Figli a lungo termine, finché si diventa genitori dei propri genitori
Il caregiving si diffonde nelle vite delle persone di mezza età più di quanto appaia. Ma chi aiuta i caregiver?
Il Prof. Carlo Rovelli ha spiegato in un interessante libretto l’essenza dei buchi bianchi: in poche prosaiche parole, dei buchi neri di ritorno, ovvero frutti dell’ipotesi quantica che alcuni buchi neri in fondo in fondo al loro cammino vivano un rimbalzo di energia che dal sempre più dentro si proietta verso il sempre più fuori, fino a diventare buchi bianchi. Questa iperbole quantica mi è tornata in mente pensando al destino degli attuali 50/60enni che non smettono mai di essere figli di genitori straordinariamente longevi, fino a scambiarsi i ruoli quando questi raggiungono livelli di fragilità estrema. Tutto ciò al netto degli eventuali figli-figli che queste persone di mezza età abbiano a loro volta messo al mondo che, per ragioni diverse, non smettono mai di essere tali.
Quando un caregiver non è solo
Mi è capitato di recente di trovarmi estemporaneamente e, per fortuna, temporaneamente nel ruolo di co-caregiver e mi sono accorta di tre grandi fortune di cui godo che possono fare difetto ad altri mei coetanei nella stessa posizione, peggiorando di molto la già difficile situazione:
- il genitore assistito ha una polizza sanitaria che copre parzialmente la spesa sanitaria privata, cosiddetta out-of-pocket, che vorremmo non considerare ma che spesso capita di dover sostenere e talvolta, come nel nostro caso, può letteralmente salvare la vita della persona in pericolo;
- ho due fratelli e dividersi il compito di caregiving in tre (quattro con l’altro genitore che ha più che degnamente svolto il proprio ruolo a dispetto dell’età avanzata) è un lusso;
- tutti e tre i fratelli godiamo della posizione di lavoratori autonomi, il che ci ha tolto dalla scomoda posizione di dover chiedere permessi e centellinare il tempo destinato ai nostri cari rispetto agli impegni professionali.
Adesso per fortuna l’emergenza è ampiamente rientrata. Tornati relativamente alle nostre normali attività, scopriamo però di esserci fatti in questo agosto difficile un sacco di domande, consapevoli di aver avuto un assaggio di come le nostre vite cambieranno di qui a breve, consapevoli anche di essere felicemente esposti su due fronti di assistenza, come capita sempre di più grazie alla estrema longevità di madri ma anche di padri. I miei genitori non hanno polizze LTC, all’epoca in cui avrebbero potuto stipularle non se ne parlava nemmeno e quando io ho cominciato ad occuparmi della materia loro non erano già più in target di età per poterne accendere una.
La prima considerazione nasce proprio da qui. Se fossi un trentenne oggi, farei subito una polizza LTC per me (avendo già compiuto un’età più che matura mi sono affidata personalmente a una mutua che non pone limiti anagrafici), insieme con una polizza sanitaria, e attraverso l’esempio cercherei di convincere i miei genitori ad approfittare della finestra anagrafica utile per fare altrettanto.
La seconda considerazione nasce da un articolo di ieri sul Financial Times in cui l’autrice, Pilita Clark, si domandava cosa succederebbe se le aziende si chiedessero quanti dei propri impiegati sono impegnati, oltre che nelle proprie mansioni, nel ruolo di caregiver (in toto o in parte) di un anziano familiare. Il risultato sarebbe di grande impatto: in UK infatti si contano 5,7 milioni di caregiver familiari su una popolazione di 67 mln di britannici. In Italia sono 7 mln (+ 1 mln di badanti) su una popolazione di circa 59 mln di persone.
Caregiver: una professione non retribuita
L’articolo ci offre un altro dato che per l’Italia non mi è dato di quantificare negli stessi termini: in UK ogni giorno 600 persone abbandonano un lavoro salariato per assumere un ruolo di cura familiare non pagato. La maggioranza è costituita da donne. Non sappiamo quanti siano i lavoratori che ogni giorno in Italia fanno questo stesso percorso, ma sappiamo che il 75% dei nostri caregiver familiari sono donne e che la quota di donne occupate in un lavoro salariato in Italia è pari al 51%, la metà delle quali lavora part-time. Inoltre, in UK come in Italia, la maggior parte dei lavoratori che svolgono anche lavoro di cura non confessano di vivere in questa condizione per paura che ciò mini la propria carriera o la considerazione che riscuotono nel proprio ambito lavorativo. E perché non credono che farebbe alcuna differenza sul piano dell’aiuto.
