Invecchiare in buona salute: da cosa dipende?
I nostri geni pesano solo per il 22%. Il resto dipende da dove e come viviamo
Al Salone del Risparmio quest’anno è stato invitato a parlare uno dei più famosi esperti di longevità: Nicola Palmarini, direttore del NICA, il National Innovation Center for Aging inglese. L’ente è finanziato dal governo del Regno Unito ma a dirigerlo c’è un italiano con una lunga militanza, prima, all’IBM. Cosa ci facesse un esperto di innovazione e longevità al Salone del Risparmio è presto detto: anche la finanza si sta rendendo conto di quanto pesi l’allungamento della vita non solo sulle nostre abitudini ma anche sulla nostra economia personale e familiare. Motivo per cui l’intervento di Nicola Palmarini è stato applaudito a lungo.
Nella sua presentazione ha mostrato una efficace rappresentazione delle determinanti della nostra salute. L’ho presa in prestito per questa rubrica e per ciò ringrazio Palmarini ma anche WHO, l’Organizzazione Mondiale della Sanità cui si deve la paternità dell’immagine.
Fonte: WHO – What makes people healthy and what makes them ill?
Genetica o ambiente?
Come appare chiaro, la genetica e la biologia, cioè la nostra natura più intima ereditata da chi ci ha preceduto e le nostre predisposizioni, pesano solo per il 22%. Le fette più importanti di responsabilità vanno a comportamenti individuali o stili di vita (36%) e alle circostanze sociali (24%). A seguire con percentuali minori la disponibilità di e accessibilità di strutture sanitarie (11%) e l’ambiente in cui si vive (7%).
Tolta la parte che ereditiamo nei nostri geni, quindi, a determinare la nostra salute siamo noi e la società in cui viviamo. Il che significa che i rischi legati alla buona o cattiva salute appartengono alla categoria di cose almeno in parte controllabili da noi stessi. Come si dice: Signore, fammi distinguere le cose che non posso cambiare da quelle su cui posso intervenire e dammi la forza per affrontare l’una e l’altra verità.
La verità qui è che noi abbiamo un ruolo importante nella determinazione della nostra salute fisica e anche mentale. Niente di nuovo. Ma nella rilettura del ciclo di vita che impone un continuo aumento della sua durata, questa eterna verità assume un’importanza ancora maggiore. Dopo aver vinto la battaglia sull’aspettativa di vita, che ormai è avviata di gran carriera verso i 100 anni, si apre quella della longevità in buona salute. Il vero regalo di questa nuova epoca centenaria è infatti quello di darci più tempo per le cose che ci piace fare, per la nostra crescita, per la coltivazione dei nostri affetti e interessi, per altre esperienze.
Cosa significa vivere più a lungo?
Vivere improvvisamente così a lungo apre nuovi spazi. Per esempio la fascia 60/75 anni, periodo della vita che all’epoca dei nostri nonni era considerato piena vecchiaia ed oggi è invece l’adolescenza della senilità: energie e curiosità ancora in abbondanza, con in più l’esperienza e la consapevolezza che di solito associamo a un’età anziana. E’ questo apparente ossimoro il vero regalo della longevità.
Dalla medicina che cura alla medicina preventiva
Perché la fase successiva di vita, quella che ci porta verso i 100 anni, non si riprenda il regalo con tutta la carta e il fiocco, occorre ridurre lo spazio a disposizione di fragilità e patologie dell’invecchiamento. In attesa che ci riprogrammino per invecchiare come nuovi, sta a noi fare la nostra parte. E alla medicina uscire dal modello “intervento su patologie acute” per potenziare la prevenzione, intrecciando scienza e quotidianità in una nuova ricetta fondata su consapevolezza e responsabilità dell’individuo. Queste due parole sono al centro dei cambiamenti imposti da una vita sempre più lunga: la responsabilità di renderla sostenibile cade sempre più su di noi, su nessun altro, né lo Stato né la provvidenza. E il segreto è comprenderlo. Se ci rifiutiamo di assumere le nostre responsabilità saranno i nostri familiari a pagarne lo scotto, dovendoci sostenere economicamente o fisicamente nella nostra età avanzata che corrisponde, nei nostri figli, con quella fase che abbiamo chiamato il regalo della longevità. Come a dire, evitiamo di guastarglielo.
Consapevolezza e responsabilità
Un recente articolo di Wired lanciava l’allarme per la diffusione del diabete nel Regno Unito dove, come in molti altri Paesi compreso il nostro, il sistema sanitario è in grave crisi dopo il Covid. In UK si registrano 5 milioni di malati di diabete su 68 milioni di popolazione. In Italia i dati parlano di 3,5 milioni di malati di diabete su 60 milioni di popolazione (dati 2020) pari a un 5.9%. Ma quello che conta è che il 68% dei malati è over 65. Il diabete ha purtroppo spesso un lungo periodo di latenza, o per meglio dire di assenza di sintomi, ragione per la quale i numeri rappresentano solo la parte emersa e diagnosticata, cui corrisponde circa almeno un terzo di malati in più non consapevoli.
