Pop art: caratteristiche, opere principali e artisti importanti
La Pop art è un movimento artistico, che, nato in Gran Bretagna ed in America alla fine degli anni cinquanta – inizio sessanta, si è sviluppato fino agli anni ottanta.
Il nome è l’abbreviazione di popular art, che significa arte popolare. Il significato di popolare, però, non deve far pensare ad un’arte per il popolo o del popolo, in quanto si riferisce ad un’arte di massa, prodotta in serie.
E’ una reazione all’espressionismo astratto, che si era sviluppato negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Mentre gli espressionisti, come per esempio Jackson Pollock e Mark Rothko, volevano esternare, attraverso l’arte, la loro interiorità, gli artisti della Pop art erano interessati alla rappresentazione di quella cultura di massa che contraddistingueva il loro periodo.
Il boom economico degli anni cinquanta aveva favorito la diffusione dei media e la produzione di massa dei beni di consumo. Sono proprio gli oggetti di consumo e tutto ciò che caratterizzava la società, come la pubblicità, gli eroi della televisione e del cinema o le immagini colorate dei fumetti, a diventare i protagonisti delle opere d’arte.
Caratteristiche della Pop art
Gli aspetti principali della Pop Art sono riassumibili in quattro punti:
- l’uso degli oggetti di consumo quotidiano come soggetti artistici
- la creazione di un nuovo tipo di arte rivolto a tutti e comprensibile da tutti, attraverso l’utilizzo di immagini facilmente riconoscibili
- la trasformazione dell’arte tradizionale in un’arte che doveva essere consumata come un qualsiasi altro prodotto di massa
- i prodotti d’arte furono ridotti ad oggetto di consumo, mentre gli oggetti di consumo divennero i soggetti dell’arte.
Proprio perché l’arte fosse alla portata di tutti, gli artisti ricorsero alla riproduzione serigrafica, in modo da moltiplicare le loro opere e renderle accessibili a tutti. Per meglio attirare l’attenzione, le immagini venivano create con i colori vivaci ed accattivanti della pubblicità e dei supermercati.
Riflessione sulla Pop Art
Fu vera arte? Le opinioni sono contrastanti.
Il critico americano Lawrence Alloway, che fu il primo ad utilizzare la parola popular, la presenta come una nuova forma d’arte, definendola un’arte fatta di immagini banali legate al consumo di massa, di stereotipi, di semplificazioni in cui le merci hanno più rilievo degli oggetti d’arte e i fumetti raccontano in modo più efficace dei romanzi.
Nonostante le stroncature e le polemiche, alla Biennale di Venezia del 1964, la Pop Art americana fu consacrata a livello internazionale. Il movimento ha riscosso un successo enorme e duraturo, ha influito sul cinema, sulla moda, sull’arredamento ed ha influenzato generazioni di creativi.
Chi non conosce la serie Marilyn o i barattoli della zuppa Campbell o le bottiglie di Coca Cola di Andy Warhol?
Va indubbiamente riconosciuto alla Pop art il merito di aver saputo descrivere la realtà dopo la Seconda Guerra Mondiale e di aver abbandonato il concetto dell’arte di nicchia, per renderla comprensibile ad un pubblico più vasto.
Dobbiamo, però, ammettere che, come nella società dei consumi i sentimenti e le emozioni sono banditi, così nella Pop art l’opera è talmente impersonale che non trasmette alcun tipo di emozione.
Il movimento ha perciò “messo in discussione” il concetto di arte, come espressione estetica dei sentimenti, dell’interiorità e del pensiero dell’artista e come esperienza che provoca una risposta sensoriale o emotiva nell’osservatore.
Basta vedere la serie Marilyn di Andy Warhol, per capire come la ripetizione continua del volto dell’attrice, sempre nella stessa posizione e solo con piccole varianti cromatiche, abbia spersonalizzato il personaggio e l’abbia ridotto ad un prodotto della cultura di massa, ad un oggetto del desiderio alla stregua di un qualsiasi prodotto del supermercato, come le lattine di zuppa Campbell.
