Direttori d’orchestra: Claudio Abbado
Il 26 giugno Claudio Abbado avrebbe compiuto 88 anni. Nato nel 1933, era un milanese con sangue siciliano di cui era orgoglioso e con il dna di una dinastia di musicisti. Padre, Michelangelo, violinista prodigio da bambino e poi per moltissimi anni docente e vicedirettore del Conservatorio di Milano, anima di tanta della musica da camera (e non solo) che si fece per decenni in città. Madre, Maria Carmela Savagnone, pianista e scrittrice per l’infanzia, proveniente anche lei da una famiglia con la musica (e il doppiaggio) nel sangue. Oltre a Claudio tre fratelli, Marcello, pianista, compositore e a lungo direttore del Conservatorio “Verdi”; Luciana, anima e fondatrice del festival di musica contemporanea “Milano Musica” e Gabriele, architetto. Figli e nipoti non hanno smentito la tradizione del grande “Claudio”: il figlio maggiore Daniele Abbado è affermato regista d’opera e il minore Misha, avuto dalla violinista Viktoria Mullova, è contrabbassista e compositore. E sono direttori d’orchestra Roberto Abbado, figlio di Marcello e Andrea Pestalozza, figlio di Luciana. E tra parenti e cugini musica e spettacolo non mancano: dall’attore Claudio Amendola – figlio di grandi doppiatori come Rita Savagnone e Ferruccio Amendola – al compositore e presidente dell’Accademia di Santa Cecilia Michele dall’Ongaro. La figlia Alessandra (nata come Daniele dal matrimonio con la prima moglie Giovanna Cavazzoni, che fu la fondatrice del Vidas) ha lavorato per anni al fianco del padre, da Ferrara Musica all’Orchestra Mozart. Oggi custodisce da
Bologna la memoria dei suoi ideali sociali e civili attraverso le iniziative culturali e musicali legate al disagio sociale, dalle carceri agli ospedali promosse dall’Associazione Mozart 14.
Il direttore che si faceva chiamare per nome dai propri figli
I suoi figli però non chiamavano Abbado “papà” ma “Claudio”. E lui esordiva con “chiamatemi Claudio” anche con i musicisti delle orchestre a cui si presentava per la prima volta, sbarazzandosi subito di quell’aura di sacralità dittatoriale che è uno dei più frequenti cliché sui maestri del podio. Eppure, la sua determinazione, la forza di volontà, la capacità di ottenere dalla partitura e dai musicisti che la eseguivano ciò che lui desiderava, comprendeva e sentiva erano stupefacenti e leggendarie. Dal Teatro alla Scala (di cui fu direttore musicale dal1969 al 1986) alla London Symphony, dai Wiener Phiharmoniker ai Berliner Philhamoniker, dalla Lucerne estival Orchestra all’ultima sua creatura, l’Orchestra
Mozart.
Mozart o Verdi, Wagner o Mahler. Ma anche Rossini o Alban Berg, Mussorgskij o Luigi Nono. Le sue interpretazioni, nella musica sinfonica come nel teatro d’opera, sono nella storia e a ogni ascolto ci parlano, ci arricchiscono, ci illuminano.
Uomo di poche parole e moltissime idee. Tenace e volitivo: un “costruttore” sul podio e fuori dal podio. La nascita dell’Auditorium del Lingotto a Torino realizzato dall’amico archistar Renzo Piano grazie all’opera di persuasione su Cesare Romiti e l’Avvocato Agnelli si deve a lui. Come anche il piccolo Auditorium del Parco “temporaneo” concepito sempre da Piano per L’Aquila distrutta dal terremoto, che Abbado inaugurò con un concerto nel 2012 insieme all’Orchestra Mozart.
Claudio Abbado ha inseguito e costruito musica, orchestre e sogni. Dichiaratamente di sinistra, sposò cause per cui spesso lo si accusò di
atteggiamenti “radical chic”. Dai concerti per i lavoratori nelle fabbriche con l’Orchestra della Scala, alla vicinanza alla Cuba di Fidel Castro, al sostegno appassionato al progetto educativo e formativo di “El Sistema”creato da José Maria Abreu nel Venezuela di Hugo Chavez.
E si spese a sostegno di cause ambientaliste in anni in cui Greta Thunberg non era neppure in fasce e il tema “sostenibilità” non era ancora mainstream. Il rapporto con la natura era parte della sua personalità, della sua identità d’artista e di uomo: dalla proprietà in Sardegna, vicino ad Alghero, trasformata in un paradiso botanico (e oggi concesso dagli eredi a Legambiente in comodato d’uso) alle Alpi dove stabilì il suo buon ritiro nella Val di Fex in Engadina e dove, nella piccola cappella di Crasta, riposano le sue ceneri.
La musica come cura
Morì il 20 gennaio 2014 a Bologna circondato da figli e nipoti. Un tumore allo stomaco diagnosticato nel 2001 e con il quale era riuscito a
convivere per più di dodici anni gli aveva asciugato il corpo e il viso ma gli aveva dato una nuova dolcezza, una sensibilità diversa che rese se possibili ancor più indimenticabili le sue interpretazioni. E una resistenza nell’affrontare la fatica del podio che appariva a tratti sovrumana e sublimata dalla musica.
Ma lui in una rara confessione al Corriere della Sera nel 2001 aveva spiegato: «La musica è la migliore medicina. Più di ogni cura è stata proprio la musica ad aiutarmi a superare questi mesi difficili… Ho sofferto e ho lottato con tutte le mie forze. Come sempre però dal male può nascere qualcosa di buono. A cominciare dai piccoli piaceri del palato, acuito e sensibilizzato come non mai dalla necessità di dosare e selezionare il cibo, fino alla maggiore attenzione per le piccole cose quotidiane. E poi le grandi gioie: la sicurezza degli affetti, la scoperta di un nuovo legame con la mia orchestra».
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