Come prendersi cura di un genitore anziano
La lettura dei dati sull’invecchiamento del Paese ci dice che sono 2,8 milioni gli anziani che hanno bisogno di assistenza per svolgere le azioni quotidiane di base, uno su cinque, destinati entro i prossimi 10 anni a raddoppiare.
Il sistema di monitoraggio della salute degli over 65, Passi d’Argento, coordinato dall’Istituto Nazionale di Sanità, indica la “dimensione della cronicità e della policronicità che raggiunge numeri importanti con l’avanzare dell’età: già dopo i 65 anni e prima dei 75, più della metà delle persone convive con una o più patologie croniche fra quelle indagate e questa quota aumenta con l’età fino a interessare complessivamente i tre quarti degli ultra 85enni, di cui la metà è affetto da due o più patologie croniche.”
La fragilità aumenta con l’età e in Italia le strutture specializzate coprono solo il 15% dell’esigenza di assistenza. Questo è il concetto da cui parte la nostra riflessione. Più si allunga l’aspettativa di vita, più il rischio di cronicizzazione di patologie e di perdita parziale o totale di autonomia aumenta. Se il pubblico non arriva a garantire assistenza, chi lo fa? La famiglia, il nostro welfare naturale. La copertura delle RSA, infatti, è del 15%, 400 mila anziani su 2,8 milioni (del 60% inferiore alle media OCSE). I rimanenti 2,4 milioni sono assistiti a tempo pieno in casa, da caregiver, principalmente donne, che in gran parte hanno rinunciato a lavorare per prendersene cura (66% dei casi), e badanti.
A fronte di 3 milioni di persone non autonome che necessitano di supporto per svolgere le attività quotidiane fondamentali, però, ci sono 8 milioni di caregiver. Un milione costituito da badanti, 7 milioni da familiari. Perché l’assistenza non è solo sanitaria; i caregiver fanno compagnia, svolgono commissioni, aiutano a gestire la casa e le azioni quotidiane che da soli risultano difficili (vestirsi, mangiare, lavarsi).
Qualche dato per inquadrare il fenomeno
Da una recente ricerca condotta da Boston Consulting Group insieme con Jointly risulta che il 10% dei caregiver dedica più di 14 ore settimanali all’assistenza a un familiare anziano e il 17% spende più di 10.000 euro annui, portando la spesa totale delle famiglie italiane per l’assistenza agli anziani nel 2021 a 29 miliardi di euro. Di questa somma, il 71% è coperto dalle famiglie e solo l’1,5% da assicurazioni e welfare aziendale. Cosa significa questo dato? Che spesso, in più del 60% dei casi di caregiving, le famiglie devono rinunciare a supporti esterni ed occuparsi in prima persona degli anziani bisognosi di assistenza per questioni economiche.
Chi sono questi caregiver?
“I dati raccolti dal nostro osservatorio mostrano una concentrazione dei caregiver nella fascia 45 -55 anni, in maggioranza donne, prevalentemente non occupate e quindi caregiver a tempo pieno”, a raccontarlo è un’esperta del settore, Silvia Turzio, co-fondatrice di Village Care, una società che si occupa di sostenere con consulenza e servizi proprio le famiglie protagoniste di questo welfare familiare. “Se a tutto ciò aggiungiamo i figli di cui ci si continua ad occupare sempre più a lungo, queste persone sono letteralmente stritolate tra due tipi di accudimento. L’esaurimento delle energie è sempre in agguato.
La casistica parla di due grandi categorie: le coppie anziane in cui uno dei due, più spesso la donna, si occupa del partner bisognoso di assistenza; i figli che accudiscono genitori anziani; anche in questo caso sono più spesso le figlie femmine.”
La questione endemica nel nostro Paese di scarsa qualità del lavoro femminile porta infatti spesso a scegliere di sacrificare il lavoro di una donna piuttosto che quello di un uomo in famiglia, sia per il valore retributivo sia per le opportunità di sviluppo di carriera. Così la categoria dei caregiver è sempre più indebolita, oltre che dal gravoso ruolo di cura, anche dall’esclusione da un’autonomia economica e, non ultimo, dall’assenza di contributi pensionistici.
“Village Care è nata come società di consulenza per tutti i tipi di caregiver”, continua Silvia Turzio, “chi si rivolge a noi viene prima di tutto aiutato a comprendere il problema che sta gestendo, le reali esigenze dell’anziano che a volte possono essere sovrastimate e altre sottovalutate da un’analisi viziata da rapporti affettivi, le strutture a cui si possono affidare, come affrontare i primi segni di decadimento cognitivo, dove trovare sollievo per una vacanza sapendosi sostituiti da personale attento e competenze, come organizzare l’intera famiglia intorno al ruolo di chi dà assistenza a tempo pieno a una persona non autonoma.”
Come funziona il vostro intervento?
“Si tratta di un aiuto metodologico che parte da un’analisi della situazione attraverso un occhio esterno e competente: le condizioni dell’anziano accudito e la struttura organizzativa della famiglia. Segue un orientamento e una pianificazione dell’assistenza in base a situazione e budget, budget di risorse economiche ma anche personali: organizzazione esterna di servizi in outsourcing, organizzazione verticale della famiglia, relazioni con i vari membri del nucleo familiare e anche supporto psicologico familiare. E’ grazie alla sensibilizzazione di molti mariti che si riesce a distogliere per un breve ma indispensabile stacco le donne caregiver che col tempo tendono a non lasciarsi sostituire da nessun se non con sensi di colpa che vanno ad aggravare un burn-out già pesante.”
In cosa consiste il vostro aiuto?
“Quello che offriamo è esperienza del tema, un occhio esterno che aiuta a comprendere la reale autonomia dell’anziano – sono molti i casi in cui un anziano può sembrare autonomo perché chiacchiera, si veste, mangia e guarda la televisione, ma finché non apri il cassetto dei medicinali non sai se si sta curando con prodotti scaduti, finché non apri il frigo non sai come si sta alimentando, finché non hai modo di guardare come gestisce i soldi non sai se lo stanno derubando. Sono segnali di un iniziale deterioramento cognitivo, di una fragilità extra che vanno tenuti sotto controllo ma non sempre appaio allo sguardo di un familiare legato affettivamente al soggetto. Segnaliamo strutture ricettive, veri e propri alberghi attrezzati per l’accoglienza di persone fragili che possono permettere una vacanza anche quando la piccola fragilità sconsiglia di continuare l’abitudine a recarsi nella seconda casa o in una località generalista. E poi aiutiamo a capire come comportarsi, come interagire in casi di demenza; è in queste occasioni che ci si sente più soli senza un aiuto competente.”
Questo è il filone della vostra offerta destinato al pubblico, ma voi lavorate direttamente anche con le aziende
“Certo, la nostra offerta comprende servizi e consulenza che possono rivestire un ruolo complementare nelle piattaforme welfare delle aziende, verticalizzando l’offerta su servizi destinati ai lavoratori e alle lavoratrici che si prendono cura di un parente anziano, per alleggerire il loro ruolo e conciliare più facilmente caregiving e lavoro.”
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