Inoltre la standardizzazione della produzione in serie della Pop Art ha incrementato l’omogeneizzazione dei comportamenti degli individui, favorendo così la formazione di una società dove tutti si somigliano.
Andy Warhol: il padre ed il più grande esponente della Pop Art
Discusso e criticato, carismatico e contraddittorio, Andy Warhol (1928- 1987) fu uno degli artisti più rivoluzionari e più famosi del XX secolo.
Per lui le immagini erano beni da consumare come gli oggetti che immortalavano.
Nelle sue opere ha rappresentato i simboli della cultura di massa e della società delle immagini senza intenti celebrativi , né polemici, ma solo con la volontà di documentare l’esistente. Sono immagini di piacere, di erotismo, di possesso, fino a diventare delle icone.
Non c’è, infatti, nell’opera di Warhol una critica a quel tipo di società, ma, come egli stesso ha dichiarato, era positivo che anche il più povero degli americani potesse bere la Coca-Cola che beveva il presidente Jimmy Carter o Elizabeth Taylor.
E’ evidente, quindi, che per Warhol, come per gli americani, il concetto di uguaglianza si realizzava dove ci sono le stesse possibilità per tutti.
Warhol non si limitò alla pittura, ma si cimentò prima con il cinema e poi anche con la musica, sostenendo alcuni gruppi musicali, tra cui i Velvet Underground.
In breve tempo le sue opere riscossero un enorme successo e fecero il giro del mondo.
Le opere più importanti di Andy Warhol
L’ opera Campbell’s Soup Cans (Le lattine della zuppa Campbell) del 1962, che abbiamo già citato, è composta da 32 tele, con la ripetizione delle lattine in file di otto quadri ciascuna, che ripropone la posizione sugli scaffali. Questa serie, esordio della carriera di Warhol, ha contribuito a definire la Pop Art.
Marilyn Diptych (Dittico di Marilyn) del 1962 è un’altra opera famosa di Warhol, realizzata poco dopo la morte di Marilyn Monroe. L’attenzione fu spostata dall’oggetto alla drammaticità umana.
Composta da cinquanta immagini serigrafate dell’attrice, metà a colori vivaci e l’altra metà in bianco e nero, non è una raffigurazione reale, ma un clichè, trattato come un prodotto privo di personalità.
Della serie dei ritratti possiamo ricordare anche Silver Liz (1963) che ha come soggetto Elisabeth Taylor che Andy Warhol frequentò nello Studio 54, il locale delle celebrità. In quest’opera, realizzata sempre con la tecnica della serigrafia a partire da un’immagine pubblicitaria, il viso dell’attrice è talmente perfetto da sembrare irreale.
All’anno precedente, 1962, risale un’altra opera che forse la maggior parte di noi conosce, Green Coca Cola Bottles. Sono rappresentate 112 bottiglie verdi, vuote e disposte in varie file con il logo della Coca-Cola. Il motivo a griglia dello sfondo è stato creato con una serigrafia acrilica verde su tela e poi le bottiglie sono state stampate.
Una delle serie più famose di Warhol dei primi anni ’60 è Death and Disasters (Morte e disastri), che presenta immagini di incidenti e suicidi che erano apparsi sui media. Warhol, pur cogliendo l’aspetto tragico degli eventi, ha, comunque, uno sguardo distaccato ed impersonale.
Particolarmente dissacrante è un ciclo di opere di grande formato, dedicate al tema di L’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci e realizzate tra il 1985 e il 1987, come Last Supper. L’intenzione dell’artista. infatti, non fu quella di proporre una riflessione sull’opera leonardesca, ma di rendere anche il preziosissimo capolavoro, ripetuto varie volte con semplici variazioni di colore, un prodotto di massa, come la zuppa Campbell.
