Lidia Ravera: la mia missione? Sterminare tutti i cliché sui perennial
«È la prima volta nella storia dell’umanità che si presenta una generazione che, arrivata a sessant’anni, ha ancora davanti a sé la prospettiva di altri trent’anni di vita. E quindi per noi è tutto da scoprire, un passaggio completamente nuovo da inventare». Così Lidia Ravera, scrittrice, giornalista, intellettuale e femminista, che dal libro d’esordio Porci con le ali (1976, due milioni e mezzo di copie vendute) non ha mai smesso di raccontare la sua generazione, descrive la passione per la vita e gli amori dei nuovi over sixty che l’impegna da quasi un decennio. Per citare il titolo di una sua opera recente, il “terzo tempo”. A loro ha dedicato una quadrilogia, una collana di romanzi rosa intitolata come il suo lavoro, Il terzo tempo; ispirandosi a loro (questa è una notizia freschissima), sta scrivendo una serie per la Rai che immagina i protagonisti della popolare sitcom Friends ancora insieme superati sessanta. «Il mio slogan, quello che ha guidato la mia lotta per la rivalutazione di questa parte dell’esistenza è: “per una vita che duri tutta la vita”».
Pensando soprattutto alle donne, mi sembra di capire…
Se lei ci pensa, il problema è che l’immaginario collettivo è abituato a nutrirsi di cliché. Ci dicono che, una volta che una donna non è più oggetto di desiderio o comunque non ha più l’età canonica degli oggetti del desiderio, non è più fertile, non è più madre di bambini piccoli, cioè non svolge più una funzione di accudimento, improvvisamente non è più niente. Questo poteva essere vero quando si moriva subito dopo. Ma, avendo ancora tutta la vita davanti, questi anni vuoti sono ora un paesaggio da arredare completamente».
Un compito che può affrontare solo una generazione grintosa come la sua: i boomers, cioè l’ultima leva che si è formata solo sui libri.
L’ha detto: pugnace, combattiva e protagonista: abbiamo cominciato negli anni in cui ci siamo formati a essere protagonisti della nostra epoca e non abbiamo ancora smesso. Abbiamo iniziato a contestare, a cercare di capire per cambiare, questo ci ha segnati: io a 15 anni invece di andare alle feste andavo alle riunioni, questo ha fatto di me una persona diversa. Mentalmente continuo a farlo, a cercare di capire per cambiare le cose, e non smetterò mai. Contesterò probabilmente anche l’agonia: siamo sempre stati abituati a scriverci da soli i copioni delle nostre vite, abbiamo deciso se seguire il destino delle nostre madri e dei nostri padri o cambiar strada, se diventare a nostra volta madri e padri oppure no, abbiamo deciso come fare politica o non farla, come essere cittadini e che cittadini essere. Non abbiamo mai subito i rintocchi che non abbiamo suonato noi.
E così ora si è assunta il compito immane di riscrivere, in compagnia di un manipolo di coetanei, il nuovo copione della terza età: più avvincente, finalmente condito d’amore e passione?
Ho cominciato a dedicare ai perennial una quadrilogia di romanzi sull’invecchiare, che comincia con Piangi pure e finisce con L’amore che dura, in mezzo ci sono Gli scaduti e, appunto Il terzo tempo. Sto scrivendo una serie umoristica per la Rai, lei è una delle prime a cui lo rivelo, di cui sono anche story editor: ho praticamente riscritto la sitcom Friends con tutti e sei i protagonisti sopra i sessant’anni, le tre ragazze e i tre ragazzi che si amano, si pigliano e si mollano, s’incasinano nello stesso modo. Perché la vita non cambia se non la vuoi far cambiare. È chiaro: è un’altra stagione, hai altri desideri, ti piacciono cose diverse, ma non è quel cilicio doloroso che uno s’immagina.
E poi ha fondato una collana letteraria in cui si raccontano eros e passioni dei perennial.
L’ho proposta a Giunti che ha accettato, abbiamo pubblicato in due anni otto romanzi d’amore, sempre con protagonisti sopra i sessanta, sei scritti da donne, due da uomini: ho fatto fatica a stanarli, perché i maschi non giocano, non ne sono molto capaci.
Giocare in che senso?
Perché questo è un gioco: ho chiesto agli autori di scrivere un romanzo rosa e con il lieto fine, che avesse al centro l’amore tra persone dai sessan’anni in su. Le donne hanno risposto a centinaia e le sei che ho pubblicato sono molto brave e molto spiritose. Con gli uomini ho fatto più fatica, ma alla fine ho trovato due autori bravissimi e coraggiosissimi, che hanno scritto una coppia di romanzi deliziosi e molto sorprendenti: Paolo Guzzanti, autore di L’ultimo amore non si scorda mai, e Daniele Cini, che ha scritto Se son rose sfioriranno.
Che sguardo hanno gli autori maschi su questa parte della vita, assomiglia in qualche modo alla rappresentazione femminile?
Sì e no. Sintetizzando, viene fuori che le loro vecchiaie sono più dignitose delle nostre. Perché a noi ci massacrano fin da quando abbiamo quindici anni col fatto che dobbiamo essere fresche, che se scadiamo poi rimaniamo nella discarica sociale. A loro riconoscono, invece, da sempre questo fatto incontrovertibile che più invecchi più diventi intelligente.
È davvero così?
