Elsa Morante, una donna di passioni
C’è una scrittrice che più di ogni altra ha saputo mettere cuore e vita in opere che hanno regalato alla letteratura italiana uno spaccato reale e intenso dell’umanità e della storia, compresa quella più dura. Un’artista che ha vissuto anni cruciali tra guerre, contestazioni, rivoluzioni culturali ed evoluzioni sociali, di cui ha saputo tradurre l’essenza in mondi paralleli, creati dalla sua penna fantastica e vorace, guidati da una capacità immaginativa in cui la sua esperienza -di donna, di figlia, di moglie, di amante, di madre mancata – ha regalato un ulteriore fascino disperato e, al contempo, ricco di speranza. Elsa Morante: scrittrice, poetessa, traduttrice (Roma, 1912-1985), la prima donna a vincere il Premio Strega nel 1957 con “L’isola di Arturo”, è la protagonista di “Elsa”, la biografia romanzata (edita da Ponte alle Grazie) con la quale Angela Bubba restituisce un ritratto profondo di un personaggio dall’immarcescibile sguardo ragazzino sul mondo.
Una sinfonia a due voci, quella di Elsa e quella più sottile affidata al narratore, che seguono le fila di una donna dal carattere spigoloso e appassionato, soffermandosi su aspetti più e meno noti della sua esistenza – dall’infanzia monca al Testaccio all’amore per Alberto Moravia e Luchino Visconti, dal rapporto complesso con Pier Paolo Pasolini fino alla solitudine, alla malattia e, naturalmente, alla guerra – per arrivare a disegnarne un’intimità dolorosa, in cui vita, arte e letteratura si fondono inesorabilmente. Per raccontare, sempre, storie. Le stesse nelle quali si perde fin da piccola questa bambina sola e forte, di cui tutti dicono sia intelligente ed educata e che invece coltiva un inferno dentro di sé, dove c’è posto tanto per quella Roma bombardata dalla quale scappare quanto per una fantasia libera, da nutrire senza moderazione. Quella ragazza indipendente che lascia la famiglia e la scuola e vive con un gatto scrivendo tesi per studenti svogliati e affronta da sola il dramma dell’aborto che la segnerà per tutta la vita e che trasformerà in una maternità letteraria ricca di personaggi-bambini dalle velleità eroiche. Quella moglie sfuggente e orgogliosa di affermarsi, indipendentemente dal cognome che porta, di quel Moravia di cui si era innamorata perdutamente, che era così diverso da lei, così pacato, così traditore eppure così incantato dalla sua anima tormentata, randagia, disordinata, con la quale scapperà dall’occupazione nazista e si nasconderà per mesi in campagna leggendo la Bibbia e Dostoevskij e che conquisterà con il suo coraggio nel resistere, nello sfidare la fame, la morte, il pericolo. Una donna che, una volta finito il conflitto, non dovrà più confrontarsi con un mondo di uomini né combattere con il senso di inadeguatezza in rapporto a un ambiente sempre e comunque al maschile in mezzo al quale tornerà a scrivere in assoluta autonomia, contro un milieu culturale che già aveva decretato la fine del romanzo e che lei sfidò dando vita a capolavori amatissimi dal pubblico e stroncati dai suoi amici intellettuali in virtù della loro patina inattuale che altro non era che l’essenza profonda e frenetica di una donna unica. Destinata a non essere capita, a coltivare amori impossibili, a sobillare amicizie poetiche e crudeli che l’annienteranno, a sfuggire a tutto e a tutti e, al contempo, a ricercare la perdita, la malattia, la solitudine. E la morte.
“Eri forte e misteriosa” le dice il padre raccontandole come è venuta al mondo e tale è rimasta per tutta quella vita narrata in maniera vibrante da Angela Bubba che, per oltre 15 anni, ha studiato Elsa Morante amandola di quell’amore profondo di cui trasudano le pagine del suo romanzo. Un equilibrio tra conscio e inconscio, un tributo a una donna prima ancora che a una scrittrice il cui mondo interiore viene esposto allo sguardo del lettore con un impeto emotivo in cui è assente qualsivoglia tipo di giudizio.
Attraverso citazioni delle sue opere e incursioni nel suo epistolario, l’autrice consegna un ritratto sofferto e frastagliato di un personaggio complesso che ha cercato nella letteratura un modo per ritrovare quella interezza che forse non aveva mai avuto. “Tutte le vite sono, in un certo senso o nell’altro, delle vite mancate: l’arte è lì per sanare queste mancanze”.
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