Una buona gestione finanziaria somiglia sempre più a cucinare un risotto
Qualcuno si sta domandando, ma se gli unici investimenti passibili di rendere qualcosa sono azionari, cosa facciamo con i profili di rischio più bassi che, almeno in teoria, non dovrebbero contemplare un asset class così volatile? Quello che rimane – le obbligazioni, i bot e il mattone che hanno sostenuto la quieta vita finanziaria delle generazioni che ci hanno preceduto – sono al capolinea, per il momento. I rendimenti sono al minimo, i prezzi dei titoli crescono e l’inflazione galoppa. Di fatto, l’unico asset ancora praticabile con speranza di cavarne qualcosa è di tipo azionario. Ma l’azionario prevede un rischio più alto.
Che fare allora? Forzare i profili di rischio della clientela per farci stare dentro l’azionario? Ma non si può, è come far stare Don Abbondio nei panni di Don Rodrigo.
Che cosa sono i Mifid?
Innanzitutto facciamo un passo indietro e vediamo come sono profilati i clienti di una gestione finanziaria oggi. Si usa un questionario Mifid, Markets in Financial Instruments Directive, l’insieme di regole e requisiti introdotte dalla Direttiva UE 2014/65 con l’obiettivo di dare più trasparenza al mercato e tutelare i risparmiatori. Qualche malevolo sostiene che invece, per come è stato pensata e realizzata, la profilazione Mifid protegga più gli intermediari, che adottandola hanno modo di provare la propria attenzione al cliente, che i risparmiatori.
Come funziona il Mifid?
Chi dei lettori investe lo saprà: l’intermediario, non solo la banca ma anche un consulente indipendente, nonostante non maneggi il denaro del cliente, deve sottoporre i propri clienti a un questionario allo scopo di identificarne la preparazione finanziaria e la tolleranza al rischio, flussi di reddito e patrimonio, abitudini pregresse di investimento.
Il risultato deve consentire all’intermediario di identificare il livello di rischio cioè capire quanto il cliente in questione è disposto a perdere in un anno senza che ciò metta a repentaglio il suo ménage familiare o la sua tenuta emotiva.
“Se dovessimo davvero prendere alla lettera i profili di rischio Mifid, i nostri clienti dovrebbero investire solo in conti correnti e, al massimo, Bot” commenta l’Avv. Roberto Lenzi, Patrimonialista. “Tutti i profili di rischio sono inevitabilmente forzati in Italia, altrimenti non si potrebbe quasi mai contemplare il mercato azionario e non solo quello. Perché alla fine l’Italia è un Paese di risparmiatori più che di investitori, con scarsissima cultura finanziaria, scarsissima attitudine al rischio e tolleranza allo stesso. Ma la vera assurdità sta nel fatto che la stessa persona può avere profili di rischio diversi in banche diverse, e persino nella stessa banca, a seconda di come viene compilato il questionario. Il profilo di rischio, per avere un senso, dovrebbe essere unico, stabilito a monte da Consob per ogni risparmiatore, e omogeneo a prescindere dagli intermediari.”
Di fatto, in qualche modo è davvero tutto opinabile, tanto che finisce per investire in azioni anche chi non ne avrebbe l’inclinazione.
Rivedere i profili di rischio è impensabile. Non è il cliente che si deve adattare al mercato, è il gestore che deve adattare il rischio del mercato al profilo del cliente. C’è modo di contenere il rischio, rinunciando talvolta a un rendimento di breve termine dettato da un improvviso rimbalzo del mercato, ma soprattutto attraverso una gestione attiva e un controllo dinamico. L’asset management efficace assomiglia sempre più a fare un risotto piuttosto che buttare la pasta.
“Non ci sono prodotti sicuri, ci sono gestioni oculate” dice Eugenio De Vito, CEO di 4Timing Sim, società di consulenza finanziaria indipendente. “E asset class che vanno assortite nella logica di una differenziazione intelligente: decorrelata, cioè composta di asset class che non rispondono in modo uguale agli stessi stimoli del mercato, e rispondente a ruoli e orizzonti temporali diversi. Il vecchio 60/40 tipico del portafoglio classico, 60% obbligazioni e 40% azioni, negli ultimi decenni non ha funzionato, perché nemmeno le obbligazioni sono davvero sicure. Dicono tutti che da vent’anni le obbligazioni salgono, vero, ma a fronte di tassi che scendevano; vuol dire che l’obbligazione è salita per effetto del ribasso dei tassi di interesse. Quindi se i tassi scendono, il BTP decennale che ha un tasso fissato precedentemente, cresce di prezzo perché diventa molto appetibile, ma di per sé non è necessariamente un investimento sicuro come si crede. Infatti adesso sta succedendo l’esatto contrario: i tassi salgono per effetto della politica monetaria temporaneamente restrittiva e i prezzi scendono.
