Quando l'altra donna non è quella che pensi
Lui, lei e l’altra. Laddove l’altra è l’ex moglie di lui. Ma è davvero così? Il più classico dei cliché diventa la fertile materia narrativa di un circuito pericoloso che squarcia l’illusione dell’amore nel romanzo L’altra donna – edito da Einaudi – di Cristina Comencini. Perché l’amore, al netto delle canzonette, non è una cosa semplice. E meno che mai lo sono le donne.
La trama del romanzo
Pietro è un professore universitario che si nutre avidamente della giovinezza della sua nuova compagna che ha trent’anni meno di lui, Elena, con la quale vive in una bolla al sapore di hummus e caipirinha, un eterno presente in cui non c’è spazio per avere responsabilità, dove sono banditi musi lunghi e tutto quanto possa esulare da una lieve superficialità. Perché Pietro ha già avuto un’altra vita con una donna, Maria, che a un certo punto decide che deve liberarsi del fantasma dell’altra, conoscendola con un inganno e arrivando a demolirne l’immagine e a esasperarne le paure. Perché Elena, la compagna dell’ex marito, i timori li ha coscienziosamente relegati nell’apparente linearità della sua esistenza, in cui tutto quello che è accaduto a lei, alla sua famiglia e al suo uomo è dimenticato. Ma solo fino a quando il contatto morboso con Maria la costringerà ad aprire gli occhi e ad affrontare tutte le false verità che sono alla base dei suoi rapporti.
Un dedalo tortuoso di sentimenti
Bisogna distruggere la cattedrale che abbiamo eretto intorno all’amore. Poi forse si potrà ricostruirla, una chiesa di dimensioni più contenute, sulla porta un cartello: LAVORI IN CORSO.
Cristina Comencini scava con il bisturi nella tortuosità di una storia al femminile in cui le voci di donne si parlano, si scrivono, si tormentano quasi con violenza fino a distruggere l’apparente unicità di ogni relazione d’amore. E lo fa creando personaggi nebulosi e inafferrabili, capaci di sopraffarsi l’un l’altro in una galleria insana di sentimenti avidi, bisognosi di andare sempre un po’ oltre, una volta squarciato il velo della normalità, per poter, finalmente, ritrovare sé stessi. Tutto questo seguendo il ritmo di una narrazione potente, che mette a confronto due diverse generazioni di donne e altrettanti modi di concepire l’amore, che viene osannato e messo in crisi, ricercato e sconfessato e, inevitabilmente, rimpianto. Perché c’è una traccia primordiale dalla quale è impossibile prescindere, quel microchimerismo secondo il quale conserviamo traccia di ogni persona con la quale siamo stati. E cancellarla è impossibile. Bisogna farci i conti e poi andare avanti.
Ora sapevo che non ci si salva da soli, che siamo una catena di storie d’amore, una dentro l’altra, e che i fallimenti appartengono a tutti. Avevo perduto la leggerezza che era stata il mio mantra. Ero figlia di una serie di donne che venivano prima di me, come lui lo era degli uomini e anche di quello che era stato con Maria.
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