Longevità femminile
Viviamo di più ma non necessariamente meglio
Imperterrito, il nostro Paese si porta dietro una serie di differenziali di genere che restano intessuti nella nostra quotidianità, in famiglia e sul lavoro. Pur guadagnando ogni decennio qualche centimetro in più verso l’uguaglianza che ci permette di illuderci di averla sfangata, poi arriva qualcosa che vanifica l’ultima tappa riportandoci indietro di anni, come è successo con il Covid 19. Una specie di elastico, la parità, che si tira e si richiude, nella speranza che il materiale di cui è fatto si allunghi nel tempo senza logorarsi. Purtroppo la questione è annosa e universale, ma diciamo che in Italia gli effetti sono più eclatanti, con numeri negativi – quelli nascosti tra le pieghe delle statistiche più gettonate – più alti che altrove.
Avrei voluto iniziare questa rubrica di giugno con un po’ di umorismo, un tratto leggero, da rubrica appunto, ma il tema che ho scelto non si offre al sorriso e qualunque tentativo di essere leggera puzzerebbe di falso a distanza di chilometri. Nemmeno mi consola che le donne non siano le uniche ad affrontare la longevità con prospettive di maggiori rischi. Basta guardare ai giovani di cui sappiamo che, raccontava l’INPS poche settimane fa, potrebbero andare in pensione a 70 anni se lavorassero continuativamente dai 23 ai 70 o a 74 anni se per caso dovessero incorrere in qualche discontinuità. Naturalmente con una pensione sensibilmente inferiore a quella dei loro padri.
Ma questo mese la rubrica è dedicata all’altra metà del cielo e della terra. Di giovani ne parleremo in un’altra occasione, prometto, perché so che chi ci legge ha figli o nipoti o amici che hanno figli e nipoti e si domanda ogni giorno, senza invidia, come andrà la vita per loro.
Tornando a bomba
Dicevamo delle donne, della maggiore esposizione a rischi e fragilità che ci caratterizza e che non si riferisce solo alla maggiore longevità e quindi al fatto che arriviamo a età più venerande degli uomini, ma anche agli effetti dell’eterno gap di genere sui diversi aspetti della nostra vita e su almeno tre dei quattro capitali fondamentali per il benessere nella terza/quarta età:
- capitale finanziario (redditi, risparmi, patrimonio, polizze assicurative);
- capitale fisico (benessere psico-fisico)
- capitale umano (capacità di produrre reddito da lavoro anche nella maturità)
- capitale sociale (amicizie, rete di conoscenze, famiglia).
Capitale finanziario
Il gap salariale è diminuito nel tempo fino a posizionarci nella media europea (-15% dato medio nel settore privato e -4% in quello pubblico). Purtroppo però quasi nessuno ci dice che questi risultati incoraggianti si limitano al salario orario. Se guardiamo alla questione in termini di reddito annuo, invece, la situazione si fa pesante con un -46% a causa della grandissima diffusione del part time (metà delle donne che lavorano sono impiegate part time), oltre alla concentrazione dell’occupazione femminile nei settori a più bassa remunerazione o a più bassa leva reddituale della carriera, e delle interruzioni per la cura familiare che rallentano la crescita professionale.
L’effetto di questo differenziale di reddito annuo sulla contribuzione previdenziale e quindi sui redditi pensionistici è pari al –30%, ovvero un assegno pensionistico medio per le donne di 976 euro rispetto a quello degli uomini di 1.381 euro.
Una simulazione di Progetica del 2022 stimava in 350 mila euro la differenza di reddito da lavoro (in meno) guadagnato nell’intero percorso lavorativo da una donna che abbia interrotto la carriera per 3 anni dopo la nascita di un figlio e per 4 anni per curare un anziano non autonomo, rispetto a un uomo a pari stipendio che non abbia avuto interruzioni, il che si traduce in circa 150.000 euro in meno di redditi pensionistici.
Ma tutto questo vale per le donne che lavorano, poco più della metà del totale. La restante parte non ha diritto alla pensione (il 18%, ovvero 1,2 milioni di donne) oppure riceve un’integrazione sociale per raggiungere il reddito minimo pensionistico (2,5 milioni di donne): in totale 3,7 milioni di donne, pari al 47% del totale donne over 65. Ne esce la fotografia di un vastissimo problema di mancanza di autonomia economica delle donne, particolarmente grave in caso di mancanza o perdita del compagno o marito, sia per vedovanza, sia per separazione o divorzio, anche tardivi, sia per la scelta di vivere da sole.
