La ricerca della propria felicità
Diciamocelo! Abbiamo tutti passato gran parte della nostra vita sospinti dal vento di convenzioni sociali che hanno segnato la rotta della nostra esistenza secondo parametri ampiamente collaudati.
La strada del sogno o della convenzione?
Quanti hanno scelto il proprio percorso di studi pensando anche, se non soprattutto, ai futuri sbocchi lavorativi piuttosto che alle proprie inclinazioni e passioni?
E quanti hanno intrapreso carriere che garantivano un certo status sociale, un certo tenore di vita, una certa sicurezza, anche quando queste cose non coincidevano con le proprie aspirazioni più profonde?
Abbiamo tutti ceduto al pragmatismo dei dictat sociali che in maniera più o meno pesante ci hanno instradato su un percorso fatto di tappe quasi obbligate.
Abbiamo tutti seguito le mode e fatto nostre le tendenze del momento anche quando magari non ci si confacevano totalmente, semplicemente per conformarci e sentirci integrati nel nostro tempo e nel nostro spazio.
Abbiamo tutti cercato di non strappare le vele quando su di esse soffiava prepotente e spesso violento il vento delle aspettative altrui e abbiamo tutti a volte lasciato il timone al vento di cliché e imprinting culturali e familiari.
Tutti abbiamo avuto momenti in cui farsi trasportare dalla corrente è stato piacevole e riposante.
E tutti abbiamo pensato almeno una volta che tutto ciò che avevamo messo in stiva temporaneamente lo avremmo tirato fuori un giorno, tutti ci siamo detti che i nostri moti interiori più intimi e autentici che magari non erano perfettamente allineati al sentire comune, erano solo accantonati, in attesa di riemergere in gran spolvero al momento opportuno.
Tempus fugit
Perché diciamocelo, tutti da giovani abbiamo pensato che avevamo tutto il tempo del mondo.
Peccato che quando arriviamo a capire che “tempus fugit” troppo spesso non troviamo più la chiave della stiva e se la troviamo ci scoraggiamo al pensiero di riprendere in mano le redini dell’imbarcazione.
Ci chiediamo se a quel punto ne valga la pena, dubitiamo di esserne ancora capaci e temiamo di rimanere delusi.
È esattamente in questo imprecisato punto dell’oceano esistenziale che capisci che passata la boa dei 50 anni non hai più tempo per tutte queste domande.
Ne varrà la pena?! La ricerca della felicità vale sempre la pena di essere intrapresa.
Ne sarò ancora capace?! Se non ci provo non lo saprò mai. E la cosa più bella è che non ho da dimostrarlo a nessuno se non a me stessa.
E se rimango delusa?! Correrò il rischio, perché preferisco fare i conti con una delusione che con un rimpianto.
Ascolta te stessa
Scavallati i 50 anni abbiamo tutti il dovere di ascoltare le nostre correnti interiori e dare a tutto ciò che abbiamo archiviato nella stiva, la chance di vedere la luce.
Perché se è vero che la vita comporta fatiche e rinunce, è altrettanto vero che a un dato momento possiamo anche scegliere noi quali fatiche affrontare e quali rinunce fare.
Affronto la fatica di issare le vele per governare i miei venti interiori utilizzando i miei desideri come bussola e rinuncio al plauso generale in favore della mia soddisfazione personale.
Questo rende la seconda parte della mia vita la più bella e gratificante di sempre.
Non devo più sottostare alle paure e alle insicurezze della giovane età perché ora la paura più grande è quella di sprecare il mio tempo e le mie energie per cose che non sento mie e l’unica sicurezza che voglio coltivare è quella di aver fatto ciò che realmente mi faceva stare bene
Una volta lessi una frase meravigliosa che recitava:
QUANTA FELICITÀ PUOI SOPPORTARE ?
La vostra Vale Grey Model
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