Edvard Munch: 80 anni fa moriva il pittore dell'angoscia esistenziale
In occasione dell’80° anniversario della morte di Edvard Munch Palazzo Reale di Milano dedica una mostra al grande pittore norvegese, dal titolo Munch. Il grido interiore. La rassegna sarà presente a Milano fino al 26 gennaio 2025 e poi si trasferirà a Palazzo Bonaparte di Roma, dove sarà visitabile dal 18 febbraio al 2 giugno 2025.
Questo prestigioso evento rappresenta una rara opportunità per ammirare le opere di uno degli artisti più influenti e più famosi del XX secolo. Chi infatti non conosce L’Urlo e chi non è stato stregato da quel grido sordo, ma potente che potrebbe essere di ciascuno di noi?
Munch ha dipinto le emozioni
La grandezza di Munch consiste indubbiamente nell’essere riuscito a dare forma e colore alle sue emozioni.
Le opere dell’artista norvegese, cariche di emotività e di simbolismo, riflettono la sua personalità contraddittoria e la sua vita dolorosa, segnata da lutti familiari, dalla solitudine e dalle nevrosi. Sono caratterizzate da presenze inquietanti, da figure in disfacimento, da visione allucinate. Non solo la morte, ma anche l’angoscia esistenziale, le paure, la disperazione, la solitudine, l’amore sono i motivi dei suoi quadri.
Le linee ed i colori si allontano dal realismo, per rispondere alle esigenze espressive: i paesaggi, le forme, ogni cosa nella pittura di Munch ha infatti una valenza prettamente emotiva.
Lo stile rivoluzionario di un artista geniale
Durante i suoi viaggi l’artista norvegese si avvicinò alle maggiori correnti artistiche europee. A Parigi, dove andò nel 1885, fu influenzato da artisti come Toulouse-Lautrec, Degas, Van Gogh e soprattutto da Gauguin. A Berlino, invece, si accostò al movimento della Secessione Berlinese. I fondatori erano dei giovani artisti che si dissociarono dagli stili ufficiali delle accademie e ruppero con il passato, per accogliere forme d’arte completamente nuove.
Munch, però, elaborò uno stile completamente personale in cui erano già presenti aspetti che poi caratterizzeranno l’Espressionismo, per cui a buon ragione l’artista norvegese viene considerato il precursore di questo movimento d’avanguardia.
I canoni artistici tradizionali non erano adeguati per rappresentare la tragica tensione del suo animo e per esprimere le sue intense e forti emozioni. Munch ha dovuto, perciò, inventarsi una forma espressiva che fosse il più potente possibile. Dipingeva in modo compulsivo, immediato, quasi dovesse liberarsi subito dei suoi tormenti.
Fu così che ricorse alle pennellate veloci ed energiche, all’accentuazione del colore, alla linea curva e nervosa. Deformò la realtà, ridusse le figure all’essenziale, rese imprecise le forme, raffigurò ambienti ed atmosfere surreali.
Le opere più significative e più famose di Munch
Nei primi anni Novanta Munch aveva avvertito la necessità di raggruppare alcuni tra i più importanti dipinti perché erano apparentati per il loro contenuto, come scrisse egli stesso. Li aveva riuniti infatti nel cosiddetto Fregio della vita. Questa antologia di opere fu continuamente arricchita e strutturata in modi diversi. Dal 1902 la sequenza di dipinti fu esposta in varie occasioni e fu divisa dall’artista in quattro sezioni, Nascita dell’amore, Sviluppo e dissoluzione dell’amore, Angoscia di vivere, Morte.
La sezione Angoscia di vivere comprende l’opera più famosa di Munch, L’urlo, che è diventato il simbolo universale dell’angoscia esistenziale dell’uomo.
“L’urlo”
L’urlo, 1893
In questo capolavoro del 1893, di cui l’artista ha realizzato quattro versioni, la tensione emotiva e l’urlo del soggetto in primo piano sono così potenti che gli fanno persino perdere le sembianze umane. Non è più un uomo, ma un “umanoide”: la testa è ridotta ad un cranio che rimanda all’immagine di un teschio, due buchi sono al posto delle narici, la bocca, fulcro della composizione, è spalancata in modo innaturale, sembra che il protagonista non abbia neppure la colonna vertebrale. Con le mani si copre le orecchie, quasi a dimostrare che anche lui non voglia sentire quel grido, che non voglia scoprire il suo tormento.
