Ritratti della musica: Riccardo Muti
«Voglio fare un appello al Presidente incaricato, Mario Draghi, persona straordinaria nel suo campo e uomo di grande cultura, affinché si apra
un nuovo capitolo decisivo per i prossimi decenni e per le prossime generazioni per riportare – attraverso la cultura – dignità al nostro
paese. Per dare ai giovani la consapevolezza di chi siamo. E questo non è nazionalismo stupido. Io sempre mi sono definito un “italico” e tra
gli anni ‘60 e ‘70 ero quello che parlava di bandiera, di patria, di valori. Quando la banda di Molfetta, dove sono cresciuto sino ai 17 anni,
suonava l’Inno nazionale mi venivano i brividi. E poi ho dovuto assistere per anni alla diatriba sul nostro Inno, se è brutto e da cambiare con
il Va’ pensiero, che non può certo sostituirlo perché è invece un canto solenne lento e grave di profughi, di schiavi, cantato sottovoce. Un
appello per la cultura a Draghi: che si moltiplichino le orchestre – non pretendo come in Germania dove ogni città o cittadina ha un teatro e un’orchestra, piccola o grande che sia – ma al servizio della comunità. In Italia ci sono poche orchestre, i nostri antenati ci hanno lasciato teatri
che sono chiusi da un secolo, un secolo e mezzo… Abbiamo privilegi che non stiamo sfruttando. Che si apra una nuova strada, non solo nel
campo dell’educazione, sanitario, sociale, ma anche in campo culturale. “Mens sana in corpore sano” dicevano gli antichi romani». Così nel febbraio scorso da Torino, Riccardo Muti, musicista e “italico” illustre si rivolgeva al neopremier Mario Draghi. Ma non è certo nuova a questi appelli, la coscienza civile del “Maestro”. Nel dicembre 2014 si fece addirittura il nome di Muti come successore di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. Una boutade, una provocazione, una bufala giornalistica? Di certo il quasi ottantenne Riccardo Muti (è nato a Napoli il 28 luglio 1941) per l’Italia è molto di più di un grandissimo direttore d’orchestra, di autorevolezza assoluta in patria e nel mondo intero. Le sue parole “pesano”. Come quando nell’ottobre 2020, alla seconda ondata di pandemie che richiuse teatri e sale da concerti dopo gli sforzi estivi della riapertura, si rivolse all’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte con una lettera aperta sul Corriere della Sera: «Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo». Ma soprattutto, in questo anno di pandemia e lockdown, lontano da Chicago dove è l’amato “musical director” della mitica Chicago Symphony Orchestra, facendo base a Ravenna – città che lo ha“adottato” 40 anni fa e dove vive con la moglie Cristina – Muti ha fatto musica nel nostro paese, senza risparmiarsi.
I concerti come simbolo di resilienza
Ogni opera, ogni concerto, trasmessi necessariamente in streaming negli ultimi sei mesi, hanno avuto un valore simbolico. Il Concerto di Capodanno dalla sfolgorante Goldener Saal del Musikverein di Vienna, per la prima volta nella storia senza pubblico in sala a scandire con il battito delle mani il ritmo dei valzer, delle polke e delle marce degli Strauss. Le sette ultime parole di Cristo sulla croce di Franz Joseph Haydn
eseguite in quello scrigno di bellezza che è il teatro di corte della vanvitelliana Reggia di Caserta: «musica, natura, scultura, arte, bellezza: le ragioni per cui l’umanità dovrebbe esistere», sfociate in un libro conversazione con il filosofo Massimo Cacciari. O il Così fan tutte diretto da par suo – interprete mozartiano per eccellenza – a sostegno del commissariato Teatro Regio di Torino, con la regia della figlia Chiara. Poi la tournée in streaming con la “sua” Orchestra Giovanile Luigi Cherubini che ha fondato nel 2004. La musica sinfonica di Mercadante, Donizetti, Beethoven, Schubert e Dvořák da tre città e tre teatri in un viaggio ideale lungo la penisola: il Teatro Donizetti di Bergamo, il Mercadante di Napoli e il Massimo di Palermo. Dove ha dichiarato: «Impiegherò i miei ultimi anni a combattere per avere un Paese con tante orchestre in regioni come la Lucania, la Puglia, l’Abruzzo, il Molise, l’Umbria, la Sicilia, e per dare un futuro alle migliaia e migliaia di giovani pieni di entusiasmo e di slancio».
Il riconoscimento per una carriera lunga arriverà dal presidente Mattarella?
E il 19 giugno sarà all’Arena di Verona a dirigere Aida in forma di concerto in occasione del 150° anniversario dalla prima rappresentazione al Cairo nel 1871. Mentre sempre in giugno Warner Classics celebrerà gli 80 anni di Muti con un cofanetto di 91 CD che raccoglie tutte le sue incisioni di repertorio sinfonico, sacro e concertistico realizzate per EMI. Chissà se non sia giunto il momento in cui a Riccardo Muti – per i suoi
imminenti 80 anni magnificamente portati – potrebbe essere assegnato dal presidente Mattarella quello scranno di “senatore a vita” che dal 30
agosto 2013 al 20 gennaio 2014 (giorno della sua morte) fu di Claudio Abbado. Sarebbe un’ideale staffetta tra queste due grandi personalità
d’artisti nel segno della bellezza e della grande musica. E – finalmente – non di quella (presunta?) competizione per il primato del podio che li ha accompagnati per tutta la vita.
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