L’imperativo della longevità. Vivere bene
È in uscita il nuovo libro del Prof. Andrew Scott, The Longevity Imperative. Ecco di cosa parla
Purtroppo ancora solo in inglese, il nuovo libro del grande esperto di longevità Andrew Scott, professore di economia alla London Business School, sarà presto disponibile anche in Italia. Non essendo tradotto, mi piace dedicare questo spazio mensile su Cocooners a raccontare, a chi non se la sente di affrontarlo in lingua originale, di cosa parla questo nuovo libro e da quali premesse scaturisce il titolo: L’imperativo della longevità.
Andrew Scott, che aveva già trattato il tema della longevità nei suoi due libri precedenti “The new long life” e “The 100 years life”, scritti insieme con la Prof.ssa Lynda Gratton, in questo nuovo lavoro spiega come l’aumento di probabilità di arrivare a 90/100 anni implichi la necessità di adattare il modo in cui viviamo a questa nuova longevità. E’ questione di calcolo delle probabilità e principi di gestione del rischio.
L’imperativo della longevità? Vivere bene
L’introduzione del libro è provocatoria: come vi sentireste se vi dicessi che la prossima settimana sarà di 8 giorni anziché 7 o il prossimo mese di cinque anziché quattro settimane? Felici? State già pianificando cosa fare in quel nuovo spazio che vi si apre? Perché allora sapere che viviamo un terzo di vita in più rispetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale non ci esalta? Un terzo in più è più di un giorno aggiuntivo nella prossima settimana. Più di una settimana extra il prossimo mese. Nell’ultimo secolo l’aspettativa media di vita è cresciuta di 2/3 anni ogni 10. Fate un po’ il conto…
Perché la notizia di 20 anni in più di vita non ci esalta?
Perché, per come stanno le cose oggi e in attesa che la medicina della longevità ci aiuti a prevenire o addirittura evitare le patologie croniche legate all’invecchiamento, questo prolungamento della vita fino a un’età molto anziana è associato a malattia, perdita di autonomia, bisogno di assistenza, rischio di impoverimento. Allora cosa si può, anzi si deve, fare? – ecco l’urgenza del termine “imperativo”.
Il progresso ci ha dato più anni da vivere, noi dobbiamo pianificare le nostre vite in modo da viverli meglio.
Ma per viverli meglio, occorre cambiare il proprio modo di vivere la vita, non solo la vecchiaia. Forse in questo modo la longevity economy non verrebbe scambiata per un mercato di nicchia per vecchi invalidi ma coinvolgerebbe tutte le generazioni in un nuovo modo di concepire l’esistenza, la formazione, la salute, il lavoro, le stesse città in cui viviamo. E le strutture sociali che governano la nostra vita di comunità. Eh sì perché la longevità è un fattore individuale che costringe il singolo individuo a rivedere il suo modo di vivere, ma è anche un fattore collettivo che chiede a stati, governi e imprese di rivedere le regole e i meccanismi che definiscono ruoli e risorse, il welfare pubblico e quello privato, il rapporto tra lavoro e carriera, tra contribuzione e distribuzione dei contributi, tra garanzie pubbliche e inziativa privata.
Il crescere continuo dell’aspettativa di vita e i cambiamenti demografici, dice Andrew Scott, stanno in alto nella classifica delle grandi rivoluzioni che interessano la nostra vita contemporanea e futura, insieme con crisi climatica e transizione digitale. Comportano dei rischi, ovvio, ma associare la longevità solo con una maggiore presenza di anziani molto anziani è un modo parziale e miope di guardare al fenomeno e soprattutto non ci è di nessun aiuto nel percorso di adattamento che dobbiamo perseguire.
Con la prospettiva di più anni davanti a noi, possiamo fare diversamente una serie di cose già oggi
“The longer we maintain our health, our productivity and our sense of engagement the more options we have when we get older and the more we value longer lives”. Più a lungo ci manteniamo in salute e produttivi, più a lungo manteniamo il nostro engagement con la vita, più opzioni avremo a disposizione quando saremo più vecchi e più valore avremo dato alla nostra longevità. Ma non è tutto qui. Con la prospettiva di più anni davanti a noi, possiamo fare diversamente una serie di cose già oggi. Possiamo ripensare il modo in cui viviamo tutta la nostra vita. E’ questo il cambiamento che Andrew Scott auspica per tutti i paesi coinvolti da questa transizione demografica e che chiama agenda evergreen: perché “sempreverde” è una pianta che rimane verde e funzionale durante più stagioni.
A questo punto mi sono detta, certo Andrew Scott scrive dal Regno Unito, una nazione con la popolazione ancora in crescita, mica come da noi, con la natalità al lumicino. Da noi, dove in assenza di bambini gli anziani spiccano, si tende ancora di più ad associare questo aumento della longevità con il “problema” anziani, più che con le opportunità della longevità che pure ci sarebbero se solo cambiassimo di qualche grado la nostra visuale.
Se limitiamo i rischi, c’è possibilità che questo tempo in più sia un piacere e un contributo alla società
Se quello che ci fa paura della longevità è la malattia e la perdita di autonomia a livello personale e il rischio di impoverimento del paese con la spesa sanitaria e previdenziale a livello collettivo, il Paese dovrebbe per prima cosa spingere i suoi cittadini a prevenire questi rischi. Rischi che prima d’ora non abbiamo mai considerato perché la quota di cittadini che raggiungeva i 90 anni era esigua. Adesso che tutti abbiamo più possibilità di arrivarci, il buon senso dice che dobbiamo fare di tutto per arrivarci bene attraverso una presa di responsabilità sui nostri stili di vita: alimentazione, movimento, prevenzione, consapevolezza di cosa ci fa bene e cosa ci fa male. Ma anche e soprattutto rivedere collettivamente il ciclo lavorativo per consentirci di mantenere un ruolo professionale e sociale anche in anni più avanzati, compatibilmente con le energie disponibili, valorizzando le risorse senior in ambienti e modalità professionali più accoglienti.
Avere uno scopo e un ruolo attivo ci permette di proteggere la nostra salute mentale, di continuare a nutrire relazioni sociali e, attraverso il prosieguo di una qualche attività lavorativa, di integrare il reddito pensionistico, scacciando anche la paura di impoverirci con l’età.
Vuol dire assicurarsi che la nostra salute e tutte le altre cose della nostra vita che hanno importanza per noi durino a lungo quanto la nostra nuova longevità. Il progresso del passato ha permesso vive più lungo, quello del futuro avrà a che fare con trasformare questa maggiore quantità di vita in qualità di vita. Quello che serve è consapevolezza e un po’ di pianificazione.
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