Ma le obbligazioni rendono ancora?
Per converso non è vero nemmeno che le obbligazioni non diano rendimenti. Il mercato obbligazionario adesso scende in termini di prezzo, ma sono saliti i rendimenti. Le recenti emissioni di BTP Italia decennali agganciati all’inflazione daranno un rendimento assolutamente ragguardevole, specie se l’inflazione verrà calmierata nel tempo, ma bisogna vincolarsi per 10 anni. Se nei prossimi 10 anni i tassi continueranno a salire per effetto della politica monetaria, quel BTP scenderà di prezzo e sarà meno appetibile del nuovo BTP che avrà un tasso superiore.”
E’ quello che osservava un paio di mesi fa il Sole 24 Ore a proposito del collocamento del BTP decennale Italia del 2022 agganciato all’inflazione, con un tasso minimo garantito dell’1,6% a cui aggiungere, semestre dopo semestre, l’adeguamento al caro-vita, oltre a un premio del 0,4% per chi tiene il titolo per i primi quattro anni e un ulteriore 0,6% per chi lo tiene fino a scadenza. Il che porta il rendimento medio all’1,7% sui quattro anni e all’1,725% sulla durata completa. Confrontandolo con altri BTP non inflation linked, si notava che i BTP tradizionali già quotati sul mercato ai valori attuali avrebbero lo stesso rendimento finale qualora la media dell’inflazione in Italia si attestasse per i prossimi quattro anni all’1% annuo. Nel caso l’inflazione dovesse risultare superiore, cosa che in molti si sentirebbero di prevedere anche se non ai livelli attuali, il BTP Italia vincerebbe il confronto con i BTP tradizionali.
In generale, più che sul tasso di rendimento, il risparmiatore dovrebbe basare le scelte d’investimento sull’orizzonte temporale, il livello di rischio e la certezza di una gestione accurata.
“A parità di condizioni ovviamente prevarrà il rendimento migliore, non maggiore”, commenta Francesco Priore, decano della consulenza finanziaria. “Migliore per il reddito fisso significa inflation-linked. Con l’inflazione attuale converrebbe anche un tasso inferiore a quello dei titoli di Stato italiani, purché ancorato all’inflazione. Se l’obiettivo è preservare il patrimonio a lungo termine, una gestione in fondi può essere un ottimo strumento: si tratta di un investimento in titoli rappresentativi di beni reali, soggetti al mercato e alla volatilità, per questo richiedono la cura di un gestore professionista. Altrettanto vale per accumulare un capitale, uno strumento che non ha mai tradito è il piano di accumulo. L’obbligazione è un debito, pubblico o privato; se offre un tasso elevato, cioè al di sopra del mercato, significa che quel debitore è sull’orlo del fallimento, accetta di pagare dei tassi da usura, ma sa di non potersi rivolgere agli usurai, perché questi non accettano “dilazioni”. Questo tasso, il maggiore del mercato, è di fatto il peggiore. Purtroppo l’avidità, l’idea di essere più furbi, non l’asimmetria cognitiva, hanno rovinato infiniti risparmiatori. Non sempre persone semplici e lontane dai mercati, basta vedere quello che è successo a Roma di recente, a pochissima distanza dal caso Lande, il Madoff dei Parioli. Non può esserci un guadagno reale senza rischio, il lungo termine e la diversificazione gestita sono la salvaguardia del patrimonio; un guadagno promesso, fuori mercato, in genere fa fuori il patrimonio.
Qual è il vostro livello di rischio?
Il profilo di rischio deve essere valutato insieme a un professionista, un consulente finanziario, ma per cominciare a farvi un’idea potete fare questo esercizio di autocoscienza finanziaria.
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