C’è però una condizione clinica che viene considerata l’anticamera del diabete: la sindrome metabolica, altamente diffusa: ne soffre il 40% delle persone tra i 60 e i 70 anni. Questa sindrome si manifesta attraverso la coesistenza di almeno 3 dei seguenti fattori: obesità, o, più esattamente, circonferenza vita superiore o uguale a 102 centimetri per gli uomini, 88 per le donne; ipertensione (pressione sanguigna superiore a 130/85), bassi livelli di HDL (colesterolo buono inferiore a 40 mg/dl negli uomini, 50 nelle donne), glicemia alta (superiore o uguale a 110 a digiuno), trigliceridi alti (superiori o uguali a 150 mg/dl).
Quanti di noi si riconoscono in questo quadro clinico che già di per sé tende a sviluppare problemi cardio-circolatori, ma è riconosciuto anche come anticamera del diabete?
Cosa influisce sulla sindrome metabolica
Alimentazione (per esempio l’assunzione di troppi zuccheri semplici, ma anche tutti quegli stili alimentari che, pur prescindendo dallo zucchero, inducano in sovrappeso), sedentarietà e invecchiamento. Escluso che si possa riportare indietro l’orologio biologico, restano l’alimentazione e la sedentarietà. In Italia il 40% dei lavoratori passa 7 ore al giorno seduto e il 35% della popolazione è in sovrappeso. La diffusione di questi comportamenti e l’aumento del numero di anziani ha portato a un raddoppio dei casi ufficiali di diabete negli ultimi 20 anni.
Un recente articolo di Wired attribuiva giustamente alla povertà ma anche all’impoverimento una pesante responsabilità nella determinazione delle condizioni di salute delle persone. Per fare esercizio, se non ti puoi permettere la palestra, ci vorrebbero spazi praticabili, possibilmente verdi. Per mangiare un pasto sano ci vogliono 3 volte i soldi necessari per un pasto non sano. Anche la casa gioca un ruolo fondamentale e condizioni di scarsa vivibilità, come la presenza di umidità e muffe o il sovraffollamento, possono essere fattori scatenanti di malattie respiratorie e patologie infettive.
Per fortuna non siamo soli
In un mondo in forte invecchiamento lo sviluppo di una medicina preventiva – da associare a una maggiore consapevolezza sia dei pazienti sia dei medici di famiglia – è sempre più determinante. Se le cose restano come sono, nessuno Stato sarà in grado di offrire assistenza gratuita a una popolazione sempre più longeva e sempre più bisognosa di cure.
Buona parte delle energie spese in questo senso dalla comunità scientifica vanno nella direzione dello sviluppo di una medicina della longevità che intervenga per riequilibrare gli squilibri biologici generati dal passare degli anni dai nostri comportamenti che scatenano alla lunga molte patologie legate all’invecchiamento. Lo scopo, infatti, è separare l’invecchiamento dalle sue malattie.
Un aiuto a riequilibrare la nostra biologia, potenziando gli interventi autodeterminati di miglioramento degli stili di vita e di alimentazione, viene dai nutraceutici, una nuova classe di prodotti a metà tra integratori e medicinali, che opera a livello sistemico per modificare gli squilibri che ci abitano, cercando di riallineare le nostre condizioni biologiche, evitando o allontanando lo sviluppo di patologie che influiscono sulla qualità della vita.
Chi opera nella medicina della longevità, tra questi in Italia SoLongevity, sviluppa un modello di medicina di precisione che parte da screening genetici ed epigenetici, cioè relativi non solo ai geni ma anche a i cambiamenti di espressione che nel tempo i geni hanno sviluppato: smorfie significative per gli esperti dei nostri connotati genetici, spie che raccontano a quali patologie è più probabile che andremo incontro nei prossimi anni. I geni – mi hanno spiegato – sono interruttori di possibili patologie di cui abbiamo ereditato la predisposizione che però e per fortuna potrebbero rimanere spenti per tutta la nostra lunga vita. L’epigenetica invece è lo studio dei cambiamenti di espressione dei nostri geni che influiscono sui nostri equilibri biologici, quelli che alla nascita sono pressoché perfetti e con il passare del tempo, l’adozione di stili di vita discutibili, ambienti inquinati, condizioni di stress e un’alimentazione sbagliata perdono l’allineamento originario.
Tornare ogni tanto con il pensiero alla mappa delle determinanti della salute può essere un modo di ricordarci che le cose inevitabili sono meno di quante le crediamo e che è nostra almeno una delle mani che governano le redini della nostra longevità.
Photo: Frida Aguilar Estrada- Unsplash
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