Le poche tutele previste per i lavoratori caregiver
Già. Come vengono aiutati i lavoratori con incarichi di caregiving? Solo loro, perché in assenza di un riconoscimento del caregiver tout-court che non matura il diritto a specifiche tutele, ci si limita a permessi e/o pensione anticipata per i lavoratori-caregiver. In questo campo esiste ciò che prevede la legge 104/92 e i benefici che sono derivati dall’attuazione della direttiva europea del 2019, recepita in Italia il 22 giugno 2022 con il decreto legislativo 105/2022.
Prendiamo la definizione di caregiver familiare dal sito de La legge per tutti. In linea generale, il caregiver si prende cura di un familiare bisognoso di assistenza e svolge tutte quelle faccende e pratiche che il parente non è in grado di fare perché disabile o, comunque, non autosufficiente. In particolare, il caregiver si occupa (tra le altre cose):
- della cura e dell’igiene personale dell’assistito;
- della preparazione e, se necessario, della somministrazione dei pasti; della prenotazione di visite ed esami medici;
- di accompagnare l’assistito a fare le terapie prescritte;
- di acquistare i medicinali di cui l’assistito ha bisogno e, se necessario, della loro somministrazione;
- di svolgere le varie pratiche amministrative per conto dell’assistito.
Ho usato questa definizione perché mi sembra esaustiva e perché credo che non tutti abbiamo in mente quanti e quali cose fa un caregiver. Io stessa me ne sono resa conto solo quando ho constatato che c’era lavoro per tutti e tre i fratelli, contemporaneamente.
Le norme e le linee guida che ho citato hanno migliorato le tutele, scarse, previste in Italia per i lavoratori caregiver che possiamo riassumere in tre giorni al mese di permesso retribuito (a carico dell’Inps e anticipato dal datore di lavoro) e un congedo straordinario, sempre retribuito, della durata massima di due anni nell’arco della vita lavorativa (per ogni persona bisognosa di assistenza), purché l’assistito soffra di una disabilità grave. I benefici sono stati estesi a conviventi di fatto e parti delle unioni civili anche se il rapporto di convivenza è nato in seguito alla richiesta di congedo.
I lavoratori caregiver sono stati definiti soggetti meritori del diritto alla priorità per accedere allo smart working o ad altre modalità di lavoro flessibile.
In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, hanno diritto a fruire del congedo:
– il padre o la madre anche adottivi;
– in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre: uno dei figli conviventi;
– in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi: uno dei fratelli o delle sorelle conviventi;
– in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi: il parente o l’affine entro il terzo grado convivente.
La grande novità prevista dal Decreto 105/2022 è l’abolizione del “referente unico” che permette di spalmare i diritti ai permessi su più persone che esercitino attività di cura nei confronti dello stesso familiare bisognoso di assistenza. I tre giorni di permesso mensile quindi possono essere goduti interamente da più di una persona, purché non contemporaneamente e purché la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno in una struttura pubblica o privata dove sia destinataria di assistenza continuata. Fanno eccezioni i tempi di trasferimento del familiare bisognoso di assistenza per esami o terapie fuori dalla struttura ove è ricoverato. Sono inoltre ritenuti casi meritori di eccezione i casi in cui la persona ricoverata sia un minore disabile, se i sanitari certificano la necessità di assistenza da parte di un genitore o di un familiare o un disabile in stato vegetativo persistente e / o con prognosi infausta a breve termine.
Le richieste di permessi e congedi devono passare dall’Inps attraverso istanza telematica: inps.it – Prestazioni e Servizi – Prestazioni – Indennità per permessi fruiti dai lavoratori per assistere familiari disabili in situazione di gravità o fruiti dai lavoratori disabili medesimi”.
Agevolazioni pensionistiche per i lavoratori caregiver
Infine, il lavoratore o la lavoratrice caregiver ha diritto ad una anticipazione della prestazione pensionistica (calcolata con metodo contributivo) con Ape Sociale – se ha almeno 63 anni e un’anzianità contributiva di 30 anni (29 per donne in presenza di un figlio, 28 in presenza di più figli), e rientra nella condizione di assistente al familiare da almeno sei mesi e che lo stesso sia riconosciuto invalido con gravità in base a quanto stabilito dalla legge 104/1992 – e da quest’anno con Opzione Donna se la lavoratrice ha almeno 60 anni di età (con sconto fino a due anni in presenza di figli) e almeno 35 anni di contributi.
La panoramica rende sempre più urgente una riflessione degli organi di Governo sul ruolo dei tanti caregiver italiani, uomini e donne, tanto più che l’Istat ci ha detto con grande chiarezza che la categoria di Italiani in maggior crescita sono gli over 80, previsti aumentare dagli attuali 4,5 milioni a 8 milioni entro il 2050. E questa è l’ultima considerazione: cosa succederà se tarderemo ancora a prendere consapevolezza del fenomeno e se i buoni propositi messi in fila nel progetto sulla riforma dell’assistenza agli anziani nel PNRR non troveranno finanziamenti o dovranno scontrarsi con la realtà fatta di ostacoli e, spesso, impreparazione?
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