Il Cuneo Fiscale e l'Impatto sulle Pensioni: nuove Dinamiche con il Decreto Legge "Lavoro"
Che cos’è il cuneo fiscale
Il cuneo fiscale corrisponde alla differenza tra quanto viene speso da un datore di lavoro per ogni singolo dipendente e quanto, poi, effettivamente il lavoratore si ritrova in busta paga. Può, quindi, essere definito come il totale della tassazione che grava su qualsiasi salario e stipendio.
Anche i pensionati, però, subiscono gli effetti del cuneo fiscale perché anche per questa particolare categoria di soggetti esiste un regime fiscale che porta ad avere una notevole differenza tra la pensione lorda e quella netta effettivamente percepita.
Il totale in percentuale della tassazione è molto spesso davvero elevato e proprio per questo motivo è costantemente oggetto dei dibatti e delle varie riforme fiscali e finanziare che i diversi governi cercano di mettere di volta in volta in atto. Troppe, però, sono le cause e le motivazioni alla base del cuneo fiscale per cui nella maggior parte dei casi non è possibile riuscire a ridurlo.
Il particolare caso del cuneo fiscale sui pensionati
Uno dei problemi fondamentali che deve essere affrontato è quello di portare le pensioni medie ad un aggiornamento proporzionale al costo della vita. E’ proprio sulla base di questa considerazione che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha deciso di rivalutare e di innalzare buona parte delle pensioni. In media è stato calcolato che queste verranno aumentate del 7,3% ed è per questo che, ad esempio, quelle minime verranno portate a 600 euro al mese per le persone al di sopra dei 75 anni d’età.
I cambiamenti in atto saranno differenti in base all’importo dell’assegno. In particolare:
– gli ISEE al di sotto della no tax area, cioè quelli inferiori a 8500 euro annui, vedranno un aumento della tassazione dal momento che questi redditi non sono sottoposti al pagamento della quota IRPEF
– gli ISEE compresi tra 8500 e 15000 euro, invece, saranno portati al 23% di IRPEF.
Quali saranno gli effetti del taglio del cuneo fiscale
Gli effetti del taglio del cuneo fiscale previsti dall’attuale governo Meloni sono stati così previsti:
– 231 euro all’anno per redditi fino a 10 mila euro all’anno
– 346 euro all’anno per redditi fino a 15 mila euro all’anno
– 395 euro all’anno per redditi fino a 20 mila euro all’anno
– 329,23 euro all’anno per redditi fino a 25 mila euro all’anno
– 395,08 euro all’anno per redditi fino a 30 mila euro all’anno
– 394,23 euro all’anno per redditi fino a 35 mila euro all’anno
In realtà queste riduzioni nella tassazione applicata sono certi per i lavoratori dipendenti, ma non sono ancora stati definiti per le pensionati. La discussione in merito, infatti, è ancora in corso e si è in attesa dei relativi chiarimenti.
In generale, però, molti sono gli economisti che hanno criticato quest’azione fiscale, sostenendo che le riduzioni previste sono davvero minime. In realtà il Governo ha voluto dare un segnale alla popolazione per far capire che lo Stato è dalla parte dei lavoratori (e forse anche dei pensionati). Vi saranno comunque altre manovre e azioni che verranno realizzate per i redditi più bassi, come per esempio i bonus bollette per far fronte ai costanti incrementi di luce e gas.
Non vi è nessuna modifica neppure per quanto riguarda l’Opzione Donna a cui potranno aderire solo pochissime lavoratrici prossime alla pensione.
Le prospettive per il futuro, poi, sembrano buone e a tutto favore degli italiani. Se, infatti, il Primo Ministro uscente aveva portato la riduzione del cuneo fiscale al 2% medio, Giorgia Meloni prevede di incrementare questo sconto al 5%.
Perché le recenti riforme non sono andate a migliorare anche la condizione dei pensionati?
Il motivo principale per cui le recenti riforme non hanno inciso positivamente anche sulla maggior parte dei pensionati è, senza ombra di dubbio, l’incremento costante dell’inflazione che, tra l’altro, non si prevede possa scendere nell’iimediato futuro.
