I criteri della longevità sui criteri DE&I
I criteri DE&I e ESG sono un must nelle aziende, soprattutto nelle grandi aziende e nelle corporation che ricevono direttive precise in tal senso delle case madri che devono, a loro volta, implementarle.
E’ assodato che non si può fare una buona governance senza prendere in considerazione le diversità e non solo perché è socialmente equo, ma anche perché, come è ormai noto, la diversità paga in termini di risultati aziendali. Si sa infatti che la varietà di culture, estrazioni, attitudini e punti di vista amplia orizzonti e visione dell’azienda, concilia l’innovazione e permette di interpretare in modo più estensivo le aspettative e i desiderata di un pubblico straordinariamente variegato in epoca di globalizzazione e longevità, con 6 generazioni insieme contemporaneamente.
Per questa ragione, da qualche tempo anche l’età è entrata nelle diversità che interpretano le politiche di equità e inclusione. Dopo genere, etnia, religione, orientamento sessuale e disabilità, entrano in campo le generazioni.
Perché sono rilevanti età e diversità generazionali?
Perché per la prima volta nella storia l’ambiente lavorativo, riflesso di quanto accade nella società, è abitato contemporaneamente da almeno 4 generazioni, nelle PMI familiari anche 5 perché i capostipiti, spesso ancora attivi, possono avere un’età ragguardevole, a rappresentanza della generazione testimone dell’ultima guerra mondiale. Non era mai successo prima. Un ambiente plurimo quindi, con persone che in virtù della generazione di appartenenza hanno attitudini e concezioni diverse riguardo al rapporto di lavoro, il luogo di lavoro, il tempo di lavoro, gli incentivi e la motivazione, l’equilibrio di vita e il ruolo della carriera.
Si prospetta quindi una nuova era nella quale gli HR avranno molto da fare per aggiornare le politiche aziendali a una nuova realtà pluri-multigenerazionale.
Quali sono le generazioni sociali contemporanee?
- la cosiddetta Generazione Silenziosa, i nati tra gli anni 20 e 40 del secolo scorso;
- i Boomers, la generazione del dopoguerra protagonista del boom delle nascite, che oggi ha più di 55 anni e meno di 75
- la Generazione X che oggi ha tra i 40 e i 55 anni
- i Millennial, tra 25 e 40 anni
- la Generazione Z, gli attuali ventenni (tra 10 e 25 anni per essere più precisi)
- la Generazione Alpha che però non lavora ancora perché ha meno di 10 anni.
A che cosa serve riconoscere le generazioni sociali? Solo a inquadrare il momento storico e/o gli eventi sociali che hanno formato ogni singola coorte: la guerra e la familiarità con il concetto di sacrificio, il boom economico del dopoguerra e il ‘68, l’austerity e il terrorismo, le recessioni e la fine del posto fisso, la precarietà del lavoro e delle famiglie, fino al Covid.
Non bastano queste generalizzazioni per comprendere chi si ha davanti ma aiutano purché ci si ricordi sempre che ogni persona è il risultato della propria storia e delle proprie frequentazioni. Tuttavia le influenze sociali e storiche, economiche e di costume plasmano attitudini collettive verso il lavoro, verso il risparmio, verso la famiglia, verso il senso della vita.
Cosa motiva un esponente della generazione Z, la più giovane tra i lavoratori?
Evidentemente non le stesse cose che motivano un boomer, anche se in molti casi condividono interesse per lo stesso incentivo ma per ragioni diverse. E’ il caso del cosiddetto smart working probabilmente interessante sia per il giovane che vuole tempi e luoghi di lavoro più flessibili, sia per un nonno o una nonna che vorrebbero dedicare più tempo ai nipoti o semplicemente a se stessi, godendo di quella quota di tempo che prima destinavano al trasporto da casa al lavoro e viceversa. Così come la formazione per indirizzare una carriera e la formazione per allargarne un’altra sono due modi diversi di motivare persone di generazioni diverse, chi sta ancora cercando la propria strada e chi cerca sbocchi diversi per una seconda o terza carriera.
Ci sono persone che non amano incontrarsi online e altre che non lo trovano per niente ostico o riduttivo, persone che accettano di buon grado di essere disturbate nel proprio tempo privato per questioni lavorative e persone che ritengono sacro proprio spazio privato, intere generazioni che hanno concepito il lavoro come un dovere e nuove generazioni che lo intendono come parte integrante della propria vita e pertanto soggetto a valutazioni in base a come si concilia con il privato, quanto tempo libero lascia, quale impatto sulla società. Anche queste sottili differenze sono spesso questione di età.
Infine, in un Paese sempre più vecchio che sta portando a regime una riforma previdenziale che cambierà profondamente i flussi di reddito pensionistico, i lavoratori più senior non potranno che lavorare sempre più a lungo e/o prevedere un’attività professionale meno intensa ma pur remunerata nel periodo post pensionamento. Possono davvero le aziende rinunciare alle conoscenze che tutti i lavoratori senior portano con sé quando se ne vanno in pensione? Possono rischiare di perdere i pochi giovani talenti di cui dispone il nostro Paese disamorato della genitorialità e di una formazione competitiva? Trattenere e attrarre talenti sarà il compito degli HR, sapendo che nella società fluida della longevità sarà sempre meno l’età a contare ma le conoscenze e le competenze.
La diversità è già nella società
Diversità di culture ed etnie cui ci siamo abituati negli anni ruggenti delle campagne “United Colors” di Oliviero Toscani per Benetton, tanto che nostri baby Alpha, se devono indicare un compagno di classe con un colore di pelle diverso lo distingue per il colore di cappellino o della maglietta. Non per essere politically correct, semplicemente perché il colore della pelle per loro è irrilevante. Diversità di genere, con risultati altalenanti e non del tutto risolti, ma che pur tuttavia hanno creato una società dove discriminare una donna rispetto a un uomo o un omosessuale rispetto a un etero è stigmatizzato, come è giusto che sia. E i più giovani ti spiegano che di fronte a una persona non si riconosce nella diversità di genere binaria si usano pronomi declinati alla seconda persona plurale…
Succederà anche con le età, più prima che poi, perché nella realtà c’è già un rapporto di convivenza e contaminazione tra figli adolescenti e genitori che volevano cambiare il mondo, tra nonni ottantenni e nipoti ventenni, in una multigenerazionalità oggettiva in cui non esiste più il tavolo dei bambini nelle riunioni familiari e il cosiddetto mentoring e reverse mentoring è già nei fatti. L’hanno dimostrato i nostri senior nella crisi pandemica, adattandosi a festeggiare i compleanni su zoom. Merito loro, ma anche della contaminazione dovuta a una promiscuità generazionale effettiva.
Non si può che lavorare per portare lo stesso risultato nelle aziende, lavorando per sensibilizzare i lavoratori e il management, trovando occasioni di collaborazione reale fuori da ruoli ed etichette, traducendo la multigenerazionalità oggettiva e demografica, in intergenerazionalità soggettiva e progettuale.
Quante generazioni ci sono nella vostra famiglia? E nell’azienda in cui lavorate? Le trovate qui
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