Martino Midali: i miei primi 40 anni di moda
L’amore per i tessuti, in particolare per il jersey e per i capi versatili è uno dei punti di forza che hanno accompagnato per 40 anni Martino Midali, creatore e stilista lodigiano, dell’omonimo brand che veste star nazionali e internazionali, ma soprattutto donne comuni dalla personalità forte, dinamica, che lavorano e hanno bisogno di comodità e praticità in ogni momento della giornata. La storia di Midali comincia quasi per gioco negli Anni ’80, dalla sua passione innata per la moda, disegnando T-shirt dalle stampe aggressive e dai colori forti, ispirate alla Pop-Art. Le sue collezioni sono moderne, essenziali, minimal, come l’ultima presentata alla Milano Fashion Week di settembre, con il tema portante del jersey a righe e con un messaggio contro la violenza sulle donne «L’amore non fa male», scritto sulla t-shirt in edizione limitata creata in collaborazione con la textile designer Debora Delli. Nella biografia di Cinzia Alibrandi, svela le sue origini e i suoi primi passi nella moda. “Un modo per avvicinarmi ancora di più alle mie affezionate donne, coloro che da sempre mi hanno ispirato”. Noi di Cocooners lo abbiamo incontrato per parlare di bellezza ed eleganza femminile.
Come nasce il brand Martino Midali?
«Volevo trovare un lavoro che fosse un modo di vivere, un’attività che mi consentisse di essere felice. Quando mi sono sentito più sicuro e ho conosciuto meglio la città di Milano e ho avuto una certa autosufficienza a finanziarmi (vivevo da solo e riuscivo a mantenermi) ho iniziato a disegnare delle T-shirt controtendenza, originali, nuove. Già da giovanissimo (14-15 anni) compravo da uno straccivendolo delle vecchie camicie da notte con pizzi e merletti, che provenivano dall’America, e le tingevo in casa e mi divertivo a vestire le mie amiche. Per me era un gioco. L’idea di queste magliette così all’avanguardia piacque moltissimo a un amico vetrinista che venne a trovarmi a casa con una sua cliente amica titolare di una boutique in via Lorenteggio ed entrambi piacquero moltissimo e me ne comprarono una grande quantità da vendere in negozio. Nel giro di un mese e mezzo furono vendute tutte ci fu una richiesta tale che dovetti riassortire per diverse volte il prodotto. Siamo fine degli anni ’70, alle porte degli ’80. E da qui è partito tutto».
Sei stato tu che per primo ha fatto indossare alle donne italiane l’elastico in vita?
«Quando misi l’elastico in vita a una gonna e/o a un pantalone mi presero tutti per matto, perché agli inizi degli anni ’80 l’idea era vista come qualcosa di strano, fuori luogo: era impossibile che una donna potesse indossare un capo con l’elastico in vita. Fu una grande innovazione tant’è che per raggiungere il successo ci sono voluti 5/6 anni. A distanza di quel periodo, feci una conferenza stampa al Museo della Moda di Napoli e all’improvviso si alzò una signora e disse ad alta voce: “Ha daa campà cent’anni quest’uomo che ci ha dato una comodità come questa!”».
Quarant’anni di carriera: cos’è la cosa per te indimenticabile, di questo lungo percorso?
«L’intuizione/invenzione dell’elastico in vita e della coulisse sono state due cose importantissime, rivoluzionarie. Sono andato avanti per la mia strada e ho sempre fatto ciò che mi piace. Oggi, dopo 40 anni di assoluta dedizione al lavoro e di una buona dose di concretezza, continuo a creare con un preciso stile contemporaneo, molto riconoscibile, curando ogni dettaglio. Ho introdotto l’elastomero, un ingrediente perfetto per dare al tessuto elasticità, comfort e perfetta vestibilità. Sono stato precursore nell’uso della maglia e del jersey per realizzare oltre a gonne e pantaloni anche giacche. Il mio tessuto di punta è il bielastico, ottenuto da una combinazione di viscosa ed elastan, estremamente versatile, confortevole da indossare e morbido al tatto. Ho cambiato la percezione del vestire a un sempre più vasto pubblico femminile, spiegando alle donne che un capo in jersey si poteva finalmente mettere in lavatrice, senza portarlo in tintoria».
