Siamo spiriti incarnati e la vecchiaia fa parte della vita
Viviamo in una società che ci vuole energici, performanti, sempre sul pezzo a gamba tesa sui problemi, grintosi, fieri e chi più ne ha più ne metta. Una società che non ammette fragilità, fermo poi celebrarle come eroismi all’occorrenza. Quando c’è da cavalcare la battaglia del momento, per smuovere le acque torbide del conformismo in cerca di una trasparenza che non si può però raggiungere con l’agitazione, ma con il drenaggio costante di ciò che avvelena la limpidezza.
Malattie fisiche vs malattie mentali
Viviamo in una società in cui chi combatte una malattia fisica è un eroe e chi combatte una malattia mentale é un debole. Come se corpo e spirito non avessero lo stesso valore, lo stesso impatto nello sviluppo della persona.Come se la materia di cui siamo composti, essendo visibile, tangibile e misurabile, fosse l’unica unità di misura del benessere. Come se la malattia che afferisce alla mente e allo spirito, difficilmente misurabile e spesso invisibile, non fosse altrettanto degna di rispetto, cura e attenzione.
Tutti supereroi se un cancro aggredisce la nostra carne e tutti debosciati se aggrediti dal cancro dell’anima, che è più subdolo, altrettanto letale ma non gode del riconoscimento sociale di cui godono le patologie fisiche.
A dimostrazione del fatto che ancora non abbiamo interiorizzato il concetto di “spirito incarnato”. Siamo un connubio imprescindibile di materia e anima o mente o spirito o intelletto o qualunque sia il nome che desiderate dare a quella parte di noi immateriale. Non potremmo esistere senza una delle due.
Ma in un mondo materialistico, esasperatamente pragmatico, per facilità o per ignoranza, siamo tutti identificati nel bene e nel male con l’insieme di cellule che compone il nostro io evidente.
Spiriti o persone a metà
L’imprescindibile interconnessione fra la nostra mente e il nostro corpo però racconta un’altra realtà. Racconta una realtà di persone a metà. Persone che esistono, occupano uno spazio fisico, respirano e non vivono. Perché il loro male attacca la parte invisibile e non tangibile della loro persona e quindi non vi è riconoscimento. La narrazione della loro lotta è drogata dall’abilismo psicologico secondo cui se non riesci a combattere i tuoi mostri ad affrontare le tue paure a superare le tue difficoltà o sei un debosciato buono a nulla o, nella migliore delle ipotesi, sei un furbo scansafatiche.
Quando impareremo a guardare all’interezza della persona, forse riusciremo a ridare dignità a chi combatte un dolore che difficilmente si può sedare con un analgesico, un dolore che come un cancro divora la tua mente e per il quale non c’è flebo che tenga, un dolore che lacera l’anima nell’indifferenza di un contesto che banalizza e spesso ridicolizza, nutrendo l’isolamento.
Siamo spiriti incarnati, non siamo niente se lo spirito non ha un corpo e non siamo niente se il corpo non ha uno spirito.
Se uno dei due si ammala la vita può davvero diventare un’ardua impresa.
Va da sé che una società simile, in cui il riconoscimento della materia prevale sul valore dell’immaterico, non discriminerà culturalmente solo le fragilità psicologiche, ma inevitabilmente anche la vecchiaia in quanto percepita come declino fisico, cedimento di quella materia che è metro di validazione sociale e culturale.
Un corpo che si segna, che muta nella sua forma nei colori e nella sua prestanza, non lascia spazio alla teoria dei vasi comunicanti, in una società che non riconosce la compensazione naturale fra un seno meno turgido ed una coscienza più consapevole.
Pensare a noi stessi ultra cinquantenni come persone al loro massimo splendore, al 100% della nostra forma, laddove per forma si intenda l’insieme di corpo e spirito, in una società dove il 90% del valore è attribuito alla confezione e il 10 al contenuto, non è facile.
Se i parametri sociali rimangono rigidi sulle percentuali, sta a noi dimostrare che con l’avanzare degli anni quella relativa al corpo cala e quella relativa allo spirito sale così da risultare sempre un 100% pieno e soddisfacente.
Il doppio stigma sui senior
Noi senior viviamo spesso un doppio stigma però, perché oltre a soffrire di una silente invalidazione sociale legata al mutare della nostra forma, siamo anche vittime di quel retaggio culturale di cui ho parlato ad inizio articolo e tendiamo a non dare il giusto peso a malesseri e disagi emotivi e psicologici che si agitano dentro di noi e che a volte sono proprio legati all’invecchiamento che può portare crisi profonde per le quali un supporto può fare la differenza fra rassegnazione e godimento.
Ho attraversato le fiamme di una crisi profonda legata proprio al compimento dei miei 50 anni, quasi 8 anni fa ed ho imparato che la pienezza della vita sta nell’equilibrio delle due parti di me che si compenetrano e si compensano reciprocamente a meraviglia nel momento in cui dedico ad entrambe le giuste attenzioni.
E mentre mi occupo di me mi occupo del mondo intorno a me che contribuisco a cambiare per la parte che mi compete.
Ciascuno di noi ha il proprio pezzetto da fare per la felicità propria e per quella collettiva, che la felicità condivisa è la cosa più bella del mondo. Vedo la mia generazione così meravigliosamente attiva nello scardinare stereotipi e cliché sociali che sono fiera di esser parte di questa squadra di pionieri che finalmente racconta al mondo un nuovo modo di vivere la vita dopo gli anta.
Sii fiera anche tu di esserne parte.
La tua Vale Grey Model
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