Roy Lichtenstein: l’artista che si ispirava ai fumetti
Roy Lichtenstein (1923-1997) è stato un altro pioniere della Pop art. Era troppo banale per alcuni, ma egli ha fatto proprio della banalità la sua cifra distintiva.
All’inizio degli anni ’60 Lichtenstein cominciò ad esplorare il linguaggio visivo dei mass media e della cultura del consumo. Fu colpito dalla grafica e dalla commerciabilità dei fumetti, che ha cercato di riprodurre con uno stile che imitasse i processi di stampa dei giornali.
Un aspetto caratterizzante della sua tecnica fu l’utilizzo nella stampa di piccoli punti colorati, i cosiddetti punti Ben Day, che prendono il nome dell’illustratore e stampatore del XIX secolo Benjamin Henry Day, che li introdusse per creare sfumature graduali.
Questa tecnica è visibile innanzitutto in uno dei dipinti più iconici di Lichtenstein Whaam! (1963). Questo dittico di grandi dimensioni, ispirato dalla vignetta di un fumetto, raffigura un aereo da caccia che abbatte un aereo nemico. La drammaticità dell’evento è trasmessa con la giustapposizione di colori primari, con i contorni neri e con i punti Ben-Day che danno il senso del movimento.
In Drowning Girl (1963), dove viene raffigurata una donna in difficoltà e parzialmente immersa nell’acqua, i punti Ben-Day creano la profondità dell’acqua.
I punti sono stati ampiamente utilizzati anche nel dipinto OHHH… ALRIGHT… (Ohhh…Va bene…) del 1964. E’ un lavoro estremamente suggestivo, sensuale e di grande impatto visivo che mostra una donna apparentemente vulnerabile, ma in realtà in grado di controllare le sue emozioni.
Particolarmente coinvolgente appare Kiss V (1964), che raffigura una donna, mentre abbraccia un uomo, con le lacrime che le riempiono gli occhi e le scendono lungo le guance.
Attirano l’attenzione dell’osservatore, oltre al bianco delle lacrime che contrasta con gli altri colori, la mano della donna che, stringendo con forza la spalla dell’uomo, evidenzia le sue incontenibili emozioni.
Claes Oldenburg: l’artista che scolpì oggetti comuni
Claes Oldenburg (1929 – 2022) è stato uno dei maggiori esponenti della Pop Art.
E’ diventato famoso per le sue sculture di grandi dimensioni, spesso grottesche ed anche spaventose.
Inizialmente Oldenburg ha scelto il cibo come soggetto delle sue opere. Ne è un esempio Dropped Cone, che rappresenta un monumentale cono di gelato, alto 12 metri e con un diametro di quasi 6 metri, rovesciato sul tetto di un edificio.
In seguito, a partire dalle mostre del 1962, sono gli oggetti di uso quotidiano al centro del suo interesse. L’ha spiegato egli stesso, affermando che preferiva un’arte che traeva le sue forme direttamente dalla vita, che si intrecci e si espanda fino all’impossibile, e si ingrandisca, e sputi, e sgoccioli, dolce e stupida come la vita stessa.
Emblematica è l’enorme scultura Ago, filo e nodo, collocata in piazza Cadorna a Milano, alla fine degli anni novanta dopo il rifacimento della piazza sul progetto di Gae Aulenti.
La rappresentazione di un ago gigantesco con il filo multicolorato richiama l’idea del treno che entra in una galleria ed allude alla metropolitana, di cui c’è una fermata nella piazza. Il filo, ha, perciò, gli stessi colori identificativi delle tre linee milanesi del tempo (rosso, verde e gialla).
In questa rassegna ci siamo limitati ad alcuni degli artisti più noti della Pop art, ma ce ne sono molti altri, come Richard Hamilton, Robert Rauschenberg, Jasper Johns.