Hai detto: “Non è il mio abito a vestire le donne, ma sono le donne a vestire il mio abito”. Secondo te chi è la donna che veste Midali?
«Le donne che vestono Midali non indossano un mio capo, ma lo interpretano. Sono sicure di sé, raffinate e molto femminili senza provocazione. Attraverso la mia moda, la donna che lavora vuole sentirti protetta, far emergere la propria femminilità, è desiderosa di mettere in risalto la sua personalità, non il suo corpo».
A cosa ti ispiri quando crei una nuova collezione?
«Una collezione può avere svariate fonti di ispirazione. Da quelle più tecniche alle più creative. Può apparire banale ma la prima fonte di ispirazione è la moda stessa, ciò che si vede in giro, ponendo attenzione ai colori, alle sfumature e alle evoluzioni anno dopo anno. È proprio studiando abiti, giacche, accessori e tessuti del passato che nascono le nuove collezioni. E una continua ricerca, raccolta di materiali delle previsioni di tendenza moda, offrono preziosi spunti creativi. Amo esplorare nuovi luoghi e ambienti per cogliere tendenze e stili sempre nuovi. Spesso le mie idee possono arrivare dalla strada».
Chi sono le attrici o donne dello spettacolo che indossano i suoi capi?
«Barbra Streisand, venne in negozio in Madison Avenue a New York e mi ordinò dei pantaloni di cachemire (non ne ho mai fatti!) che feci apposta per lei; Debra Winger, attrice che negli anni ’80 era una delle più acclamate del cinema mondiale, Whoopi Goldberg, e tra le italiane Marisa Laurito, Veronica Pivetti, Stefania e Amanda Sandrelli, Iva Zanicchi e in passato Mariangela Melato».
Qual’è il pezzo che non può mancare nel guardaroba di una donna over 60?
«Sicuramente i best seller della linea Essential di Martino Midali che sono la T-shirt scatoletta in jersey di viscosa elasticizzata, nei vari modelli. La capsule Twelve Months, nata con l’Autunno/Inverno 2020, realizzata in un tessuto fluido, di facile vestibilità. Sono dieci modelli tutti intercambiabili tra loro (dalla giacca decostruita, al pantalone clown, alla canotta lunga in cady fluido), indispensabili, per creare nuovi abbinamenti e nuovi outfit, che vanno incontro alle esigenze delle donne; solo cambiando l’accessorio, scarpa e borsa, questi outfit diventano anche eleganti, e adatti per un aperitivo e un party».
Cos’è l’eleganza per Martino Midali?
«Creare un abito che non è un diktat di chi lo crea, che permette alla donna di far risaltare la sua personalità. Per me è il massimo dell’eleganza. Illuminare il viso di una donna, illuminare la sua personalità».
C’è una donna, un’attrice che ti piacerebbe vestire?
«Sicuramente Sharon Stone! Mi sarebbe piaciuto far risaltare la sua bellezza, la sua unicità. Ma tante sono le donne che vorrei vedere con i miei capi. Ma soprattutto voglio vestire le donne “comuni”. Nell’ultima sfilata nell’ex Fornace a Milano, dopo la presentazione del mio libro “La stoffa della mia vita – un intreccio di trama e ordito” scritto da me e la giornalista-scrittrice Cinzia Alibrandi, hanno calcato la passerella modelle della generazione Z che hanno incrociato modelle adulte, tutte rigorosamente non professioniste, donne di ogni giorno protagoniste dei miei abiti».
Negli ultimi anni il mercato è sempre più esigente se parliamo di sostenibilità. La tua è un’azienda attenta a questo?
«La sostenibilità è sempre stata nelle mie corde. Del resto sono stato un pioniere all’approccio consapevole alla moda: sin dai miei esordi, ho fatto dell’upcycling creativo il cuore della mia proposta grazie a vecchie camicie che tingevo e stringevo con metodi artigianali per ricavarne abiti. Una filosofia, sempre puntata ad avere il minore impatto possibile sull’ambiente mantenendo, al tempo stesso, una forte creatività».
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