Un fondo pensione a 50 anni conviene ancora?
Un dubbio lecito che va sciolto considerando vantaggi di diversa natura
Più passa il tempo e più la previdenza integrativa svolgerà un ruolo chiave per integrare il nostro reddito da pensione pubblica che prospetticamente coprirà tra il 60% e il 70% del nostro stipendio (usando ancora un parametro efficace seppure desueto dato il sistema di calcolo contributivo che ha sostituito quello retributivo). Lo sappiamo noi e lo sanno i governi che continuano a promuovere la pensione complementare attraverso agevolazioni e detrazioni fiscali.
L’invecchiamento progressivo del Paese, infatti, e la continua crescita dell’aspettativa di vita hanno mosso i governi a riforme che penalizzano i futuri pensionati rispetto a chi è già in pensione. O, per meglio dire, annullano quei vantaggi che lo Stato ha riconosciuto nel tempo ai pensionati più anziani che sono andati in quiescenza con il sistema retributivo, disponendo di un reddito che, moltiplicato per una longevità sempre maggiore, si è dimostrato ben superiore alla propria contribuzione. Privilegio che non ci possiamo più permettere perché la nostra denatalità è ormai così datata che non sono più solo i bambini a mancare, ma la forza lavoro di 35/40 anni, una quota importante di quella popolazione i cui contributi finanziano le pensioni dei contemporanei in quiescenza.
Questi cambiamenti non solo obbligano chi non l’avesse ancora fatto a riflettere sull’opportunità di iscriversi a una forma di pensione complementare, ma cambiano anche i vecchi termini di convenienza: in poche parole, secondo gli esperti non è mai troppo tardi, nemmeno a 50 anni, per accumulare risparmio per la vecchia e la forma più conveniente è ancora un fondo pensione.
Resta però un margine di variabilità che dipende dal tipo di persona e di reddito. Più alto il reddito, maggiore la convenienza di un fondo pensione, specie quando la detrazione consente di evitare lo scalone fiscale superiore. Ma anche dipende dalla capacità di investimento e relativo rendimento. Gli investitori avveduti che sanno come far rendere il proprio denaro potrebbero trovare alternative più efficienti. Il risparmiatore medio che, nel caso italiano soprattutto, finirebbe per lasciare il denaro risparmiato annualmente fermo sul conto corrente o, peggio, spenderlo per consumi superflui, troverà nella disciplina del fondo pensione una guida al risparmio per il futuro e nel trattamento fiscale un vantaggio che può fare la differenza se la scelta del fondo è oculata.
Come ben illustrato in questa infografica di Propensione.it, gli investimenti in fondi pensione sono naturalmente soggetti alle fluttuazioni dei mercati, per cui se un giovane lavoratore, forte della leva costituita dal lungo orizzonte temporale, può accedere a profili di rischio meno conservativi, un lavoratore cinquantenne può optare invece per linee più prudenti, obbligazionari o addirittura garantite, ovvero che assicurano quantomeno la restituzione di quanto versato. Ma con i fondi pensione è possibile anche scegliere di spalmare il risparmio su comparti diversi.
Orizzonte temporale
Vivendo e lavorando sempre più a lungo, si allunga anche il tempo in cui un fondo pensione fa il suo lavoro. Se lo sottoscrivo a 50 anni e davanti ho ancora 17 anni di lavoro è comprensibile come il tempo residuo sia ancora utile all’accumulo di risparmio. Inoltre, il fondo pensione può essere mantenuto attivo anche dopo il pensionamento, decidendo di posticipare la prestazione (purché ci si sia iscritti almeno un anno prima del raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia), così, per esempio, chi pur essendo pensionato continua a lavorare, potrebbe continuare a contribuire affidando al fondo pensione il ruolo di riserva utile per la seconda parte della quiescenza che ci vede esposti a maggiori fragilità e spese sanitarie e/o di assistenza.
Ricordiamo che la pensione integrativa si può riscattare solo dopo 5 anni dall’iscrizione.
In un contesto di continuo aumento dell’aspettativa di vita, il vantaggio della previdenza integrativa è la prestazione in forma di rendita vitalizia (a integrazione dell’assegno pensionistico pubblico) che permette di spostare il cosiddetto rischio di longevità da sé a un ente terzo che promette di corrispondere una cifra per tutti gli anni di vita dall’età pensionistica in poi. Naturalmente tra i vantaggi c’è anche la possibilità di ritirare parte del denaro accumulato per alcune necessità, come vedremo in seguito, ma ciò riduce ovviamente il tenore della rendita vitalizia.
Inoltre, ricordiamo che se la rendita pensionistica che si ottiene convertendo il 70% del capitale accumulato nel fondo risulta inferiore al 50% della pensione sociale (€ 530,37 al mese per il 2024), al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia si può incassare tutto il capitale accumulato nel fondo pensione in un’unica soluzione, eludendo la regola che vorrebbe al massimo il 50% del capitale accumulato in riscatto immediato e il restante 50% in rendita vitalizia.
