In vino veritas: da manager rampante a viticultore
Se volete sapere che fine ha fatto Ottavio Muzi Falcone, ex Managing Director, Head of the Corporates Group Europe Debt Capital Markets di Merrill Lynch cercate su Linkedin. Scoprirete che oggi è un farmer, un contadino. Cura personalmente la terra, pota le viti, brucia le sterpaglie.
Ma attenzione. Questo non è un hobby. Né la vita riservata a uno che ha potuto smettere di lavorare in anticipo. Piuttosto una scelta consapevole. Con il chiaro obiettivo di iniziare una nuova fase. E dedicare molte ore della giornata invece che alle alchimie finanziarie, alla terra.
Muzi Falconi ha una storia che nelle mani di un geniale e visionario regista come Paolo Sorrentino potrebbe trasformarsi in una pellicola onirica e sincopata, proprio come la sua vita.
Mamma per metà ginevrina e milanese di nobile lignaggio della famiglia Bompiani, papà metà italiano e angloirlandese di lavoro Diplomatico. Così come diplomatici erano i nonni paterni entrambi Ambasciatori italiani di stanza a Jakarta in Indonesia.
Crescere in un sistema famiglia così articolato e qualificato significa molte cose, ma certamente una. Dare forma e visione alla propria mente per poter raggiungere risultati importanti. E così è stato. Cambiare continuamente punti di riferimento per un adolescente come lui si è rivelata una forza e non una scusa per perdersi. E questo non è scontato, anzi.
E poi… due mogli e quindi due famiglie. Un ristorante takeaway aperto (e poco dopo chiuso) nella City londinese. Lo Yoga. 11 maratone confermando che lo sport aiuta a trovare una direzione quando l’hai persa. Il crac Lehman Brother vissuto da dentro e nel 2008 all’età di 47 anni la decisione di mollare tutto, per ritornare là dove sua nonna aveva vissuto gli anni più importanti della vita, gli ultimi, a Montemarcello nel Golfo dei Poeti. Un luogo che ha qualcosa di magico e si chiama così non a caso. Ha attratto poeti, pittori e scrittori. Ovvero menti disallineate, creative e visionarie, cioè diverse.
Qui l’ex uomo di finanza e di rapporti con imprenditori e politici internazionali ha un agriturismo con 6 case immerse nel verde alcune con piscina, curate maniacalmente. Ma soprattutto 8 ettari di bosco solo in piccola parte vitati. Produce 3.000 bottiglie all’anno di un vino IGT Liguria di Levante che dal 2020 è certificato biologico. È quella che si definisce enologia coraggiosa ed eroica.
Perché proprio Montemarcello?
«Mia nonna materna era venuta qui alla fine degli anni 50 per ritirarsi dopo anni in giro per il mondo con mio nonno. L’ambasciatore italiano in Indonesia a Jakarta. Hanno vissuto anni vorticosi in quella parte di mondo che sono culminate con la Rivolta dei Boxer.
Lei era profondamente innamorata di questi posti e della natura. Si è battuta con le persone del paese per difenderlo dalle speculazioni edilizie di quegli anni. È sempre stata un vero e proprio punto di riferimento della mia vita e un esempio da seguire. Tornare qui è stato naturale e forse anche doveroso.
Ora ti sei fermato, prima?
«Sono nato a Roma nel 1961 ma già all’età di un anno ci siamo trasferiti in Argentina, poi Spagna, Italia e Inghilterra per seguire il lavoro di mio padre, un diplomatico. Siamo sempre stati in movimento. Ho fatto la scuola spagnola, francese, inglese e italiana. Non facile perdere continuamente i riferimenti e doversi ricostruire relazioni e amicizie. Soprattutto quando sei giovane. Poi il rientro in Italia, mia madre ha insistito perché facessi l’Università a Roma. Sono orgoglioso di dire che mi sono laureato con Federico Caffè il più grande kyenesiano italiano».
Beh, con una formazione e una famiglia così…
«Non credere che sia stato tutto facile e in discesa, anzi…».
Figlio e nipote di ambasciatori, laurea in tasca, quindi?
«Inizio a lavorare per Intesa San Paolo, poi a 25 anni mi mandano a Londra e dopo a Madrid. Mi ricordo che sono partito da Londra con la mia Uno Rossa, un viaggio fantastico. Rimango in Spagna qualche anno fino a quando mi offrono una posizione importante in Merrill Lynch e rientro in Inghilterra, un paese a cui devo molto. Il mio compito era fare delle acquisizioni. Siamo alla fine degli anni 80, inizi 90 e il mondo delle banche è in grande trasformazione. Ci sono molti investimenti e l’ambiente è dinamico. Le cose vanno bene. Così arriva a sorpresa la posizione di Vice President. Un ruolo certamente importante, che ha trasformato la mia vita in un inferno. Viaggiavo due volte a settimana in giornata da Londra a Madrid e quando ero in ufficio avevo un team di centinaia di persone da coordinare. Una situazione che con il tempo si è rivelata insostenibile».
Beh, ci sono lavori più faticosi…
«Certamente, ma io vivevo così da anni ormai. E se ci sono indiscutibilmente dei vantaggi, sul piano personale questa vita ti annienta».
