Francisco Goya in mostra a Milano: dalla luce al buio
Una mostra a Palazzo Reale, a Milano, che si terrà fino al 3 marzo 2024, ripercorre l’iter personale e artistico di Francisco José de Goya (1746 – 1828), uno dei più importanti artisti spagnoli, un pittore rivoluzionario, ma anche innovatore, realistico, ma anche visionario e talvolta enigmatico.
Viene giustamente presentato come uno dei precursori dell’arte moderna.
Nessuno come lui, inoltre, ha saputo anticipare con forza gli orrori del Novecento e nessuno come lui ha saputo narrare le mostruosità di cui l’uomo è capace.
La cosiddetta “maniera scura”
Dopo un primo periodo artistico, le cui opere erano caratterizzate da tonalità luminose e da temi leggeri, in cui l’artista si è focalizzato soprattutto sulla società spagnola e sulle sue abitudini, si assiste a un radicale cambiamento dell’artista che gli storici dell’arte fanno coincidere con una grave malattia, contratta nel 1792.
Il doloroso cambiamento personale di Goya avviene, peraltro, in un momento storico particolare, contrassegnato prima dalla salita al trono di Carlo IV , un monarca incapace, e poi dalla Rivoluzione francese e dalla successiva epoca napoleonica.
Non c’è quindi da meravigliarsi se da quel momento il suo registro pittorico è radicalmente cambiato. Al posto dei temi leggeri e dei toni allegri della gioventù Goya ha incominciato a rappresentare la parte “nera” dell’ umanità.
Partito da una formazione neoclassica, che si contraddistingueva per la ricerca del “bello ideale”, che inneggiava a forme semplici, lontane dai virtuosismi barocchi, ma caratterizzati da una grazia che derivava dall’equilibrio e dall’armonia delle forme, Goya è giunto a riabilitare e a legittimare il brutto in arte e lo ha fatto con uno stile onirico e visionario.
Ha anticipato così quell’estetica e quella sensibilità romantica, che spesso, in contrasto con la misura e l’equilibrio neoclassici, tendeva all’eccesso o alle visioni deformanti delle emozioni o addirittura cadeva nella mostruosità. Il suo intento era quello di denunciare le deformità della società dell’epoca ed anche il male che alberga nell’uomo e che ostacola la ragione. Lo ha fatto usando un linguaggio nuovo, per lo più aspro, irriverente e con uno stile pittorico personale ed ironico, deformando la realtà e dando libero sfogo alla sua immaginazione ed alla sua fantasia.
La pittura di Goya, quindi, è in gran parte lontana da ogni ideale di bellezza. Anzi la sua pennellata poco curata, ma veloce gli ha permesso di manifestare le sue emozioni, di raffigurare le sue fantasie, le sue pulsioni irrazionali e di far affiorare l’inconscio. “Come se Goya, in anticipo di un secolo, si rendesse conto che la ragione illuminista non basta più, che ha bisogno di espandersi e di collaborare con l’ inconscio, che deve necessariamente fare i conti con l’interiorità di un individuo. Con i suoi sogni. Ecco perché i sogni nascosti e i dipinti di Goya non sembrano tanto incubi quanto scene di vita di ordinaria sebbene deforme, raffigurazioni della bruttezza alla quale siamo abituati”, scrive giustamente Roberta Scorranese sulle pagine del Corriere della Sera.
Goya, infatti, non ha esitato a raffigurare il male, che è insito nella realtà ed in ciascuno di noi, rappresentandolo spesso sotto le sembianze di mostri. La denuncia del trionfo del male, comunque, non è mai fine a se stessa, ma punta l’accento sull’incapacità dell’uomo di contrastarlo. Con questo non si vuole dare all’opera di Goya anche una valenza morale – pedagogica, quanto sottolinearne la capacità di cogliere la realtà nella sua nuda e tragica verità. Ne sono un esempio i Cuadritos, undici quadri di piccolo formato che raffigurano scene terrificanti, come i naufragi e gli incendi oppure gli interni di manicomi.
I Capricci
Il culmine del suo cambiamento pittorico, ma in primis personale, è rappresentato dai Capricci del 1799, anch’essi visibili in mostra. Si tratta di una serie di ottanta incisioni, realizzate con la tecnica dell’acquatinta e acquaforte, nelle quali Goya abbandona il raziocinio illuminista per raffigurazione le violente pulsioni dell’istinto.
Offre così uno spaccato desolante delle cattive abitudini e dell’ignoranza della società e della classe dirigente a lui contemporanea, rappresentandone i vizi, le superstizioni e le stregonerie. Ecco perché soprattutto Il sonno della ragione genera mostri, una delle opere più significative della serie, viene giudicata molto male dall’inquisizione e, pertanto, è stata ritirata.
El sueño de la razón produce monstruo
Nell’opera, El sueño de la razón produce monstruo, è rappresentato un uomo addormentato con la testa abbandonata su un cubo, sulla cui parte anteriore si legge appunto la frase, El sueño de la razón produce monstruo (Il sonno, o Il Sogno, della ragione genera mostri: sueño in spagnolo ha entrambi i significati). Intorno all’uomo, che secondo alcuni storici dell’arte potrebbe raffigurare lo stesso artista, ci sono degli animali mostruosi e inquietanti.
Indubbiamente l’opera è di difficile comprensione, anche perché è controverso il senso stesso della frase.
