Liquidità: asset tattico?
Più 11% l’aumento della già storicamente consistente liquidità italiana nei due anni della pandemia: 153 miliardi in più di puro cash che fanno salire a oltre 1.600 miliardi di euro il capitale liquido del paese, quello che apparentemente il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, vorrebbe a garanzia del debito pubblico. Per fortuna aumentano anche le polizze assicurative, specie i prodotti previdenziali; nel paese meno assicurato d’Europa, sia a livello corporate che a livello individuale, è segno che qualcosa forse inizia a cambiare.
Verrebbe da pensare che l’aumento di liquidità e quello delle polizze assicurative esprimano un atteggiamento di previdenza: come si dice, mettere legna in cascina in attesa di tornare di nuovo a investire. Oppure, come ha scritto qualcuno, gli italiani hanno trovano nella liquidità un sostituto al vecchio mattone? Ma, a parità di rendimenti piatti, il mattone almeno non se lo mangia l’inflazione.
Cash is king?
Abbiamo chiesto un parere su cosa sta dietro questa mole di liquidità a due persone molto diverse tra loro eppure entrambe decisamente esperte del settore finanziario: l’Avv. Roberto Lenzi, patrimonialista e wealth manager e il Prof. Francesco Priore, docente della Bologna Business School ma soprattutto decano della consulenza finanziaria.
“In certe condizioni, tenere una parte del proprio capitale liquido è un asset tattico” getta la pietra nello stagno l’Avv. Roberto Lenzi, patrimonialista dello Studio Lenzi e Associati. “La gente lascia i soldi liquidi fondamentalmente per due motivi, il primo di ordine precauzionale: l’incertezza del futuro potrebbe richiedere disponibilità liquida immediatamente utilizzabile, denaro pronto per ogni evenienza. Il secondo ha invece a che fare con le opportunità: il momento attuale fotografa una situazione di estrema tensione (che, una volta superato, potrebbe creare occasioni interessanti per investire, soprattutto in ambito equity), con valori di entrata alti, e ingenti costi commissionali (in particolare su certe soluzioni proposte dai canali distributivi tradizionali), il tutto, spesso, con tempi lunghi che vincolano anche per 10 anni un investitore che non sempre ha il profilo adatto per tali soluzioni, a fronte di un profitto solo ipotetico perché calcolato sulla base delle esperienze passate. Tanto vale tenersi pronti per cogliere l’occasione quando si presenta, aumentando l’esposizione netta”.
Ma questa è carne da cannoni dell’inflazione, o no? “Chi sostiene che l’inflazione erode il capitale lasciato inattivo non pensa che l’inflazione erode anche gli altri investimenti. Quanto devono rendere questi per ripagare dell’inflazione, dei costi commissionali e delle occasioni mancate per mancanza di liquidità? Secondo Warren Buffet, l’investitore per eccellenza, cash is king. Sui suoi conti nel 2021 c’era il 15% di liquidità. Nelle gestioni di cui mi occupo, fatto 100 il capitale, il 40% è, oggi, in liquidità e il resto investito sostanzialmente in equity, in considerazione del binomio rischio/rendimento negativo per il mondo obbligazionario. L’inflazione è una minaccia, i gesti inconsulti in clima inflattivo due minacce”.
La cultura finanziaria italiana
Eppure non solo l’inflazione c’è e rischia eccome di erodere il valore dei risparmi di una vita quando questi languono sui conti correnti, effetto spesso sottovalutato perché non contestualizzato in una visione a medio-lungo termine, ma anche il Paese alla fine soffre di questa gigantesca ignavia collettiva che, se a livello individuale sembra comprensibile, in una visione macro mostra un Paese che si astiene non solo dall’investire in obbligazioni e titoli di Stato, ma anche nella propria realtà imprenditoriale, mancando così al ruolo di cittadino-risparmiatore. “Una liquidità di queste proporzioni non può essere considerata un tatticismo, ma il risultato della poca cultura finanziaria del Paese”, sostiene infatti Francesco Priore, decano della consulenza finanziaria. “Credo che in molti confondano liquidità con investimento e, sull’onda dei decenni passati, in cui lasciare il denaro in banca era remunerativo, non si rendono conto che oggi non solo non lo è più, ma l’inflazione lo consuma. Così si rischia di perdere potere di acquisto anno dopo anno. Al ritmo del 4% annuo, sperando che l’attuale 7% sia solo una puntata estemporanea, vuol dire che nell’ultimo anno, tolta la liquidità d’impresa, sui rimanenti 1.000 miliardi circa di liquidità privata i risparmiatori hanno già perso 40 miliardi in potere d’acquisto. E non è solo questione di non vedere che ci si sta dissanguando lentamente, ma anche di mancata opportunità di rilancio di un circolo virtuoso per il Paese. La ricchezza non la fanno le obbligazioni, poco importa che non rendano più; la ricchezza la fanno le aziende dove l’iniziativa imprenditoriale si unisce al capitale. E gli strumenti per investire nell’economia reale ci sono. Questo vuol dire non solo proteggere il proprio denaro dall’inflazione, ma anche generare un volano di posti di lavoro, stipendi, contributi previdenziali, produttività e spinta economica, che a loro volta rigenerano il circolo virtuoso. Un Paese liquido non sta lavorando per il proprio futuro e il problema è soprattutto nella cultura finanziaria che manca. Si è parlato per due anni di prevenzione del Covid. Si è riusciti a fare cultura in questo senso. Perché non fare cultura su come si previene l’effetto dell’inflazione, orientando gli investimenti verso l’economia reale e, soprattutto oggi, non verso l’economia di carta?”
Come si inserisce in questo quadro l’animo di chi vorrebbe investire per il proprio futuro avendo già un’età matura ma, proprio per questo motivo, volendo garantirsi un capitale cui attingere qualora gli eventi lo rendessero necessario? Ancora una volta, distinguendo gli investimenti per orizzonti temporali. Se una volta a 60 anni si sarebbe investito in strumenti sicuri come obbligazioni e titoli di Stato e il resto si sarebbe tenuto in liquidità per un periodo variabilmente breve e, da qui, in successione, con l’attuale aspettativa di vita le soluzioni sono più d’una, a seconda degli obiettivi.
A 60 anni, con un’aspettativa di vita residua di 20/25 anni, infatti, si può ancora investire a lungo termine, con prodotti bilanciati e il più possibile differenziati, per tutelare parte del capitale, specie quello destinato alla successione, dall’inflazione. Il resto può essere investito in modo più tattico, con la regola della massima flessibilità: poter riscattare il capitale alla bisogna è parte della strategia per una longevità sostenibile, pur senza correre il rischio della liquidità in tempi di inflazione.
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