Immagino che l’ambiente non sia quello rilassato di una grigliata fra amici…
«Sono entrato in un duro conflitto con il mio capo coreano. Quando ho capito che dietro alla proposta di una promozione c’era l’obiettivo di sfruttare una serie di relazioni con il mondo imprenditoriale a politico italiano e di fatto la volontà di parcheggiarmi, ho dato le dimissioni».
Quindi?
«Capivo di essere cambiato. Di volere altro, ma non sapevo che cosa. Per rispettare il gardening obbligatorio nel mondo finanziario mi sono dedicato all’apertura di un ristorante a Londra, nella City. Una formula innovativa che non ha funzionato e ho deciso di chiudere per riprendere in mano la mia vita. Ho gestito il divorzio dalla mia prima moglie dalla quale nel frattempo avevo avuto due figli che ora vivono a Londra.
Finito il gardening, finito tutto?
«C’erano dei segnali di stanchezza per quel mondo e quelle regole. Ma non ero pronto. Così ho accettato di lavorare per Barclays Capital dove ero a capo dell’Investment Banking da Londra per l’Italia, ma quella era una realtà troppo rigida per me…
Nel 2001 ho conosciuto Margot, la mia attuale compagna con cui ci dividevamo fra Londra dove vivevo e Milano dove viveva lei. Intanto capivo che gli anni erano passati per me. Nel mondo delle banche internazionali la maturità si raggiunge intorno ai 40 anni e poi è normale che le persone che hai cresciuto e sono più giovani, ti fanno le penne. Funziona così. E mi è successo. Decido di rallentare e mi ritagliano un ruolo come figura istituzionale occupandomi di strumenti finanziari complessi. Nel 2005 l’insofferenza è tanta e chiedo di passare più tempo in Italia.
Poi arriva il crac Lehman del 2008?
«Ero in Barclays ormai “datato” e complice il crollo di Lehman Brother, mi cacciano. (testuale ndr). Avevo 47 anni. All’inizio non sapevo che bene cosa fare. Certo avevo dell autonomie economiche, ma anche due famiglie e una vita dispendiosa. È facile commettere errori e perdere tutto. E poi ero ancora pieno di adrenalina. Per calmarmi e rientrare in una vita fatta di equilibrio fra lavoro e tempo libero ci ho messo un anno. Mi sono fatto “curare” dallo Yoga e dallo Sport. Il mio obiettivo era prepararmi per la Sky Marathon di fondo in Engadina, e così mi sono allenato per questo per un anno intero.
Poi sei diventato contadino…
In quegli anni bazzicavo da queste parti. Nel 2003 avevo iniziato a ristrutturare dei rustici che avevo acquistato per il legame con questa terra da parte della mia famiglia. Fino a quando, nel 2010, ho comprato la casa dove vivo ora che aveva di fronte una piana di 1 ettaro, Pian della Chiesa. Guardavo questo campo piatto, una rarità da queste parti di colline impervie. Ma non sapevo che cosa farci. Così ho pensato di diventare coltivatore diretto, un contadino. Sentivo di avere trovato la mia direzione. Lasciare tutto quel mondo per rifugiarmi e rinascere in mezzo alla natura. Dedicarmi a qualcosa di concreto. Vero e tangibile. Ritornare alla terra è stato per me una vera a propria rinascita. Sì, era questa la soluzione. L’avevo finalmente capito…
Perché decidi di fare vino?
«Perché è la cosa più difficile. E poi mettere gli ulivi non sarebbe stato così bello dal punto di vista estetico. Le viti sono basse e la vista del paesaggio ne guadagna. Cercavo qualcosa che fosse in sintonia con il posto e che mi piacesse molto: io amo il vino. Ho commissionato uno studio scoprendo che c’erano tutte le condizioni. Così è nato Margot e Margot Terrazze, il nome è della mia attuale moglie. I vitigni sono Syrhaz, Massaretta e Merlot. Nel Margot Terrazze che è il nostro vino top c’è anche il Carbenet Franc con le uve che arrivano dal campo di fronte a casa.
In vigna lavoriamo in 3: io, un aiuto per la campagna e il wine maker Giorgio e Davide Baccigalupi. A fine Settembre ci sarà la vendemmia. Lancio un invito a tutti i lettori di Cooconers. Chiunque voglia provare a vivere questa esperienza può scrivetemi una mail andando sul sito. Sarà un’esperienza indimenticabile».
Un uomo “di target” come te, quale si è dato?
Nessuna crescita né obiettivi da raggiungere. Continuiamo con le nostre 3.000 di bottiglie che vendiamo online o qui in cantina, affittiamo le case del nostro Agriturismo e facciamo apprezzare questo luogo magico a chi ci fa visita. Certo, con il tempo si aggiungerà qualche altro terreno da vitare, magari uno spazio per fare degustazioni, ma senza fretta. Adesso le uniche che lavorano in modo operoso qui sono le api dei nuovi alveari appena impiantati.
Quindi hai abbandonato definitivamente la vita da “Wall Street il denaro non dorme mai”?
«È difficile cambiare. Ma posso dire di sì. Anche se ammetto che quando in inverno alle 4 c’è buio e sono costretto a rientrare in casa scappo a Milano. Forse è una piccola traccia del passato. Un modo per ingannare la parte della mia mente ancora tarata su quei ritmi. Ma sto guarendo… Infatti, sento subito il richiamo della terra e rientro qui. In fondo la mia nuova vita è questa e non la cambierei mai più».
Pronti per la vendemmia?
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