Tutto ciò, infatti, sta portando ad un aumento del debito pubblico che rischia di diventare sempre più gravoso per l’economia nazionale. Non si deve trascurare, poi, che l’età media della popolazione italiana aumenta sempre più perciò il numero delle pensioni che vengono pagate dall’INPS sta incrementando, mentre quello delle persone che versano i contributi sta, invece, diminuendo.
Una possibile riforma delle pensioni
Al momento attuale il Governo Meloni non ha ancora deciso come modificare il sistema pensionistico. Troppe sono le problematiche che devono essere affrontate e poche, invece, sembrano le soluzioni efficaci da poter applicare.
Quello che sembra più certo è che:
– l’applicazione della quota 103 che ad oggi viene scelta da molti lavoratori prossimi alla pensione dovrebbe terminare il 31 dicembre 2023
– la quota 41 dovrebbe terminare definitivamente con il 31 dicembre 2023. La Lega non sembrerebbe molto favorevole a questa interruzione, ma la decisione dovrebbe essere inevitabile dal momento che il suo costo è davvero troppo alto e non giustificato dalla normativa precedentemente applicata che prevedeva, comunque, l’uscita dal lavoro dopo il versamento di 41-42 anni e 10 mesi di contributi.
In sostanza, quindi, si tornerà all’applicazione della Legge Fornero, mentre la possibilità di poter andare in pensione in anticipo sarà quanto più eliminata.
Come funziona la Quota 103
La Quota 103 prevede che una persona possa andare in pensione a soli 62 anni d’età se ha versato almeno 41 anni di contributi. L’importo dell’assegno pensionistico, però, deve essere inferiore a 5 volte quello minimo, che per ora corrisponde a 600 euro. Uno dei motivi principali per cui si è scelta l’applicazione di questa normativa è quello di liberare quanti più posti di lavoro per creare nuove opportunità di impiego e di carriera per tutti quei giovani lavoratori che, invece, attualmente si trovano in una posizione di disoccupazione o inoccupazione. Facendo questa scelta di uscita anticipata dal lavoro, i soggetti interessati dovrebbero comunque rinunciare a una piccola quota mensile. E’ stato calcolato che sarebbero circa 44 mila le persone che potrebbero decidere di farne richiesta per cui l’esborso da parte dell’INPS non dovrebbe essere troppo elevato. Altri vantaggi a favore dello Stato, sarebbero poi dettati dal fatto che non si potrebbe fare cumulo tra più forme pensionistiche differenti (per esempio non si potrebbero sommare i contributi da lavoratore dipendente con quelli versati come libero professionista) e, comunque, vi è una pensione massima che potrà essere erogata, pari a 2840 euro mensili lorde, che corrispondono a circa 2000 euro al mese. SI tratta di pensioni che ben poche persone riescono a raggiungere!
La possibilità di percepire la pensione a soli 63 anni in due tempi diversi
L’INPS prevede anche di poter fare uscire dal mondo del lavoro le persone che hanno raggiunto i 63 anni d’età e che hanno versato dei contributi dopo il 1996. Chi volesse, infatti, potrebbe andare in pensione già a 63 e fino a 67 percepirebbe un assegno mensile leggermente decurtato per poi raggiungere la quota piena solo a 67 anni d’età. Questa seconda quota verrebbe calcolata con il sistema contributivo su tutti i contributi effettivamente versati prima del 1996.
La normativa, in realtà, è ancora molto dubbia ed imprecisa perché non si capisce ancora quali devono essere i requisti per scegliere volontariamente di uscire dal mondo del lavoro a 63 anni. Una delle ipotesi prevede a quell’età il versamento di 30 anni di contributi.
Le tante critiche mosse alla riforma delle pensioni
Molte sono le critiche che sono state mosse nei confronti della possibile riforma delle pensioni, prime fra tutte quelle che riguardano la cifra stanziata per attuarla. Nello specifico, viene più volte sottolineato come per il taglio del cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti siano stati previsti circa tre miliardi di euro, mentre per la riforma delle pensioni nulla. Molto probabilmente alla base di questa decisione ci sarebbe un’estrema prudenza da parte del Ministro Giorgetti.
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