La pittura surrealista a 100 anni dalla nascita
Correva l’anno domini 1924, quando André Breton (1896 – 1966), poeta, saggista e critico d’arte, pubblicava il primo Manifesto del Surrealismo, in cui esponeva i principi di una delle avanguardie artistiche e letterarie più importanti del Novecento.
La critica alla razionalità nel Manifesto del Surrealismo
Nella prima parte del Manifesto del Surrealismo André Breton critica la società contemporanea per l’uso indiscriminato della razionalità. Il razionalismo assoluto che rimane di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alla nostra esperienza. I fini logici, invece, ci sfuggono. …In nome della civiltà, sotto pretesto di progresso, si è arrivati .. a proscrivere qualsiasi modo di ricerca della verità che non sia conforme all’uso: scrive, infatti, Breton nel Manifesto.
Fortunatamente le scoperte di Freud hanno aperto un mondo che non era stato considerato. Ha spinto, così, ad investigare oltre la realtà fenomenica ed a ricercare linguaggi nuovi che potessero esprimere l’inconscio.
Cos’è il Surrealismo
Il Surrealismo, come si legge nel Manifesto, è un automatismo psichico puro. Con questa espressione si vuole indicare la libera associazione di idee e di immagini che avviene meccanicamente, senza la partecipazione della coscienza né della volontà, senza la logica del ragionamento e senza alcun condizionamento morale e culturale.
Il termine stesso, surrealismo, coniato nel 1917 dallo scrittore Guillaume Apollinaire, fa riferimento a sensazioni che rimandano ad un livello che va oltre la realtà. Il prefisso, sur-, infatti, indica il superamento di un limite, per cui Sur-realismo significa andare sopra il reale, oltre la realtà fenomenica ed oltre i limiti della ragione e delle convenzioni. Il surrealismo, perciò non nega la realtà, ma la supera. Per Breton, infatti, si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate e sull’onnipotenza del sogno.
In una delle sue opere più famose, L’interpretazione dei sogni, Freud aveva sostenuto che “il sogno è la via maestra per l’inconscio”. Anche per i surrealisti il sogno diventa un’epifania dell’interiorità, nella misura in cui lascia affiorare le pulsioni dell’inconscio, libere dai vincoli della razionalità e dal controllo del Super-ego. I surrealisti hanno fatto in modo che quella parte che emerge nel sogno, affiori anche quando siamo svegli. La sintesi tra veglia e sogno, tra realtà e fantasia è raggiungibile solo nella sur-realtà, in quella che Breton ha chiamato realtà superiore.
La pittura surrealista
Nell’ambito della pittura l’automatismo è stato realizzato con l’accostamento di elementi inaspettati, con l’ utilizzo di immagini strane ed anche angoscianti e con la sperimentazione di molteplici tecniche: dal collage (sovrapponendo e incollando carte, fotografie, oggetti, ritagli di giornale), alla decalcomania (trasposizione su una superficie di immagini a colori, impresse su una carta opportunamente predisposta), al frottage (strofinamento di una matita o pastelli, ecc. su un supporto, appoggiato ad un oggetto con parti in rilievo), ed al grattage (raschiamento della pittura ancora fresca stesa sulla tela).
Il compito dell’artista era quello di raffigurare delle immagini spontanee, libere da freni inibitori, in modo che i contenuti dell’inconscio riaffiorassero non solo durante i sogni, ma anche nello stato di veglia. Sulle tele, perciò, sono rappresentate immagini oniriche, irrazionali e stravaganti che, scevre da ogni tipo di condizionamento, rivelano quei pensieri e quelle emozioni contenuti nell’inconscio, perché repressi o rimossi dalla coscienza.
I maggiori esponenti del Surrealismo
Ecco una panoramica degli artisti più famosi che hanno contribuito a rendere importante il movimento surrealista.
Salvador Dalì
L’artista surrealista più famoso è senza dubbio Salvador Dalì (1904-1989). Dalla personalità eccentrica visse sempre fuori dagli schemi.
La sua pittura è stata influenzata dal dadaismo e da Picasso, ma soprattutto dal Surrealismo di cui fu poi uno dei suoi massimi esponenti.
Dalì utilizzò una particolare tecnica di automatismo, a cui diede il nome di metodo paranoico-critico. Attraverso questo metodo, come ha spiegato egli stesso, riproduceva sulla tela la razionalizzazione dei suoi deliri che lo costringevano ad andare oltre la percezione reale delle cose.
Ne è un esempio il suo capolavoro: La persistenza della memoria.
La persistenza della memoria di Dalì
Nel dipinto La persistenza della memoria del 1931, conservato al MoMa di New York, emergono tre orologi molli, mentre un solo orologio è solido. I tre orologi molli, raffigurati non come sono nella realtà, ma secondo una visione irrazionale, ci offrono del tempo una lettura diversa dal tempo fisico che viene scandito oggettivamente dalla lancetta dell’orologio.
In questa opera il cosiddetto tempo oggettivo della scienza, interpretato come una successione meccanica di minuti e di ore, viene rifiutato dalla memoria che ha del tempo una percezione non oggettiva, ma soggettiva.
