Body positivity e body neutrality: ci si accetta di più a 60 anni
Rispetto al passato i senior di oggi offrono l’immagine di una nuova generazione di persone attive, indipendenti, ancora capaci di innamorarsi, desiderosi di viaggiare e di fare nuove esperienze. La maturità comporta poi una maggior consapevolezza di se stessi, delle proprie capacità e dei propri limiti. Se il giovane tendenzialmente cerca di ottenere il massimo, quando non addirittura la perfezione, nella carriera, nelle relazioni e nell’estetica, la persona più matura si rende conto di essere più serena, se solo smette di ossessionarsi. Questo nuovo stato di tranquillità deriva inevitabilmente anche da un miglior rapporto delle persone in là con gli anni con se stessi, ad incominciare dall’immagine che hanno del proprio corpo.
L’immagine corporea influisce sui comportamenti e sulle emozioni
L’immagine corporea è molto importante, se pensiamo a come possa influenzare la qualità della nostra vita, compresa la nostra vita intima. Non si tratta soltanto di come noi vediamo il nostro corpo, ma del personale rapporto con la nostra parte fisica, che include percezioni, sensazioni, credenze e pensieri che la riguardano. Basti pensare che un’immagine negativa del corpo può far insorgere altri problemi di tipo emozionale, comportamentale, relazionale, può causare sentimenti di inadeguatezza e bassa autostima. Addirittura può comportare il rifiuto della propria persona nella sua globalità, magari anche con conseguenti stati depressivi.
L’insoddisfazione del corpo o body dissatisfaction ha una causa endogena, ma molto spesso è influenzata da pressioni sociali, che inneggiano a modelli ideali di bellezza.
Proprio per contrastare questi modelli estetici e per rivendicare la dignità di ogni tipo di corpo, indipendentemente dal peso, dalla forma e dalle sue caratteristiche, è nato tra il 2010 e il 2011 un movimento di alcune donne nere “oversize”, che hanno postato sui social media dei contenuti con l’hashtag #BodyPositivity.
Che cos’è la body positivity?
La body positivity nasceva quindi dai bisogni delle persone emarginate e perché le persone grasse avessero gli stessi diritti degli altri in tutti gli ambiti della società. Rivendicava cioè il diritto di ”esistere”, creando un nuovo concetto di estetica più inclusiva, dove tutti potessero sentirsi rappresentati.
In opposizione alla body negativity (all’avere una visione negativa del proprio corpo), la body positivity, che si rivolgeva a tutti e non solo alle donne, incoraggiava ad amare il proprio corpo, senza lasciarsi influenzare dalle critiche degli altri.
Diffondendo l’idea che ogni corpo è apprezzabile nella sua unicità e differenza, la body positivity ha avuto il grande merito di aver contribuito a contrastare un fenomeno molto diffuso che è quello del body shaming (cioè il denigrare una persona per il suo aspetto fisico).
Dalla body positivity alla body neutrality
La body positivity ha comunque dimostrato dei limiti. Ha dato troppa importanza al corpo, a danno di altri aspetti. Ma soprattutto i promotori di questo movimento hanno commesso l’ errore di imporre un’idea positiva del proprio corpo a chi invece non si sente a proprio agio con il suo fisico. Anzi hanno contribuito a far nascere dei sensi di colpa proprio in chi non riesce ad amarsi ed a vivere positivamente i propri difetti fisici, come se l’idea che non amare il proprio corpo equivalga ad un fallimento.
Ecco perché nasce intorno al 2015 il movimento della body neutrality che, sostituendo all’idea di positività corporea quella di neutralità, invita ad accettare il proprio corpo così com’è senza sentirsi in obbligo di amarlo. Un approccio, in cui si accettano le proprie imperfezioni, non esclude la possibilità di poterle cambiare o migliorare. Anzi l’accettazione, cioè l’essere consapevole, per esempio, della propria obesità, è il primo passo verso il cambiamento di quell’aspetto di noi, che non ci piace o che può nuocere alla nostra salute.
Ma soprattutto la body neutrality ha il merito di aver fatto veicolare il concetto che il benessere e l’appagamento di sé consistono nel preoccuparsi meno della propria fisicità, per concentrarsi invece su altre qualità più importanti.
Anche la body neutrality però presenta delle criticità. La liberazione del corpo dalla schiavitù dell’estetica si è risolta comunque a favore di una visione funzionale, che spinge a concentrarsi su quello che il corpo è in grado di fare. Questo, a nostro avviso, peraltro, è un limite di questo movimento, in quanto assume un linguaggio discriminatorio nei confronti di chi per esempio non può più correre, come prima, né camminare bene o comunque nei confronti della disabilità in generale. E’ il presupposto che è sbagliato: viene dato per scontato che il corpo di ogni persona sia in grado di fare le stesse cose che fanno gli altri e indipendentemente dall’età.