Tenore dell’accantonamento
A 50 anni lo stipendio è tendenzialmente più alto e permette quindi di fare accantonamenti più importanti, tanto più se si è dipendenti e si ha accesso a un fondo chiuso con la possibilità di sommare a quanto autonomamente accantonato (contributo volontario + TFR) anche il contributo del datore di lavoro che spesso raddoppia o addirittura triplica il risparmio.
Come spiega bene un articolo di Altro Consumo: se un dipendente a fronte di 300 euro versati nel fondo, ne riceve altri 300 dal datore – un 1% su uno stipendio lordo di 30.000 euro – allora si ritrova 600 euro versati nel fronte. Dato che i 300 euro versati dal lavoratore sono deducibili, recupera anche 105 euro. Dunque, a conti fatti, il lavoratore ha sborsato 195 euro e se ne ritrova 600.
Detrazione fiscale
Come già dicevamo, l’accumulo di risparmio a scopo previdenziale è promosso e facilitato da politiche fiscali di favore che prevedono la detraibilità di quanto versato al fondo pensione fino a 5.164,57 euro l’anno e la tassazione sui rendimenti al 20% invece del 26% previsto per tutti gli altri strumenti finanziari (12,5% nel caso di investimenti in titoli di Stato), oltre a una tassazione agevolata anche nel momento del riscatto.
La sola detrazione annuale del denaro depositato sul fondo ai fini fiscali può essere importante. Come spiega bene Altro Consumo a questo link, se si hanno 40.000 euro di stipendio lordo annuo e si versano 1.000 euro in un fondo pensione, è come se il reddito fosse di 39.000 euro e su questa cifra si è tassati. Più si conferisce al fondo, più si abbassa il reddito su cui veniamo tassati. Per un reddito da 50.000 euro, l’aliquota marginale è il 35% – è quella si paga sulla porzione del reddito tra 28.000 e 50.000 euro – per cui si risparmia il 35% dei 1.000 versati nel fondo (350 euro). Quindi, nel fondo ci si ritrova 1.000 euro, ma in realtà l’esborso è stato di 650 euro.
Ricordiamo le nuove aliquote Irpef, ridotte da 4 a 3:
- 23% sui redditi fino a 28.000 euro;
- 35% sui redditi compresi tra i 28.000 e i 50.000 euro;
- 43% sui redditi che superano i 50.000 euro.
La detraibilità dalla base Irpef può essere particolarmente vantaggiosa quando l’importo in detrazione consente di mantenere il reddito al di sotto dello scaglione fiscale superiore.
Costi
Il vantaggio di un investimento in pensione integrativa va confrontato sempre e comunque (e questo vale per qualsiasi strumento di risparmio) con la portata dei costi di gestione che potrebbero, se superano una certa soglia, annullare i vantaggi fiscali.
Qui ci viene ancora in aiuto Altro Consumo, con una utile tabella costi del 2023, ma per queste valutazioni è utile appoggiarsi a un esperto o consulente:
Disponibilità del denaro accumulato
A qualunque età il denaro accumulato in un fondo pensione è disponibile a un riscatto parziale – fino al 75% per spese sanitarie importanti di tutta la famiglia e, con un’anzianità minima di 8 anni dall’iscrizione al fondo, anche per acquisto o ristrutturazione prima casa per sé o per un figlio. Ma anche, per altri scopi come gli studi di un figlio o di un nipote, fino al 30% di quanto accumulato.
In questo senso, sebbene non rappresenti la sua vocazione previdenziale, il fondo pensione offre la possibilità di un risparmio per future esigenze, con tassazione agevolata e la possibilità di detrarre l’importo annuo dal proprio reddito abbassando le tasse.
Anticipazione pensionistica
Il nostro lavoratore cinquantenne troverebbe inoltre un altro vantaggio nell’aderire a un fondo pensione. Quanto accumulato infatti potrebbe dargli diritto a un reddito pensionistico anticipato (R.I.T.A.) qualora dovesse perdere il lavoro a pochi anni dal raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (fino a 5 anni prima).
In sintesi
- Dato il continuo spostamento in avanti dell’età pensionistica, sulla scia del continuo aumento dell’aspettativa di vita, 50 non sono affatto troppi per iscriversi a un fondo pensione, avendo davanti ancora circa 17 anni di lavoro.
- I vantaggi fiscali della previdenza integrativa inoltre tendono ad aumentare con l’aumentare del reddito, cosa che si concilia con un’età già matura come i 50 anni e possono essere talvolta usati in modo strategico per evitare lo scaglione fiscale superiore.
- Inoltre il fondo pensione integrativo potrebbe essere concepito come una seconda rendita vitalizia (a integrazione di quella della pensione pubblica) da procrastinare oltre l’età di quiescenza per riservarla a un sostegno in più nella parte più avanzata della vecchiaia, quando maggiori fragilità posso esporre a maggiori spese.
- La valutazione della convenienza tuttavia è un’analisi composita e delicata che andrebbe affidata a un consulente specializzato che tenga conto del tenore del reddito, dell’aliquota di tassazione Irpef, dei costi di gestione del fondo, del reddito presunto da pensione pubblica, degli anni residui di attività professionale e della personalità finanziaria della persona.
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