Quanto sopra va sommato a un differenziale di genere di ricchezza netta (ricchezza finanziaria + ricchezza immobiliare) pari al -26%, percentuale che cresce purtroppo considerevolmente nelle coppie delle fasce di età più anziane, dove Banca d’Italia registrava nel 2019 un gap del -35% nella ricchezza finanziaria, -50% in quella immobiliare).
Capitale fisico
Pur vivendo più degli uomini (l’aspettativa media di vita delle donne è oggi 85 anni vs. gli 81 degli uomini), donne e uomini hanno la stessa aspettativa media di vita in buona salute (circa 75 anni, giusto qualche mese in meno per le donne rispetto agli uomini). Considerata anche la maggiore longevità femminile, le donne vivono così più anni con problemi di salute. I dati ci raccontano che, a parità di età, le donne hanno un numero maggiore di patologie croniche degli uomini (che tendono invece ad averne di più gravi). Ciò è dovuto principalmente al fatto che se la vita media è aumentata di 20 anni dal 1948 ad oggi, la menopausa continua ad arrivare alla stessa età, aumentando di 20 anni il tempo vissuto con i problemi di salute correlati a questa grande transizione.
Inoltre, il ‘900, secolo di grandi scoperte medico-scientifiche, ha visto la ricerca medica e farmacologica concentrata solo su soggetti maschi. La motivazione ufficiale è la tutela del genere riproduttivo, e non ne dubitiamo, ma c’è anche il fatto che la complessità ormonale delle donne avrebbe reso molto più costoso ottenere risultati con la stessa attendibilità statistica dovendo condurre le ricerche su entrambi i generi. Il risultato è che le donne sono state curate con gli stessi farmaci testati sugli uomini, in dosi minori. Così molta sintomatologia femminile e molti effetti collaterali dei farmaci su pazienti donne sono a lungo stati ignorati dagli operatori medici e nella formazione clinica.
Negli anni 2000 l’Italia è stato però il primo stato europeo a promuovere con una legge l’estensione della ricerca medico-scientifica sui due generi.
Capitale umano
Nella sua accezione finanziaria, il capitale umano è la capacità di produrre reddito da lavoro. Come è noto, la situazione lavorativa femminile (gap salariale, lavori a più bassa retribuzione, settori a più bassa leva di carriera, interruzioni) non depone a favore del capitale umano in età già matura. Tanto meno per quelle donne che non hanno mai svolto un lavoro fuori casa. La capacità di lavoro in età matura è importante quando succede di dover o voler tornare a svolgere un’attività lavorativa – anche part time, anche da lavoratore autonomo o mettendo in piedi una piccola attività in proprio, per necessità di sostenere il proprio potere di acquisto o per il desiderio di rimanere ingaggiati.
Al contrario, le donne tendono a cercare soluzioni di pensionamento anticipato, quindi penalizzante dal punto di vista reddituale, o riduzioni dell’orario di lavoro per potersi dedicare a un familiare molto anziano e bisognoso di assistenza oppure alla cura dei nipoti.
Capitale sociale
Nell’accezione sociale del capitale umano, cioè la rete di relazioni con conoscenti, amici e famiglia, le donne per fortuna godono di un vantaggio, una volta tanto, soprattutto in termini di maggiore varietà rispetto agli uomini, le cui relazioni tendono invece a concentrarsi nella sfera professionale e quindi ad esaurirsi nel momento del pensionamento. Sebbene il carico di cura di familiari o compagni molto anziani ne limiti la frequentazione, resta una ricchezza da non sottovalutare.
La sostenibilità della longevità femminile è un fattore sociale universale che necessita di attenzione e consapevolezza. A iniziare da quella delle stesse donne che spesso non si rendono conto, strada facendo, dei differenziali che rendono più precario il loro futuro. Non in termini politici, dio-ce-ne-scampi, ma in termini di consapevolezza e di responsabilità personale e collettiva, cui spero di aver contribuito con questa piccola riflessione.
Foto di Luis Machado su Unsplash
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