Non c’è nulla all’esterno che possa giustificare quell’urlo: il protagonista, infatti, è assalito da un terrore che gli proviene da dentro.
La disperazione che qui viene rappresentata è un’angoscia dell’anima. Si sentono gli echi del pensiero di Kierkegaard, da cui Munch fu influenzato. Secondo il filosofo danese (in Il concetto dell’angoscia ed in La malattia mortale), si tratta di una malattia mortale, in quanto l’io, scontrandosi con la sua finitezza, scopre che l’ assoluta possibilità della libertà di fatto diventa impossibilità di fare ciò che si vuole, per cui è condannato a vivere la morte di se stesso.
Nel quadro l’angoscia del protagonista si esprime nell’ossimoro di un urlo muto, inutile, destinato a non essere ascoltato.
Due passanti, raffigurati nella parte più alta del dipinto, a sinistra, sono, infatti, indifferenti, chiusi nella loro individualità. Questo atteggiamento di estraneità tra loro ed il soggetto che urla è sapientemente sottolineato a livello stilistico da due diverse modalità pittoriche: “l’umanoide” è rappresentato da linee curve, mentre i passanti sono dipinti con delle linee dritte.
La disperazione del soggetto del dipinto, espressa attraverso il grido, si dilata ad esperienza cosmica, perché lo stesso paesaggio è allucinato: l’urlo si propaga in terrificanti onde sonore che investono il cielo, la terra e il mare, deformando anche la stessa natura.
La tensione e la drammaticità della scena sono rese anche dall’uso di tonalità chiare e scure violentemente contrastanti senza l’intento di una rappresentazione naturalistica, ma con l’unico fine di raggiungere una potente efficacia espressiva.
“Sera sul viale Karl Johan”
Ma dove il tema della solitudine viene rappresentato nella sua accezione più negativa è in Sera sul viale Karl Johan. In questo dipinto, infatti, la solitudine non viene vista oggettivamente cioè nell’essere fisicamente soli, ma nel suo aspetto più angosciante, nel sentirsi soli pur tra la folla, pur in compagnia di altre persone. E’ questa una delle esperienze più dolorose che porta a una sensazione di isolamento e mancanza di connessione sociale e che purtroppo è il punto dolens della nostra contemporaneità.
Munch la esprime in modo allucinato, deformando la realtà e rendendo imprecise le forme. La deformazione dei tratti somatici è il segno lampante di una umanità dove l’individuo è spersonalizzato e non riesce più a comunicare con gli altri.
Il senso dell’anonimato tra la folla è espresso magistralmente dall’uniformità del colore dei vari abiti dei componenti del gruppo, ma soprattutto dai loro volti tutti uguali, allungati, con gli occhi sbarrati che rimandano all’idea delle maschere.
Per Pirandello l’uomo assume quella maschera che la società vuole che indossi. In modo analogo i personaggi di Munch sono ridotti a maschere, perché hanno perso la loro individualità.
Tutto contribuisce a rendere opprimente la scena. L’architettura resa dalla linea obliqua di sinistra, su cui Munch ha dipinto i palazzi, rendendo angusto lo spazio destinato alla folla, conferisce un senso di oppressione. Anche i colori scuri del primo piano e le tinte spente dello sfondo contribuiscono a rendere la scena deprimente. Sono, infatti i colori tetri ed angoscianti della solitudine!
Emblematica è poi la figura solitaria di destra che rappresenta la solitudine esistenziale, la terribile sensazione di sentirsi separati e disconnessi dal mondo circostante.
“Il bacio“
Un altro tema importante del Fregio della vita è l’amore, ma di esso Munch coglie il fallimento, l’impossibilità di diventare un sentimento duraturo ed appagante. Anche del bacio, soggetto di vari suoi quadri, l’artista coglie il lato negativo. A livello esemplificativo analizziamo Il bacio del 1897.
