La scrittura non ha età
Gli scaffali delle librerie pullulano di scrittori che hanno raggiunto il successo non più giovanissimi. Non un fenomeno, ma un dato di fatto
Scrivere è un mestiere per vecchi. Quella che potrebbe sembrare una provocazione è in realtà la fotografia perfetta del panorama letterario attuale che prosegue, ça va sans dire, lungo il solco di una storia, quella della letteratura, piena di esempi di scrittori che hanno raggiunto il successo in età matura, sfidando le convenzioni e la morale comune per dare vita a opere amatissime. Che resistono, naturalmente, al passare del tempo.
Perché trovare la fama, ma soprattutto la propria strada nella vita ha poco a che fare con l’età anagrafica. Semmai con il coraggio e con una sana dose di cazzimma che permette di sfidare la sorte – e in qualche caso anche un’esistenza tranquilla -per regalarsi il brivido di inseguire i propri sogni. E pure di realizzarli. Un discorso che, una volta di più, vale per la scrittura dal momento che non esistono scadenze o limiti di età per dare vita, su una pagina bianca, a storie e racconti in cui gli anni passati, più che un ostacolo, diventano feconda fonte di ispirazione. Se per esempi di longevità creativa sarebbe sufficiente citare Sofocle, che novantenne scriveva l’“Edipo a Colono”, oppure Goethe, che alla soglia degli ottant’anni ultimava la seconda parte del “Faust”, è fuor di dubbio che la tendenza attuale che vede prolificare opere “prime” -ma che magari hanno poltrito nel cassetto da tempo – di scrittrici e di scrittori dai capelli grigi non è affatto un fenomeno nuovo. Ne sapeva qualcosa un certo Charles Bukowski che, al netto di una vita professionale movimentata che l’aveva visto impiegato in una fabbrica di sottaceti e in un ufficio postale, aveva pubblicato il suo primo romanzo “Post Office” a 51 anni. Non propriamente giovane per i canoni dell’epoca, così come non era sicuramente uno sbarbato José Saramago, che aveva abbandonato la professione di meccanico di automobili per dedicarsi al giornalismo e alle traduzioni prima e alla stesura di racconti poi per raggiungere la fama internazionale solo con il suo quarto romanzo, “Memoriale del Convento”, andato alle stampe nel 1982 quando il novello scrittore era poco più che sessantenne. E che dire dell’irlandese Frank McCourt che pubblicò il suo romanzo autobiografico “Le ceneri di Angela” quando aveva sessantasei anni e che qualche anno dopo vinse il Premio Pulitzer? Anche Alice Munro, la scrittrice canadese Nobel nel 2013 per la letteratura, ha guadagnato un posto tra i big letterari molto tardi, nonostante si fosse dedicata per tutta la vita all’arte del racconto – che, per inciso, ha saputo rivoluzionare in maniera netta ma gentile – e ha raggiunto un successo tardivo accompagnato, per la gioia dei suoi estimatori, da un’opera vasta che continua a stupire lettori di ogni latitudine. E di ogni generazione.
Perché se è vero che esistono gli enfant prodige capaci di sviluppare al meglio il loro talento in giovane età, è altrettanto vero che la genialità è libera di palesarsi negli anni della maturità senza rischiare un precoce pensionamento. Anzi, tante volte è proprio grazie a quest’ultimo – inteso nel senso letterale del termine- che possono esplodere passioni e inclinazioni tenute a lungo in silenzio o considerate poco più che passatempi. Un esempio per tutti è Andrea Camilleri che è diventato famoso a 67 anni dopo aver abbandonato per sopraggiunti limiti di età una carriera come sceneggiatore e regista e che, dopo aver venduto più di tutti in Italia, ha salutato il commissario Montalbano coerentemente con il suo credo. “Smetterò di scrivere quando semplicemente non ci sarò più”.
Magia del terzo tempo della vita, un potere che oggi più che mai strizza l’occhio ai lettori dai banconi delle librerie dove una schiera di agguerrite late bloomers – termine che, nel mondo anglofono, identifica le persone che si realizzano professionalmente in una stagione diversa da quella della giovinezza – dimostrano una volta di più come la genialità si manifesti appieno nell’ultima stagione della vita. Peraltro, questo tema è da tempo al centro di un dibattito che appassiona un intero filone della geriatria secondo il quale la creatività intellettuale si sviluppa in maniera direttamente proporzionale al trascorrere degli anni e di questi se ne nutre in termini di esperienza e di vita vissuta. Così Caterina Zaina, classe 1942, ha fatto tesoro degli anni trascorsi al fianco del marito scrittore Carlo Castellaneta fino a decidersi a impugnare lei stessa la penna per affidare a un’autobiografia toccante il suo racconto di donna nelle differenti fasi della vita racchiuso in “Un romanzo di venti case e un giardino” (Gaspari Editore). Non è stata da meno la sua coetanea Nella Frezza che, dopo un’esistenza dedicata all’insegnamento, ha avuto il coraggio di dare alle stampe “Bugie di famiglia” (Salani), un racconto di segreti e di bugie che legano i padri e i figli sullo sfondo dell’Italia del boom economico, tra i prodromi del femminismo e le prime battaglie sociali, in mezzo all’emigrazione e ai sanguinosi anni del terrorismo che lei stessa ha vissuto in prima persona. C’è poi Licia Fertz che ha dimostrato in tutto e per tutto di essere padrona del tempo presente diventando influencer alla soglia dei 90 anni grazie alla complicità dell’amato nipote Emanuele e dando alle stampe un libro dal titolo più che emblematico, “Non c’è tempo per essere tristi” (De Agostini), un omaggio al carpe diem all’ennesima potenza dal quale tutti, più o meno agé, hanno da imparare.
“Quando hai novant’anni – scrive la Fertz – pensare al passato può essere pericoloso, perché la tristezza può bussarti alle spalle. Anche pensare al futuro non è facile, quando il tramonto è più vicino all’alba. La via per la felicità è guardare al presente. Buon anno è per le ragazze, buon adesso è per le signore”.
E voi avete il vostro libro nel cassetto?
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