Le poesie più emozionanti per celebrare la Giornata Mondiale della Poesia

Il 21 marzo non è solo il primo giorno di primavera, ma è anche la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall’UNESCO nel 1999, per celebrare e promuovere il genere poetico.
La poesia, troppo spesso sottovalutata dai contemporanei, riesce a toccare le corde profonde dell’animo umano più di quanto possa fare la prosa. Suscita emozioni, sentimenti, ricordi, riflessioni e, per dirla con la poetessa Sylvia Plath, fa scoprire un nuovo modo di essere felice.
Anche noi, in questa giornata, vogliamo sottolineare l’importanza della poesia, proponendo qualche brano poetico tra i più toccanti ed emozionanti.
“Infinito” di Giacomo Leopardi
L’Infinito, composto da Leopardi nel 1819, è una delle poesie più coinvolgenti ed è la più conosciuta al mondo.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo,. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Nel componimento ogni parola, ponderata e scelta con cura, contribuisce ad esprimere la carica emotiva di un’esperienza estatica. Da una dimensione fisica e sensoriale il poeta è arrivato ad una metafisica, a vivere l’infinito spazio – temporale, superando il limite oggettivo e contingente.
Questa dimensione non è facile da definire, eppure Leopardi ci è riuscito benissimo, usando parole attinenti alla sfera semantica dell’infinito: interminati spazi…sovrumani silenzi… profondissima quiete… infinito silenzio… l’eterno …questa immensità.
Se in un primo tempo il ritrovarsi in una dimensione sconosciuta e la perdita dei suoi riferimenti lo hanno spaventato (ove per poco/il cor non si spaura), alla fine Leopardi, fondendosi con l’universo (tra questa/ immensità s’annega il pensier mio), prova una profonda serenità, espressa con il bellissimo ossimoro, il naufragar m’è dolce.
“Mattina” di Giuseppe Ungaretti
M’illumino
d’immenso
Sono due versi, stupendi, scritti da Ungaretti nel 1917, mentre era soldato durante la Prima Guerra Mondiale.
Per la loro comprensione dobbiamo considerare anche il titolo, Mattina, come parte integrante del brano. Si capisce così che il poeta ha descritto la sensazione che ha provato al sorgere del sole: è stato un momento liberatorio, vissuto dopo l’oscurità della notte.
Sono soltanto quattro parole, minime, essenziali, ma sono così significative ed incisive da evocare da sole una condizione esistenziale assoluta, in cui Ungaretti avverte il senso di infinito e di essere in sintonia con il tutto (sensazione non facile da provare mentre si vive tra gli orrori della guerra).
Il componimento è costituito da un’unica, ma potentissima, figura retorica, la sinestesia, che accosta due parole di due sfere sensoriali-percettive diverse: quella visiva della luce ed il concetto dell’infinito. In questo modo Ungaretti ha trasmesso con grande efficacia e potenza l’idea della simultaneità della percezione, riuscendo a suscitare nel lettore quella forte emozione che egli ha provato.
“Quasi anonima sorridi” di Fernando Pessoa
Quasi anonima sorridi
e il sole indora i tuoi capelli.
Perché per essere felici
è necessario non saperlo?
La felicità appare improvvisamente come una donna anonima, che sorride, mentre il sole indora i …capelli.
Il senso del componimento è tutto racchiuso in quel termine, particolarmente eloquente, anonima, cioè senza nome, sconosciuta. Perché è importante non riconoscere la felicità, per essere felici? E’ lo stesso Pessoa che dà una risposta: la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto (da Il libro dell’inquietudine).
Con parole diverse il filosofo britannico John Stuart Mill ha detto la stessa cosa: chiedetevi se siete felici e cesserete di esserlo. La felicità, infatti, sparisce nel momento in cui si cerca di definirla e di spiegarla razionalmente.
“Lavandare “ di Giovanni Pascoli
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Nella prima strofa prevalgono delle sensazioni visive: il campo mezzo grigio e mezzo nero, un aratro senza buoi ed il vapor leggero della nebbiolina. Si avverte subito un senso di solitudine e di abbandono, espresso molto bene sia dal participio passato, dimenticato, sia dal fatto che il campo è rimasto arato solo per metà.
La seconda strofa invece è caratterizzata da sensazioni uditive che provengono dal ruscello (gora), dal fonosimbolismo del verbo, sciabordare, e dell’espressione, tonfi spessi, che fanno pensare al lavaggio dei panni nell’acqua, oltre che dalle lunghe cantilene delle lavandaie.
Nella terza, infine, vengono riportate le parole di una cantilena, il cui tema è la solitudine di una donna, che si sente abbandonata dopo la partenza dell’amato.
Il contenuto di quest’ultima strofa sembra scollegato dalle descrizioni delle strofe precedenti. In realtà il poeta, con il quadro iniziale dell’aratro, ha anticipato la rivelazione finale sulla donna abbandonata che si ritrova come l’aratro … che pare dimenticato.
Pascoli, così, ha trasmesso in modo efficace lo stato d’animo di una donna proprio grazie alla rappresentazione simbolica della realtà, in cui gli oggetti, diventati simboli della condizione umana, ne rendono meglio la percezione.
“Ed è subito sera” di Salvatore Quasimodo
Ed è subito sera è una delle poesie più famose di Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura nel 1959, ed è una delle più rappresentative della corrente dell’ermetismo. E’ una corrente che si è sviluppata verso il 1930 ed è caratterizzata essenzialmente da componimenti corti con pochi versi e dalla carica evocativa e simbolica della parola.
Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Innanzitutto colpisce come Quasimodo sia riuscito a condensare in pochi termini concetti profondi che riguardano l’intera condizione esistenziale dell’uomo.
Il poeta, infatti, con pochissime parole, ma evocative e dense di significato, e con immagini rapide e scarne, tratta i grandi temi dell’esistenza: la solitudine e l’incomunicabilità, la compresenza della gioia e del dolore, la fugacità e la precarietà della vita umana.
Viene subito annunciata una inconfutabile verità, di cui possiamo solo prendere atto: ognuno di noi, pur trovandosi con altri, vive in uno stato di solitudine esistenziale.
Nel secondo verso il raggio di sole indica una speranza di felicità e rappresenta la vita stessa, se non fosse per il participio passato, trafitto, che, invece, rimanda a qualcosa di fortemente negativo. Nel verso è, infatti, contenuta un’ambivalenza: la luce del sole illumina e dà la vita, ma anche brucia.
Il contrasto tra gli effetti benefici e dannosi del sole da una parte riprende il concetto doloroso del primo verso, dall’altra, con la sensazione di rapidità che esprime, anticipa il sopraggiungere improvviso della sera che diventa metafora della morte.
“Spesso il male di vivere ho incontrato” di Eugenio Montale
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato
Si tratta di una delle più famose liriche di Montale, Premio Nobel per la Letteratura nel 1975.
Cos’è il male di vivere? È uno stato di angoscia che per Montale deriva dalla constatazione del non senso dell’esistenza (il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro / di me, ha scritto in Forse un mattino andando in un’aria di vetro).
Nell’incipit l’io lirico introduce subito il concetto del male di vivere e, perché possa essere meglio compreso, lo rende concreto, ricorrendo al correlativo oggettivo. Montale, cioè, esprime la sua sensazione attraverso alcuni oggetti o immagini concrete che dovrebbero suscitare nel lettore ciò che egli ha provato.
Per spiegare in cosa consista il male di vivere, il poeta si serve di tre immagini: il rivo strozzato che gorgoglia, l’incartocciarsi della foglia/riarsa, il cavallo stramazzato.Il fluire faticoso del ruscello, a causa di un impedimento, rimanda agli ostacoli della vita, l’accartocciarsi della foglia insecchita allude alla perdita di vitalità ed il cavallo stramazzato rappresenta le nostre sconfitte.
Per ovviare a questi mali, per il poeta non c’è altro modo se non nell’assumere un atteggiamento di divina Indifferenza (Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza). Questa Indifferenza è da intendere come l’atarassia epicurea e stoica che consisteva nel distacco emotivo dalle sofferenze.
In perfetta simmetria con i versi della prima strofa, anche nella seconda il poeta ricorre a tre correlativi oggettivi, per spiegare il concetto di Indifferenza. La statua fa pensare all’imperturbabilità, la nuvola, e il falco alto levato rimandano all’idea di essere al di sopra dei tormenti.
Indubbiamente le immagini della seconda quartina offrono un’idea di staticità rispetto al dinamismo, anche se sofferente, di quelle della prima strofa. Eppure il volo del falco verso l’alto potrebbe suggerire anche l’idea del bergsoniano slancio vitale e di un rinnovato interesse per la vita.
“L’amore è un mistero” di Alda Merini
L’Amore è un mistero.
Perché mai ci innamoriamo?
È un grande furore
che ci placa di tutti i nostri tormenti,
è una grande pena
che ci guarisce
da tutte le guerre.
L’innamorato è uno strano guerriero
che sorride
e vuole bene agli altri.
L’innamorato fa sbocciare
tutte le rose del mondo,
ma gli altri le calpestano
per un impulso improvviso
di bruciante gelosia.
L’amore è un mistero è una stupenda poesia d’amore di Alda Merini.
L’incipit della poesia sembra una conclusione lapidaria: l’amore è un mistero, è qualcosa di inspiegabile, per cui è difficile parlarne.
Invece non è così, perché Alda ne parla in quattordici versi con una passione travolgente come solo lei sa fare.
L’amore è…furore…è pena: esordisce la poetessa. Sono due termini carichi di significato: il primo allude all’impeto, smoderato, incontrollabile, irrazionale, il secondo alla sofferenza.
L’amore, allora, è un sentimento che è allo stesso tempo impeto, forza, che però non distrugge, anzi dona pace, ci placa di tutti i nostri tormenti, ma è anche il contrario, è debolezza, che, però, ci cura e ci guarisce. Per spiegare l’amore, in tutto il brano Alda Merini ha usato immagini potenti, ma concettualmente contrastanti.
La poetessa è stata abilissima, perché è proprio in emozioni opposte che consiste l’essenza dell’amore. E’ tutto ed il contrario di tutto ( gioia, godimento esaltazione, pienezza di vita, ma anche sofferenza, frustrazione, annichilimento, rovina), a tal punto che è difficile definire questo sentimento in modo univoco e certo.
Anche l’espressione, l’innamorato è uno strano guerriero/ che sorride/ e vuole bene agli altri, appare contraddittoria o meglio può essere un ossimoro, ma quanta verità c’è in essa! Chi è innamorato ha la forza di combattere contro ogni ostacolo ed al tempo stesso vuol bene agli altri e diffonde bellezza e vita attorno a sé, proprio come un giardino in fiore (l’innamorato fa sbocciare/tutte le rose del mondo).
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