È più giovane, ma glielo posso assicurare: anche io ero una cinquantenne non stupida, esattamente come lei. Ma, rispetto a quella che sono adesso, ero una mezza cretina. Ora sono dieci volte più intelligente, più padrona di me: ho più classe, più stile, più senso dell’umorismo. Ecco, agli uomini tutto questo viene riconosciuto. Non a caso il mondo, in particolare i giovani, ora è pazzo per gli anziani. Mia figlia ha sposato un uomo che ha 34 anni più di lei e ne è davvero innamorata, non l’ha mica fatto perché lui è miliardario. No, è proprio pazza di lui.
Anche sul sesso i perennial maschi hanno uno sguardo diverso?
Beh, tanto per dirne una, uno dei due romanzi, quello di Daniele Cini, Se son rose sfioriranno, prende molto di petto il tema dell’impotenza: nessuno l’ha mai raccontato in un un romanzo rosa. A costo di ripetermi: è una delizia.
Un ingrediente che non manca davvero è l’ironia.
Fermo restando che si tratta di romanzi di grande qualità, quelli femminili sono anche molto autoironici, A cominciare da Non essere ridicola, di Brunella Schisa, fino ad arrivare a Elena Vestri con Mai dire mai più: fanno veramente ridere. Linda Brunetta, ne Il meglio deve ancora venire, immagina addirittura una situazione simile alla mia, cioè una protagonista con un genero che è più vecchio di me. Solo che qui alla fine la madre si mette col genero. Non è che lo porta via alla figlia, noi non facciamo queste cose brutte: è la figlia che lo lascia e lui si mette con la suocera, perché a un certo punto capisce che tutto sommato si diverte più con una coetanea, hanno molto più cose in comune.
Ci vuole in effetti parecchia ironia a immaginare un lieto fine in una situazione del genere.
Ma anche i romanzi dai maschi strappano grandi sorrisi: è un bell’esercizio. Le mie autrici e i miei autori lo hanno fatto con gioia, con allegria e molto bene. Io ho fatto degli editing micidiali, come faccio ai miei romanzi, sono tutti ben scritti e ben confezionati. È un “rosa” di qualità, ma è un rosa. E io ci tengo perché questo è un lavoro politico per me.
Politico in che senso?
È il lavoro di un’intellettuale, di una testimone d’epoca ormai anziana come me, che vuole sterminare i cliché sulla vecchiaia. Non hanno più senso perché, come le ho detto all’inizio, quest’esperienza non l’ha mai vissuta nessuno prima di noi, siamo delle avventuriere ed è bellissimo, stiamo camminando in una prateria sconosciuta.
Che quadro viene fuori dell’amore e del sesso sopra i sessanta dai racconti dei suoi coetanei?
Il sesso ci fa ridere e ci fa sorridere: non è più quel must, non abbiamo più niente da dimostrare, non dobbiamo più far dispetto alla mamma. Anche l’erotismo cambia. Il problema non è più barbarico e penetrativo, contano la tenerezza, l’affetto, la sensualità e la complicità. Conta il fatto che il corpo è grande, non è più solo un buco e una trivella. Si è come allargato il nostro immaginario e dentro ci sta anche la nostra “impotenza”, lo scriva tra mille virgolette. Insomma non è che abbiamo più la mitologia dell’essere deflorate: abbiamo vissuto, abbiamo amato, il nostro corpo è imperfetto, ma anche il loro.
Un mito duro da scardinare, quello secondo cui gli uomini invecchino meglio…
Non è che invecchiano meglio perché sono più belli, è che ricevono uno sguardo che li accetta. Mentre noi riceviamo dagli uomini giovani uno sguardo che ci rifiuta, perché siamo tutti condizionati. I corpi cambiano, ma non è detto che l’unico modello estetico possibile sia quello delle olgettine o delle modelle. Io nella vita ho sempre sculettato col cervello e continuo a farlo: mi viene benissimo e credo che anche questo possa essere considerato attraente.
La seduzione non conosce età?
La seduzione usa semplicemente altri strumenti, ma non finisce. Si continua a cercare la relazione, a “condurre a sé”, che poi alla fine è l’etimologia del verbo sedurre. Io trovo la vecchiaia una fase della vita molto elegante, molto leggera: mi sento come le foglie secche che si staccano dall’albero, perché non devono più fare ombra a nessuno, e cominciano ad andare verso terra, ma sono molto leggere quindi ci vanno lentamente, prendono ogni bava di vento e questo allunga la loro esplorazione e il loro tempo.
Invecchiando miglioriamo?
Quello che migliora è l’intelligenza del reale: se a quarant’anni hai letto duemila libri a sessanta ne hai letti diecimila; sei sei uscito da tre situazioni difficili cavandotela sempre, trent’anni dopo sei uscito da sessanta situazioni analoghe, quindi hai una muscolatura interiore più robusta. Per il resto sei quello che sei. Io, sciaguratamente, tengo da quando ho memoria dei quaderni di appunti in cui mi guardo vivere. Ho recentemente traslocato e avevo qualcosa come trenta casse di questi quaderni. Così, mettendoli a posto, mi sono ritrovata a sfogliarne un po’ di quando avevo ventitré, venticinque, ventisette anni, per scoprire che ero assolutamente la stessa persona di adesso. È addirittura imbarazzante vedere quanto mi somiglio. Non è che invecchiare ci interrompa. Accade solo se siamo succubi di quello che gli altri pensano di noi. Di come ci vedono altri che, in ogni caso, non sono liberi, perché come noi hanno ingoiato cliché per tutta la vita.
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