Risparmio extra pensione
La longevità che stiamo acquisendo è un regalo del progresso. Migliori condizioni di vita e di lavoro, più prevenzione e cure più avanzate ci permettono una vita mediamente di 20 anni maggiore rispetto al 1948: 83 anni circa è la l’aspettativa media tra uomo e donna in Italia, 80 per gli uomini e 85 circa per le donne, ma per metà secolo si prevedono già 5 anni in più per entrambi.
Una pianificazione delle proprie finanze, redditi e risparmi, commisurata all’attuale aspettativa di vita è già un primo passo verso la sostenibilità della longevità. Ma attenzione, chi supera gli 80 anni ha buone probabilità di viverne altri 9 mediamente, quindi di sfiorare i 90, superando l’aspettativa media vita, perché dopo gli 80 le occasioni di morte si livellano avendo già superato le più comuni.
La pianificazione, quindi, per rispettare un principio di previdenza dovrebbe coprire i 90 anni.
Poiché gli ultimi 10 anni sono sicuramente più soggetti a problemi di salute e necessità di assistenza è evidente che il tenore di vita non è destinato a scendere ma piuttosto a salire. E l’unico modo per pianificare una integrazione al reddito pensionistico per tutelare lo stile di vita e la copertura di eventuali costi sanitari passa per una forma di risparmio extra: fondi pensione, piani di accumulo, PIR o PIP, piani individuali di risparmio o pensionistici.
Molte delle soluzioni disponibili offrono la possibilità di accumulare risparmio e di riscattarlo un giorno in forma di capitale, rendita vitalizia o una soluzione mista: parte in capitale e parte in rendita. Questa scelta è molto importante.
La tendenza in Italia è di preferire il capitale
E’ normale che tutti noi siamo più inclini a considerare più rassicurante un gruzzolo di risparmi piuttosto che una rendita. Il denaro fisico sul proprio conto corrente, tutto e subito, dà maggiore garanzia di solidità. Ma spesso solo psicologicamente, privilegiando l’oggi al domani. Infatti solo chi è veramente esperto nella gestione finanziaria dei propri risparmi può serenamente optare per il capitale, perché se questo è mal gestito o, con l’inflazione al 7%, semplicemente lasciato inerte sul conto corrente, si può rischiare di bucare l’obiettivo di copertura della longevità. Se il longevity risk per definizione è il rischio di sopravvivere ai propri risparmi, il rischio cognitivo sottostante è quello di a) sottovalutare la propria reale aspettativa di vita, b) sopravvalutare il proprio capitale, per esempio non prendendo in considerazione il rischio inflazione.
Purtroppo né il capitale né le rendite vitalizie sono rivalutati in rapporto all’inflazione, salvo espressamente previsto (rendite rivalutabili) e, in genere, lautamente ricompensato da un aumento del premio richiesto. In clima di rialzo della inflazione può fare la differenza il conferimento del TFR al fondo pensione, poiché il TFR è rivalutato al 75% dell’inflazione più un punto e mezzo percentuale.
Con l’aumento costante dell’aspettativa di vita, scegliere la rendita vitalizia in toto o in parte sposta il rischio longevità – cioè il rischio di sopravvivere ai propri risparmi – dall’individuo all’ente finanziario deputato a sostenere la rendita. Nel caso di fondo pensione è addirittura obbligatorio che parte del capitale (almeno il 50%) venga convertito in rendita, proprio per tutelare le persone per la durata della loro vita, salvo il caso in cui la rendita che deriverebbe dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale (quella somma erogata dall’Inps alle persone indigenti) che nel 2022 è pari a 458,10 euro per 13 mensilità. Resta però il dubbio se l’inflazione così alta debba far propendere per il riscatto del capitale, a scadenza o anche anticipato, purché il riscatto anticipato non preveda costi eccessivamente penalizzanti. Probabilmente se si è prossimi alla scadenza tanto vale attendere la rendita vitalizia, se si è ancora lontani potrebbe essere conveniente riscattare il capitale e metterlo al sicuro dall’inflazione con una pianificazione oculata.
In tempi meno inflattivi la regola aurea è che pensione pubblica e rendita vitalizia coprano le spese fisse, quei costi della vita cui non si pensa di poter rinunciare: affitto, manutenzione della casa, alimentazione, cure mediche, ecc. Tutto il resto, quanto è quindi “superfluo” rispetto alla stretta sussistenza, e le necessità successorie possono essere coperti con il capitale. Soprattutto in un quadro di continuo aumento della longevità e del rischio che i propri risparmi costituiscano una coperta troppo corta.
Lo stesso vale per le rendite dei propri beni immobili. Considerare l’affitto di un appartamento di proprietà come garanzia di copertura dei costi di vita è improprio in tutti i casi in cui non sia scontata la facoltà di affittare a un costo congruo nel lungo tempo. E la certezza, in caso di rendita da affitto, non esiste tra i comuni mortali. La zona potrebbe svalutarsi o la casa potrebbe perdere attrattività se non si è in grado di manutenerla correttamente o ancora il locatario potrebbe non essere più in grado di corrispondere l’affitto. Persino gli appartamenti per studenti nelle città universitarie hanno subito un tracollo nell’anno dei lock-down per il Covid.
Quindi una buona pianificazione della longevità dovrebbe garantire una rendita vitalizia (pensione + rendita integrativa) a copertura del costo della vita, ivi compresi quei costi oggi non esistenti ma verosimili con l’aumentare dell’età, e considerare eventuali affitti e capitale a sostegno di quella parte “prescindibile” del tenore di vita. Il capitale esistente o che si decida di riscattare deve essere impiegato correttamente in una pianificazione ponderata per obiettivi, a breve e a lungo termine, e diversificata, conservando una riserva di liquidità per le evenienze che la richiedano.
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