Il limite della body neutrality consiste proprio nell’incapacità di accogliere la diversità dei corpi, cosa che invece in un certo senso ha cercato di fare la body positivity. Anche se non è sempre facile non preoccuparsi del proprio corpo, lo stesso concetto di “neutrale” può essere improprio. La neutralità presuppone infatti un’impersonalità, che è contraria al concetto di identità. Tra l’altro non riflette neppure il vissuto di chi ogni giorno viene ghettizzato per il suo aspetto fisico in una società che oggi ancora di più punta più all’apparenza che all’essenza.
Ci si accetta di più a 60 anni
Da ciò che abbiamo esaminato emerge che il vero nodo della questione non sono i nostri corpi, ma siamo noi. Forse è un tema di saggezza o di maturità?
La risposta può essere suggerita dai dati di una recente ricerca del Censis. Dall’indagine risulta che ben l’87,6% degli anziani si dichiara soddisfatto della propria vita, contro il 59,6% del totale della popolazione.
L’alta percentuale di anziani soddisfatti fa pensare che non solo siano riusciti a riempire la loro vita di attività e di progetti gratificanti, ma che abbiano anche un atteggiamento positivo nei confronti della vita e di se stessi. Ciò fa presupporre che a 60 anni ed oltre ci si accetti di più rispetto all’età giovanile ed anche rispetto a quanto si fosse fatto in passato.
Indubbiamente il mutato clima culturale, favorito dalla body positivity prima e dalla body neutrality dopo, ha facilitato nel sessantenne di oggi un miglior rapporto con se stesso, a partire dall’accettazione di un corpo non più florido ed attraente.
E’ anche vero però che l’anziano ha risorse ed atteggiamenti diversi rispetto ai più giovani e queste specificità lo inducono ad avere un migliore rapporto con se stesso. I più giovani sono sicuramente il bersaglio principale in una società, che comunque, come si è detto, privilegia l’apparenza, proprio perché, non avendo ancora una personalità ben salda e definita, rischiano di più di essere travolti in comportamenti stereotipati e di essere completamente assoggettati dagli altri.
Quali sono le potenzialità dell’anziano?
Man mano che si avanza negli anni, non solo migliora l’intelligenza emotiva, che è necessaria nella relazione con gli altri, ma altresì, grazie anche all’esperienza acquisita, si capisce meglio cosa si voglia da se stessi e dalla vita. In particolare l’anziano tende a mettere tutto in prospettiva, fissando delle priorità, a seconda di ciò che egli ritiene più importante per sé.
Perché con l’età si assume questo atteggiamento? Probabilmente influisce il fattore tempo, che in età matura viene percepito più ridotto e forse anche il fatto di non avere più una mentalità competitiva. Ci sono però delle evidenze scientifiche, da cui emerge che da un punto di vista neurobiologico la riduzione di neuroni e sinapsi nell’invecchiamento porti a conservare quelle cellule e quei circuiti neurologici che più contano, permettendo così di focalizzarsi su ciò che è veramente importante. Contrariamente al passato oggi infatti abbiamo la consapevolezza che il cervello conserva la sua plasticità anche in età avanzata.
Se con la maturità i filtri diventano più selettivi (gli over 60 per esempio si circondano di pochi amici, ma buoni), le priorità vengono date a ciò che può fornire benessere e non ai problemi. Di conseguenza ci si accetta di più a 60 anni, proprio perché si è consapevoli che focalizzare l’attenzione sugli aspetti di sé poco attraenti e poco desiderabili porterebbe solo ad ingigantirli ed a creare inutili sofferenze e frustrazioni.
Questa esigenza e ricerca di positività da parte degli anziani è confermata anche da vari studi condotti sulla loro componente emotiva. Già all’inizio degli anni novanta la teoria della Selettività Socioemotiva (Carstensen, 1992), riconosceva che durante l’invecchiamento c’è uno spostamento verso le emozioni positive. Addirittura molte ricerche testimoniano un miglioramento delle funzioni emotive e affettive negli anziani, tanto da parlare di “paradosso dell’invecchiamento”, per sottolineare come anche i processi emotivi migliorino in controtendenza con il generale declino fisico e psichico. Per capire quanto le emozioni siano importanti nella nostra vita, basti pensare che sono proprio queste a determinare la motivazione ed a guidarla verso una certa direzione e che quindi, proprio grazie alle emozioni, possiamo intraprendere una serie di azioni efficaci per noi e per chi ci sta vicino.
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