sociali che non scoraggiano l’ageismo
A livello sociale l’ageismo si fonda su molteplici aspetti, in primis sulla forza di determinati stereotipi secondo cui dedicarsi a determinati tipi di divertimento, di sport e di hobby sia un qualcosa di inopportuno per chi non ha più un’età giovane, un approccio, questo, che si fonda chiaramente su delle mere generalizzazioni.
Anche nella sfera relazionale l’ageismo si concretizza molto spesso: già in età oggettivamente giovane, ad esempio a 40 anni, si tende a considerare anomalo il fatto che una persona non abbia alcun legame sentimentale, immaginiamo dunque quanto pregiudizio possa esservi in tal senso per una persona che ha superato i 50 o i 60 anni.
Mentre le persone giovani hanno modo di coltivare e di sviluppare la loro rete sociale e relazionale praticamente in qualsiasi contesto, chi non è più giovanissimo deve ridurre in maniera radicale gli ambienti potenzialmente utili da questo punto di vista, non a caso gli incontri, soprattutto quelli finalizzati alla nascita di una relazione sentimentale, in quest’età tendono ad essere molto inquadrati, ad essere strutturati in contesti specifici per over 50, per over 60 e via discorrendo.
Ulteriori parentesi potrebbero aprirsi per i pregiudizi correlati alle coppie, ma in realtà anche alle semplici amicizie, in cui vi sono delle differenze d’età piuttosto forti: il diffuso luogo comune vuole infatti che la persona più giovane intrattenga la relazione per interessi economici, o comunque per fini arrivistici o materialistici, e che la persona più grande sia invece interessata principalmente alla bellezza estetica del partner.
Combattere l’ageismo dal punto di vista sociale
Tutte le forme di discriminazione si fondano su luoghi comuni e credenze sociali del tutto prive di fondamento, e lo stesso avviene nell’ageismo.
Le questioni di cui si è detto fino ad ora hanno una natura sociale e sarebbe senz’altro difficile dimostrarle in modo chiaro, essendo aspetti che riescono ad essere colti solo vivendo la quotidianità di chi è in una condizione potenzialmente oggetto di discriminazione.
Dinamiche quali quelle citate, ovviamente, non costituiscono di certo la “regola”, altrimenti si cadrebbe allo stesso modo in banali generalizzazioni, tuttavia vi sono tantissimi studi di psicologia sociale ed esperimenti sociali che dimostrano come le discriminazioni dovute all’età, come anche al genere, alle caratteristiche fisiche e quant’altro, siano purtroppo estremamente diffuse.
Per combattere l’ageismo, ovviamente, non potrebbe esserci comportamento migliore di smettere di giudicare gli altri senza neppur conoscerli e, dall’altro lato, fare tutto ciò che piace, ovviamente senza mai mancare di rispetto agli altri, senza badare ad eventuali giudizi.
È proprio il timore del giudizio altrui a costituire un “nodo” particolarmente critico: la forza dei pregiudizi, purtroppo, porta tantissime persone a compiere delle rinunce, limitando le loro opportunità e il loro potenziale, e questo è sicuramente uno dei risvolti più negativi.
L’ageismo sul posto di lavoro
Come si diceva in precedenza il cosiddetto “ageism in the workplace”, ovvero l’ageismo sul posto di lavoro o anche nella ricerca di lavoro, è quello più evidente, oltre che uno dei più gravi.
La sfera lavorativa, ovviamente, è un elemento di fondamentale importanza nella vita di una persona, ragion per cui la rilevanza di queste discriminazioni è assolutamente indiscussa, ma a questo riguardo c’è da aggiungere anche dell’altro: nel mondo del lavoro, infatti, l’ageismo non si concretizza soltanto con stereotipi e dinamiche sociali viziate, ma anche per aspetti normativi.
Gli aspetti normativi che favoriscono l’ageismo lavorativo
Le leggi sono, probabilmente, il luogo in cui meno di potrebbe immaginare di individuare delle forme di discriminazione, e in effetti la necessità di cancellare ogni forma discriminatoria è un concetto che ricorre spesso nelle leggi in assoluto più importanti.
La Costituzione, ad esempio, rimarca la totale parità dei cittadini, senza trascurare molteplici leggi parlamentari in cui si fa chiaro riferimento al divieto di praticare qualsiasi tipo di discriminazione sul lavoro; anche a livello comunitario questo concetto è centrale, si pensi ad esempio a quanto enunciato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Ma com’è possibile, dunque, che si registrino delle discriminazioni nei confronti dei meno giovani?