Secondo il concetto di “durata” del filosofo Bergson lo scorrere del tempo, infatti, ha una velocità diversa e relativa in ciascuno di noi ed in momenti diversi a seconda del vissuto individuale: un’ora può sembrarci un attimo, mentre un minuto un’eternità.
Ecco perché gli orologi sono rappresentati molli e dilatati. Sulla realizzazione di queste forme ha influito, indubbiamente, oltre al concetto di durata di Bergson, anche la teoria della Relatività e della deformazione dello spazio e del tempo di Einstein.
René Magritte
René Magritte (1898- 1967), invece, non ha deformato la realtà, ma l’ha dipinta in modo figurativo, convinto che tutte le cose visibili nascondono altre cose invisibili.
Il suo stile risente di una minuziosa precisione realistica, per cui i suoi oggetti sono immediatamente individuabili. Eppure ciò che sconcerta è che le sue immagini, pur riconoscibili, sono sorprendenti e generano dei dubbi.
Esemplificativa è la famosa opera, Questa non è una pipa ( del 1929, conservata al County Museum of Art di Los Angeles) in cui la scritta elimina il significato di ciò che è stato dipinto.
L’immagine dipinta sulla tela non lascia dubbi: è una pipa. Una scritta sottostante, però, afferma: Questa non è una pipa (Ceci n’est pas une pipe).
Come abbiamo detto, chi guarda è perplesso. Magritte puntava proprio a questo: a sbalordire l’interlocutore, per indurlo a meditare.
In questo caso il tema che vuole proporre è il rapporto tra finzione e realtà. Magritte ha voluto far riflettere sul fatto che la pipa dipinta è una rappresentazione, ma non è l’oggetto che viene rappresentato. La rappresentazione, quindi, non è la realtà!
L’ambiguità del paradosso visivo emerge da un’altra opera altrettanto famosa: Il falso specchio del 1928.
Il dipinto, conservato al MoMa di New York, è completamente occupato da un occhio, in cui l’iride sembra una finestra da cui ammirare un cielo azzurro con delle nuvole bianche.
Di fronte a questo quadro potrebbe sorgere spontanea la domanda: il cielo è ciò che l’uomo sta vedendo o è il suo desiderio? Il titolo sembra dare la risposta: un falso specchio è uno specchio che non riflette la realtà. Di conseguenza ciò che è rappresentato e che noi vediamo non è l’esterno, ma è l’interiorità di quell’uomo. Si chiarisce così anche il senso della pupilla nera, al centro dell’occhio e del quadro: è il simbolo del guardare all’interno, non al di fuori. E dentro l’uomo c’è la luce, ma anche l’oscurità.
Le tele di Magritte, piene di mistero e di simbolismo, ci invitano, quindi, ad interrogarci sui significati che si celano oltre l’apparenza, per cercare di scoprire la verità che si nasconde.
Le sue immagini sono infatti metafora della ricerca di un senso.
Joan Miró
Mentre Magritte si è ispirato allo stato di veglia, partendo dalla pittura metafisica di De Chirico, Joan Mirò (1893- 1983), un altro surrealista famoso, si è ispirato al sogno.
Se Magritte ha dipinto in modo figurativo, Mirò ha preferito la pittura astratta. Ha lasciato emergere il suo inconscio attraverso soggetti onirici, attraverso la linea curva e la spontanea e libera associazione di colori, anche contrastanti. A differenza di Magritte, infatti, la sua è un’arte che si fonda non sull’immagine, ma sull’emozione.
Esemplificativo è il famoso dipinto Il Carnevale di Arlecchino del 1924, conservato nell’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. Guardando attentamente, è possibile intravvedere, sparsi in maniera casuale sulla tela, un gatto, un pesce, un tavolo ed un triangolo nero, che simboleggia la Tour Eiffel, a sinistra c’è una scala, che potrebbe essere il simbolo dell’evasione dalla realtà oppure dell’elevazione spirituale.
In questa tela l’artista ha deformato la realtà ed ha rappresentato le suggestioni dell’inconscio in modo fantasioso e positivo, con immagini carnevalesche e vivaci, dalle forme fluide ed ondeggianti e con una ricca gamma cromatica.
All’anno successivo, 1925, risale un altro quadro molto famoso di Mirò, un esempio significativo della sua sperimentazione artistica: Ballerina II ( conservato presso la Collezione Rosengart di Lucerna).
La ballerina non è rappresentata nella sua essenza, ma viene indicata da varie metafore. Dei cerchi punteggiati, che formano una spirale, suggeriscono l’idea del movimento fluttuante della danza, un cerchio fa pensare alla testa della danzatrice ed è collegato, tramite un filo sottile, ad un cuore di colore rosso.
Il cuore non è solo simbolo del corpo, ma, in quanto organo che batte ad un ritmo costante, può essere interpretato anche come simbolo del suono e del movimento. Delle linee nere sottili rimandano, poi, all’idea degli arti.
Mirò è ricorso ad una grande varietà di segni che richiamano la sua interiorità e rimandano a simboli universali, come per esempio, al maschile/femminile di Dona i ocell. (La donna e l’uccello), una struttura verticale del 1983, che l’artista ha realizzato poco prima della morte e che si trova nel parco Joan Miró a Barcellona.
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