Principali artisti della Pop Art italiana
La Pop Art arriva in Italia con la Biennale di Venezia del ’64. I centri propulsori del nuovo movimento sono diventati la scuola di piazza del Popolo a Roma, il gruppo milanese, vicino allo Studio Marconi, uno dei luoghi di diffusione del Pop italiano e la Scuola di Pistoia
Se la Pop art americana esaltava l’oggetto di uso quotidiano, la Pop art italiana si è ispirata alla tradizione, alla cultura ed alla storia del nostro paese ed ha rispecchiato la quotidianità di quegli anni pieni di disperato ottimismo.
In Italia l’artista esercitava pur sempre il suo ruolo sociale, come espressione non solo della cultura tradizionale, ma anche del contesto urbano e dei fermenti dell’epoca e lo ha fatto con una passione del tutto sconosciuta agli statunitensi.
Gli artisti italiani, inoltre, a differenza di quelli oltre oceano, hanno dedicato alla tecnica pittorica grande cura e precisione come ad un lavoro artigianale e non fatto in serie. La padronanza delle pennellate e l’equilibrio formale delle composizioni hanno risentito, infatti, della tradizione della pittura italiana, per cui i nostri lavori risultano più contenuti nelle dimensioni, meno stravaganti e volgari.
Nell’economia del discorso citiamo solo i promotori del fenomeno italiano, che ha annoverato pittori del calibro di Valerio Adami, Mimmo Rotella, Emilio Tadini, Giosetta Fioroni, Mario Ceroli, Cesare Tacchi ed altri.
Mario Schifano
Mario Schifano (1934-1998) pittore, fotografo e regista, insieme a Franco Angeli ed a Tano Festa fu un iniziatore della Pop art italiana.
Tra le sue serie più famose vanno ricordate Le serigrafie materiche, realizzate negli anni Sessanta e Settanta. In questa serie l’artista si è concentrato sul tema della materialità dell’opera d’arte, utilizzando tecniche di serigrafia su supporti non convenzionali, come tessuti, plastica, legno e metallo.
I soggetti, come loghi e marchi pubblicitari, di cui spesso Schifano distorceva le forme, sono caratterizzati dai colori accesi, spesso stesi in modo irregolare e materico.
Tano Festa
Mentre la Pop art americana aveva come soggetti elementi quotidiani e commerciali, Tano Festa (1938-1988) trovò ispirazione nella tradizione e nella cultura italiana. Ne sono un esempio i dipinti Particolare della Sistina dedicato a mio fratello Lo Savio e La Creazione dell’Uomo, che riprendono la Creazione di Adamo della Cappella Sistina. In altri dipinti il volto di Adamo è realizzato con i colori accesi e con lo stile della Pop art.
Negli ultimi anni della sua vita Festa si dedicò ai ritratti, sia dei suoi familiari come nella serie I quadri privati, che di personaggi della letteratura, come Don Chisciotte.
Franco Angeli
Franco Angeli (1935-1988) è un artista romano che ha fatto parte della Scuola di Piazza del Popolo ed, insieme a Mario Schifano ed a Tano Festa, è stato un fondatore della pop art italiana.
Ha prodotto un numero consistente di opere, nelle quali ha utilizzato varie tecniche e materiali, tra cui la calce, lo smalto, la garza e le calze di nylon, che intervallava con le pennellate.
Se Tano Festa ha ripreso la cultura italiana, Franco Angeli è famoso per aver affrontato nelle sue opere temi di impegno socio-politico. Ne sono un esempio la raffigurazione dei simboli del potere e della violenza, come falci e martelli o svastiche.
La guerra del Vietnam divenne, poi, un tema preponderante nella sua prolifica produzione della fine degli anni Sessanta, come dimostrano le opere Università Americana (1967), Corteo (1968), Anonimo euroasiatico (1969), Compagni (Giap e Ho chi Min) e Vietcong (1971).
Oltre alla scelta dei temi c’è un altro aspetto che differenzia questo artista dalla Pop art americana: è la produzione di pezzi unici e di serigrafie in edizione limitata.
Franco Angeli ha riscosso moltissimi successi e le sue opere sono esposte nei più importanti musei italiani ed internazionali.
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