Sul sito del museo del Prado di Madrid, dove si trovano diversi manoscritti che spiegano le tavole di Los Caprichos, si legge: che l’autore Alcalá Flecha (1988: 444-453) raccoglie tre interpretazioni. Una prima alluderebbe all’esaltazione della ragione, l’unica in grado “di scacciare gli errori e i vizi umani, … di estendere e propagare la luce della verità”. La seconda si basa sul principio estetico della critica artistica neoclassica, secondo cui l’artista deve saper usare la ragione, per moderare gli eccessi della fantasia, che da sola produce dei mostri. Ed infine una terza interpretazione che si fonda sul fallimento della ragione: “nella gara tra luci e ombre, queste ultime hanno vinto; Il mondo ordinato dalla ragione ha ceduto e i suoi regni sono ora popolati da animali demoniaci che governano l’oscurità”.
A noi queste interpretazioni però sembrano poco convincenti. Ci sembra più probabile, invece, che in quest’opera Goya abbia voluto alludere a tutti quei “mostri” (come le paure, le superstizioni, i pregiudizi, le parti incompiute) insiti in noi a livello inconscio e che emergono nel sogno, quando la ragione rallenta i suoi freni inibitori.
Questa interpretazione trova una conferma non solo nel fatto che Goya nelle altre opere di quel periodo ha riprodotto situazioni e allegorie dai toni onirici e irrazionali. ma anche in ciò che si trova scritto sul sito della Fondazione – Goya ad Aragona, dove è nato l’artista. La diversa interpretazione deriva dal fatto che alla parola sueño viene dato il significato di “sogno”, più che di “sonno”. Leggiamo, infatti, che il sogno è interpretato come “liberación de un mundo interior controlado por la razón”, cioè una liberazione da un mondo interiore controllato dalla ragione.
I disastri della guerra
Dalle incisioni dei Capricci fino alla serie dedicata ai Disastri della guerra si susseguono nelle opere di Goya scene di brutalità con figure oscene e grottesche e con immagini fantasiose che vogliono evocare la meschinità degli uomini.
I disastri della guerra è il titolo di una serie di 83 incisioni, eseguite dall’artista dal 1810 al 1820, in cui sono rappresentati vari episodi di barbarie, avvenuti durante il periodo della guerra di indipendenza spagnola in seguito all’invasione di Napoleone.
Sono proprio le atrocità ed i momenti più cruenti della guerra a spingere Goya a denunciare, attraverso le sue opere, le violenze dei francesi. Tra gli esempi più famosi basti citare Le Fucilazioni, ufficialmente intitolata 3 maggio 1808.
Dipinta nel 1814 e conservata al Prado di Madrid, l’opera è considerata tra le più importanti della storia dell’ arte e dal 2009 è stata inserita tra le opere principali del museo. Con uno spietato realismo, sottolineato da ampie e decise pennellate materiche, l’artista raffigura la fucilazione, da parte dell’esercito francese, di moltissimi cittadini, rei di essersi ribellati all’assolutismo di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, diventato re di Spagna.
3 maggio 1808
In 3 maggio 1808 Goya fa emergere la tragicità della scena attraverso l’uso potente di colori fortemente discordanti. La luce, che contrasta con l’oscurità della maggior parte del dipinto e che alla maniera caravaggesca illumina il ribelle condannato a morte, ha un valore fortemente espressivo. Facendolo emergere dal buio richiama l’attenzione su di lui e così lo rende protagonista e lo eleva a simbolo. A simbolo di cosa? Ma indubbiamente a simbolo di tutti i martiri che si sacrificano per la libertà del loro popolo, ma anche delle vittime della follia e della violenza umana.
Goya trasmette non solo il senso di profondo dolore per le uccisioni, ma anche l’angoscia penosa, snervante, insopportabile dell’attesa della fucilazione. Mentre ogni vittima spagnola è personalizzata con gesti diversi e con varie espressioni che denotano terrore, rabbia, rassegnazione, i soldati francesi appaiono disumanizzati. Sono raffigurati di spalle, allineati, con i fucili puntati e con una postura che indica la determinazione di chi è pronto a sferrare il colpo di grazia.
Le Pitture nere
Pittore di corte per buona parte della sua vita, Goya, nel 1819, dopo essersi inimicato il sovrano Ferdinando VII, di cui non esitò a rappresentare la cattiveria, si ritirò in campagna, alla periferia di Madrid, in un’ abitazione detta “Quinta del Sordo”. Qui realizzò le Pitture nere (1820-1823), dipinte ad olio direttamente sui muri della casa.
I soggetti sono angoscianti e spaventosi: Goya ha raffigurato il brutto, l’orrido ed, attraverso l’immagine di Saturno che divora suo figlio, anche il macabro. E’ inutile dire che gli storici dell’arte si sono scatenati nell’individuare nella rappresentazione del dio la metafora di qualcosa o di qualcuno, ma forse più semplicemente l’artista ha voluto rappresentare un uomo in preda alla follia.
Nel suo intento di scandagliare l’inconscio Goya ha così anticipato Freud di ben un secolo.
Vuoi commentare l’articolo? Iscriviti alla community e partecipa alla discussione.
Cocooners è una community che aggrega persone appassionate, piene di interessi e gratitudine nei confronti della vita, per offrire loro esperienze di socialità e risorse per vivere al meglio.