Cuore Nero, un romanzo che esplora il male e le prigioni dell’anima
Colpa e salvezza in un romanzo che esplora il male e le prigioni profonde dell’anima
“Perché è sempre l’adolescenza che decide chi sei”. E la stessa adolescenza non lascia scampo, soprattutto per la consapevolezza che, alla fine, siamo tutti degli eterni ragazzi e ragazze che conservano, nello sguardo e nell’anima, la memoria di ciò che è stato. O non è stato.
Un’età leggendaria e ingombrante che non finisce mai e che da anni è il terreno fertile nel quale Silvia Avallone si muove con agilità per raccontare storie di vita e di vite, restituendone la complessità e seguendo coordinate lontane da luoghi comuni sempre terribilmente reali e rapaci. Senza fare sconti, con il compito complesso di metterne a nudo l’essenza. Anche in maniera cruda, come succede nel suo ultimo romanzo, il potente “Cuore nero” (edito da Rizzoli), che completa idealmente il suo catalogo di adolescenti alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Solo che, in questo caso, il percorso compie una parabola vorticosa e pazzesca nel centro esatto di quella fragilità con la quale, da giovani, si flirta senza riuscire a immaginarne le pericolose conseguenze. Per farlo, Silvia Avallone elimina la dolcezza prendendosi il lusso di scavare nel torbido con la sua penna forte e implacabile che lega a sé il lettore accompagnandolo in una discesa all’inferno contro la quale non c’è possibilità di redenzione. Forse.
È la colpa la terza incomoda della storia di Emilia e Bruno, due anime perse che si riconoscono ritrovandosi nella deriva montana e solitaria del più classico locus amoenus, tale nella misura in cui possiede non tanto una sua piacevolezza di fondo quanto, piuttosto, custodisce un passato importante, in maniera diversa, per entrambi i personaggi. Sassaia, con le sue poche case arroccate che strappano la luce al bosco, è un rifugio e insieme una prigione che accoglie chi, come Emilia, ha barattato quindici anni di isolamento con una solitudine voluta e ricercata per sfuggire alla realtà e non permettere al mondo di fare i conti al posto suo.
Non ha avuto altra scelta, o forse sì ma poi è finito comunque tra i bricchi a insegnare ai bambini della scuola elementare del fondovalle il suo vicino di casa Bruno che, con la sua barba lunga e i modi rudi, diventa il sostituto della televisione nelle notti della ragazza. Un ménage curioso e ricco di sottintesi che, dai monti, viene interrotto dai salti temporali grazie ai quali Emilia è riportata nel cuore stesso dell’istituto di rieducazione in cui ha trascorso quasi la metà della sua esistenza cristallizzata in un percorso di formazione al contrario, dolente, apparentemente catartico, intriso di un malessere esistenziale che pare non poter essere sanato.
“Si può pagare un reato con la propria giovinezza? Pareggiava i conti, il tempo?”.
Dolore e amore, espiazione e castigo, debolezza e forza, male e ancora male: è un concentrato di opposti a tracciare il ritmo di quella storia che Emilia e Bruno si raccontano solo con la pelle perché la paura di quello che è stato è così forte da vanificare ogni tentativo di vicinanza, fosse solo a parole. Come un elastico che non si capisce mai fino a che punto possa allungarsi senza il rischio che si spezzi, i due amanti si cercano e si allontanano, impugnando brandelli dei loro anni migliori per riscattare un presente che sembra sempre inafferrabile e balordo.
“Il dolore non migliora nessuno. O meglio: migliora chi è già forte, chi ha un supporto”.
Però rimane l’umanità come promessa di assoluzione. Quella delle persone che gravitano intorno ai due protagonisti, che cercano di contenerli, che provano a temperarne l’affanno, che tengono loro la mano o, per lo meno, la sfiorano, per ricordargli che non sono soli. Anche quando è difficile mettere insieme i pezzi, mentre il passato sembra un buco nero capace di fagocitare qualsiasi speranza, con quella voglia di rivalsa che poi altro non è che il semplice desiderio di perdonare e di perdonarsi con cui, alla fine, ci si ritrova. Colpevoli o innocenti, poco importa.
“Cuore nero” si divora e divora chi lo legge, smorza le luci e accende dei falò con la complicità di quel punto di vista al maschile che Silvia Avallone ha scelto in nome di una libertà creativa, la sua, che anche questa volta non tradisce le premesse ma diventa l’ennesima, affascinante prova di talento di una scrittrice straordinaria.
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