Utilizzando ampie pennellate, per ridurre al minimo i dettagli e per semplificare le figure, l’artista ha raffigurato un uomo ed una donna che si stanno abbracciando e baciando nell’oscurità. La poca luce penetra dalla finestra a sinistra, che comunque è quasi del tutto coperta dalla tenda.
Colpisce subito il fatto che non è stato dipinto nessun elemento rappresentativo dell’ identità dei personaggi, ma i loro volti sono fusi l’uno nell’altro. Secondo la visione pessimistica di Munch questo annullarsi l’uno nell’altro non sembra avvenire sull’onda della passione, ma vuole essere un’espressione di morte: la fusione toglie ai protagonisti la loro identità e, non essendoci più l’uomo e la donna, non c’è più vita. Anche i colori scuri confermano questa atmosfera negativa.
Solo in questo modo Munch ha potuto esprimere il suo senso di solitudine ed il suo annientamento che gli derivavano da un vissuto reale. Era stato terribilmente deluso da Milly Thaulow, la donna che non riusciva a togliersi dalla testa, ma che non ricambiava il suo amore.
Questa esperienza amorosa ha inciso così negativamente su Munch che poi fu sempre combattuto tra la sua passione per la donna e la paura di essere respinto.
Forse per questo non è mai riuscito a vivere l’ amore in modo completamente positivo ed i suoi quadri lo dimostrano. L’amore era, infatti, per lui vita e morte, piacere e dolore.
Fonte continua di ispirazione, nell’opera artistica di Munch, la donna è una presenza costante. L’atteggiamento dell’artista con le figure femminili oscillava tra ambiguità, morbosità e pulsione violenta. Ne era attratto, ma poi usciva annientato dal rapporto amoroso. Lo si vede soprattutto in Vampiro.
“Il vampiro” o “Amore e dolore”
Il vampiro o Amore e dolore del 1895
Il tema di quest’opera è la fine dell’ amore tormentato dell’artista con Tulla Larsen. La donna lo bacia sul collo e le sue braccia che lo circondano senza stringerlo denotano affetto, ma non amore.
La figura femminile è comunque inquietante. Il colore rosso-arancio dei suoi capelli emerge e contrasta con i colori scuri dell’opera. I lunghi capelli sembrano delle corde a cui affidarsi per la salvezza, ma anche dei cappi che soffocano la sua vittima.
L’uomo pallido si stringe a lei, ma tutto intorno è buio e desolazione. I colori scuri, dal profondo significato simbolico, evocano la fine del rapporto amoroso.
L’opera è la rappresentazione dell’ amore e del dolore, come evidenzia il titolo originale: di un dolore che diventa disperazione e che si legge sul volto dell’uomo, bianco come quello di un cadavere.
“Madonna“
Interessante è la rappresentazione della donna in una delle opere più famose del pittore norvegese: Madonna. Fu prodotta in ben quattro versioni a olio e in varie litografie, realizzate tra il 1894 e il 1895.
La donna è bellissima, vera, essenziale e sinuosa nella sua nudità. E’ ben lontana dalle immagini delle Madonne tradizionali.
Questo dipinto, infatti, è una profonda demistificazione dell’immagine cristiana per la sensualità del corpo, il dolore degli occhi infossati ed il senso di morte trasmesso dai colori scuri del fondo e dal rosso sangue dell’aureola.
Le braccia piegate all’indietro ed il volto reclinato sottolineano un’estasi sensuale, che viene ulteriormente evidenziata, a livello stilistico, dalle linee ondeggianti che circondano il corpo.
Tra le versioni della Madonna di Munch esiste anche una litografia (la figura a destra) che merita una particolare attenzione, perché è diversa dalle raffigurazioni su tela.
L’immagine è incastonata in una cornice arancione su cui sono raffigurati degli spermatozoi, mentre in un angolo si trova un embrione che fa venire in mente il protagonista de L’urlo. Munch, quindi, vuole raffigurare la donna nel momento culminante dell’estasi del rapporto amoroso ed anche nell’atto del concepimento.
L’immagine femminile della procreatrice viene comunque superata da quella di donna fatale e pericolosa. La donna … è un mistero per l’uomo, scrive Munch in Frammenti sull’arte, simultaneamente santa, puttana e servizievole creatura dedita, nell’infelicità, all’uomo.
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