Le discriminazioni, ovviamente, non sono messe nero su bianco, non esistono leggi in cui è scritto che chi è meno giovane debba essere svantaggiato, tuttavia molte norme hanno esattamente tali effetti.
Si tratta, infatti, di norme che hanno come ratio quella di agevolare l’assunzione di giovani, norme che però, nell’avvantaggiare una categoria di cittadini, ne penalizzano inevitabilmente un’altra.
Gli esempi sono davvero tantissimi, a cominciare dai contratti di apprendistato, i quali sono uno degli strumenti più utilizzati dalle aziende per assumere in maniera stabile, fino al programma Garanzia Giovani: in questi casi il limite per la fruizione dell’incentivo è di 29 anni.
Ma l’elenco di bonus “pro giovani” è ancora molto lungo, con forme di incentivo che prevedono tetti di 30, 35 o 36 anni, e anche alcune novità particolarmente recenti continuano ad andare verso questa direzione.
Occorre dire, per dovuta completezza, che vi sono anche alcuni sgravi dedicati agli over 50, opportunità che tuttavia risultano davvero esigue dinanzi a un così ampio ventaglio di opzioni rivolto alle assunzioni dei giovani.
Quelle in questione, come si diceva, nascono come forme di incentivo per l’assunzione dei più giovani, ma nei fatti privano di opportunità i cittadini di età più grande, essendo interesse comprensibile di ogni imprenditore quello di ridurre i costi; anche sugli incentivi over 50, in realtà, si potrebbero avanzare delle legittime obiezioni, chiedendosi perché debbano escludere una persona che ha, ad esempio, 48 anni.
“Ageism in the workplace”: gli aspetti sociali
Ad aggravare ulteriormente il quadro dell’ageismo sul posto di lavoro vi sono inoltre ulteriori stereotipi, come il voler prediligere lavoratori giovani perché considerati a priori più energici, più avvezzi all’uso delle tecnologie, più flessibili nella loro operatività e via discorrendo. Se nelle assunzioni pubbliche si devono rispettare determinate procedure concorsuali, nelle assunzioni private la scelta del lavoratore è a totale discrezione dell’imprenditore, di conseguenza, sebbene vi siano molteplici principi normativi di non discriminazione di cui si è detto, gli stessi possono in questi casi essere aggirati senza alcuna difficoltà.
Contrastare l’ageismo sul lavoro
Quello che emerge, dunque, è un vero “marasma” normativo, una burocratizzazione che di certo non agevola i datori di lavoro e che potrebbe essere facilmente risolta applicando quanto disposto dalle leggi gerarchicamente superiori: nel mondo del lavoro non può concretizzarsi alcun tipo di discriminazione, di conseguenza se si vuol perseguire il senz’altro utilissimo obiettivo di ridurre il costo del lavoro, questo dovrebbe esser fatto per tutti i cittadini, senza nessuna distinzione correlata all’età, al genere o a quant’altro.
Sarebbe senz’altro questa la miglior soluzione per combattere l’ageismo e qualsiasi altra forma di discriminazione, senza ovviamente trascurare tutti gli aspetti sociali di cui si è detto.
Resettare l’approccio culturale
L’ageismo, dunque, è un problema assolutamente reale che merita di essere affrontato con tutta l’attenzione del caso.
Ciò che si nota è il fatto che mentre determinate tipologie di discriminazione, per quanto ancora purtroppo presenti nella società, sono quantomeno riconosciute come tali dai più, altre non vengono neppure considerate per ciò che realmente sono e ciò non fa che renderle ancor più temibili; l’ageismo, purtroppo, sembra essere tra queste.
Ma alla luce di questo, dunque, come combattere l’ageismo?
Sicuramente è fondamentale acquisire un nuovo approccio culturale, partendo da questa considerazione: in epoche lontane, quando l’aspettativa di vita era molto più bassa, i lavori erano prettamente fisici e le opportunità non solo professionali, ma anche di sviluppo personale, erano di gran lunga inferiori rispetto ad oggi, poteva avere un qualche senso reputare ormai inadatta al lavoro una persona non più giovane.
Ma oggi, in un’epoca di grandi sviluppi tecnici e tecnologici, un’epoca in cui tantissimi lavori sono svolti con la mente piuttosto che col fisico, un’epoca in cui i progressi medico-scientifici hanno innalzato notevolmente l’aspettativa di vita e soprattutto la qualità della stessa, come si può credere che una persona sia “vecchia” quando è ancora nel pieno della sua vita e delle sue capacità?
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