“Non ho ucciso l'Uomo Ragno. Gli 883 e la ricerca della felicità" di Mauro Repetto con Massimo Cotto
Dal successo con Max Pezzali al sogno americano: la vita come un romanzo dell’ex metà degli 883
Alla fine, l’Uomo Ragno è vivo e vegeto e nessuno gli ha impedito di continuare a saltare da un grattacielo a un altro. Per lo meno non Mauro Repetto, che super eroe non è mai stato ma che il coraggio di lanciarsi da una parete a uno strapiombo l’ha sempre avuto. Altezza a parte, la rocambolesca parabola della sua esistenza non ha nulla a che invidiare a quella di Peter Parker. Anche perché Mauro Repetto. aka l’altro 883 -quello biondo, quello che ballava, quello che faceva da coreografia, quello che, insomma -, a suo modo è stato lui stesso un eroe.
Non ha mai smesso di rincorrere i suoi sogni, tenendo il tempo dei suoi passi come del battito del suo cuore, con quella coerenza che gli ha permesso di allargare a dismisura l’orizzonte della sua fantasia fino a convincersi di potere davvero fare tutto. L’unica condizione è stata, a un certo punto, sparire dai radar e proseguire da solo. Direzione, Nord, sud, ovest, est, naturalmente.
Che fine ha fatto l’ex 883?
Cosa ha fatto, dov’è andato e perché, Mauro Repetto l0 racconta nella sua autobiografia, scritta a quattro mani con Massimo Cotto, che non poteva che avere che un titolo, ovvero “Non ho ucciso l’uomo ragno. Gli 883 e la ricerca della felicità” (edito da Mondadori). E un potere, quello di spalancare la finestra su quegli anni magici, i fantastici Novanta, che nell’immaginario di un ragazzo di provincia e di altri come lui erano pieni di luminose possibilità. E di musica, naturalmente. Con la radio a mille watt, Mauro Repetto incrocia sui banchi di una scuola di provincia Max Pezzali: i due ragazzi sono accomunati dal fatto di essere visionari e pazzi, tanto diversi tra di loro da completarsi, ma uniti da sogni che hanno a che fare con le sette note anche se nessuno dei due, in realtà, è un vero e proprio musicista. La differenza la fa la passione, la faccia tosta di mettersi sempre in gioco e il chiodo fisso di diventare due rapper che li porta, ogni pomeriggio, a chiudersi in camera di Max per campionare pezzi e comporre quei brani – da “Hanno ucciso l’uomo ragno” a “Come mai”, da “Una canzone d’amore” a “Finalmente tu” – destinati a essere futuri successi. Prima, però, saranno rifiutati a oltranza fintanto che la perseveranza di Mauro Repetto li premierà facendoli intercettare da chi, in quegli anni– quelli d’oro del Grande Real, ovviamente – era il deus ex machina della musica italiana, ovvero Claudio Cecchetto. Il resto è l’inizio del mito de I Pop presto diventati 883 (il copyright è di Max Pezzali) che in soli tre anni, dal 1991 al 1994, diventeranno le nuove stelle di una pop music italiana dal sound vagamente rockeggiante.
Se nel libro c’è il racconto di un successo clamoroso – inseguito, bramato, desiderato oltre ogni possibile aspettativa-, non manca un altrettanto clamoroso blackout, quello che porta Mauro Repetto a coltivare quel malessere che, a un certo punto, gli fa dire basta. “Il sogno che mi aveva nutrito mi stava divorando”. Repetto non si riconosce più e, pochi giorni prima di cominciare a registrare il nuovo album con gli 883, comunica al suo amico che sta per partire per Miami e, francamente, non sa se e quando tornerà. Ambiguo fino a un certo punto ma soprattutto audace nell’abbandonare la musica, la popolarità e i soldi per andare dall’altra parte del mondo “alla ricerca di qualcosa che poi cos’è non lo sappiamo nemmeno noi”.
Un’altra vita
Da quell’aprile 1994 sono passati 30 anni prima che Mauro Repetto tornasse a raccontare la sua parte di storia, facendo pulizia di leggende metropolitane e insani pietismi e, al contrario, accendendo i riflettori su una vicenda, solamente sua questa volta, che non ha nulla a che invidiare a quella di un romanzo. Dove immutata rimane una sola regola, oltre a quella dell’amico, certamente: il restare fedeli ai propri sogni.
E mentre la storia degli 883 sta per diventare una serie tv targata Sky, “Non ho ucciso l’uomo ragno” si fa testimonianza di un lungo viaggio alla ricerca di sé stessi e, al contempo, di una pace armata con i fantasmi del passato che permette a chi scrive di venire a patti anche con quel super eroe che, di base, gli ha sempre indicato la direzione. Ovvero essere coerente con quello che voleva fare, rispettando la linea di un destino che ha sempre sentito suo. Perché la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare. E non è un caso che sia il verso di un altro rappresentante della banda Cecchetto, Lorenzo Jovanotti, che ha incrociato più volte la strada di Mauro Repetto, a fare da colonna sonora, al racconto della scelta ragionata e matura di chi vuole e ha sempre voluto inseguire i propri sogni. Dal Ticino alla California, senza mai perdersi la festa.
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