Quello della barba non è un rito come gli altri
Elogio di un rito obbligatorio cha parla agli altri di te, e a te parla di te… Curarsi la barba non è solo un dovere. Ma anche e soprattutto un rito. E non importa se l’abitudine è quella di usare rasoio elettrico, lametta e schiuma, lametta pennello e sapone, forbicine taglia pelo, o farsela fare dal barbiere. Né importa che tipo di barba ci si fa. Radersi vuol dire innanzitutto prendersi cura di sé e non per forza tagliarla a zero. Perché la decorazione che diamo al nostro volto può essere legata a una moda o un periodo della vita. Magari un nuovo inizio. Al di là dello stile, radersi è un atto simbolico, un rito di iniziazione che segna il passaggio fra l’adolescenza e la maturità (quantomeno quella biologica, non necessariamente esistenziale). Un uomo è uno “sbarbato” fino al giorno in cui rompe gli indugi, si guarda allo specchio impugna un rasoio e zàaac si auto infligge il primo taglio della bambinesca peluria.
Un rito che cambia l’uomo
Quel giorno sarà per lui un inizio senza fine. Diventerà dipendente da questo bellissimo rito che userà per comunicare come si sente, come si vede, come vuole apparire agli altri. Che piaccia o no, la barba è un codice fondamentale di un dialogo non verbale. Nel rito del taglio si annida la purezza dell’essere uomo, biologicamente uomo, non necessariamente eterosessuale. Perché radersi o spuntare il baffo riporta tutto alla realtà. Alla condizione primi genica. Sei tu da solo, davanti a uno specchio, ti guardi e in quel momento sai subito come stai veramente. Se sei davvero felice, sincero, se stai bleffando a te stesso e quindi agli altri. In quel momento in cui la tua faccia è riflessa in uno specchio e ti ritrovi a guardarla chiuso da solo in bagno sei vulnerabile. Spogliato del tuo ruolo di padre, amante, marito. Sei disarmato davanti a te e solo con te. Radersi può dimostrarsi un obbligo crudele: ti mette davanti alla verità. Alla tua verità. E diciamolo chiaramente a te stesso non puoi mentire,
anche se ci provi. Radersi è pura essenza di te, chiunque tu sia quel giorno. Non a caso, le persone che non sono felici o si “lasciano andare” si fanno crescere la barba (se solitamente si radono, che sia chiaro). Insomma, la barba è anche una cartina tornasole dell’umore e spartiacque fra l’essere in buona salute o non esserlo.
Nel significato del gesto, c’è poi la tecnica. La voglia di giocare, la voglia di apparire o di correggere i difetti del viso che si ha o l’immagine che si vuole dare di sè. Dubbi? Immaginate Russel Crowe ne Il Gladiatore rasato e sbarbato di tutto punto. Non sembrerebbe di meno quell’icona di uomo coraggioso impavido e disposto a sacrificarsi per vendicare la propria famiglia?
Insomma, sono infiniti e inutilmente elencabili i significati delle decorazioni che possiamo dare all’ovale con due occhi, un naso e una bocca. La nostra faccia e quindi la nostra barba (o la sua assenza), non sono altro che un modo per dipingere questa tela tridimensionale fatta di pelle.
Una volta i cliché erano più o meno questi: barba sfatta: sono in vacanza o mi sto godendo il weekend. Barba perfettamente rasata: sto lavorando e tutto deve essere perfetto. Baffo o pizzetto: sono un tipo sofisticato oppure uno molto sbrigativo. Barba sfatta: mi piaccio, sono
un uomo vissuto. Barba lunga: ho raggiunto una certa forma di saggezza. Certo, queste sono rigide classificazioni da prendere con le pinze, ma i confini sono più o meno questi.
Negli ultimi 15 anni complice fortunatamente la maggiore consapevolezza e libertà di esprimere la propria personalità e i propri gusti (sotto tutti i punti di vista), la barba è rimasta un importante e sofisticato linguaggio di orgoglio da cromosoma XY. Abbiamo abbandonato i rigidi cliché per andare verso una più edonistica ed egoistica espressione di sé. Oggi mi guardo e mi rado come voglio. E poi c’è il rito. Quella cosa che fa godere, che funziona più o meno così: ti guardi allo specchio. Ti schiaffeggi delicatamente il viso a cui segue una carezza che va dall’alto verso e il basso e subito dopo dal basso verso l’alto, giusto per capire l’intensità della lunghezza del pelo. Ti bagni la pelle o la barba o il pizzetto da tagliare. Inforchi la forbice e ritocchi oppure spalmi il sapone sulla pelle e ti radi.
Gli strumenti della barba
Se sei attento puoi anche usare una infinita quantità di prodotti post rasatura. Il marketing è di grande aiuto su questo. Poi è il momento degli attrezzi che preferisci usare. Barba come dovere obbligato (e poco amato)? Il rasa barba elettrico. Barba come routine? Schiuma da barba industriale e rasoio (spesso usa e getta). Più tempo per te? Pennello, sapone da barba e rasoio. Voglia di viziarti? Prenoti una seduta dal barbiere. La “barba come compito obbligato” è rappresentata dalla macchinetta elettrica. Qui, va detto non c’è poesia, c’è solo efficienza ed efficacia. Puoi decorare la tua faccia come vuoi, prenderti cura del baffo al meglio, raderti al meglio. Ma è un’esperienza reale che sa di virtuale. Fredda, algida e priva di emotività, anche se indubbiamente comoda. La “barba come routine” è un po’ anni novanta (non me ne voglia chi è abituato a fare così). Perché la schiuma da barba a spruzzo pronta come una vernice all’acquaragia è il simbolo di un mondo iper-frenetico e diciamolo pure un po’ menefreghista dell’impatto ambientale causato dalle proprie scelte. Se abbinato con un rasoio usa e getta e con quelli a testina, poi… Nella barba a schiuma c’è efficienza e concretezza. Anche un po’ di strafottenza sul piano ecologico. La “barba più tempo per te” è molto contemporanea. Perché riduci l’impatto ambientale in modo drastico. La schiuma ti dura mesi, molti mesi e il suo scarto è composto da una scatolina di plastica o di alluminio, quindi molto limitato. Le lamette ideali sono quelle di metallo che si inseriscono nei vecchi rasoi. Una volta finite sporcano il mondo nelle dimensioni di un francobollo. Il pennello è un socio a volte un maggiordomo che quando impugni e spalmi sul viso è così piacevole che sembra che il tempo si sia messo in pausa. È un tipo di rasatura molto economica e molto ecologica. La “barba voglia di viziarti” è il premio. È come aprire una bottiglia di vino d’annata. Una occasione speciale. Non solo perché nell’atto di preparazione e nella rasatura sei coccolato come un Re, ma anche perché quelle sapienti mani di un altro che sfiorano il tuo visto, a volte con una lama che non immagineresti mai di avere così vicino alla carotide, ti obbligano a sperimentare quanto sia importante fidarsi degli altri. E quanto è bello godere del tempo per te e parlare di calcio o di politica o di donne senza per forza andare in un bar.
Perché la barba, a ognuno la sua, non è mai un obbligo. Semmai un piacere. Obbligatorio.
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