Anziani: una risorsa per la società
Oggi la categoria degli anziani viene considerata soprattutto in termini assistenziali e quindi viene vissuta come un peso che grava sul sistema sociale. Basti solo pensare allo stereotipo sull’anziano che lo raffigura malato, fragile, inefficiente, praticamente inutile, per capire come la società lo abbia discriminato.
Gli anziani di oggi invece sono ben diversi da come vengono etichettati e hanno esigenze diverse da quelle che avevano i loro coetanei di 20 anni fa.
Grazie alle grandi trasformazioni degli ultimi anni gli attuali over 60 hanno un miglior livello di salute, sono più istruiti, vivono in casa di loro proprietà, hanno più risorse economiche, usano le tecnologie, amano viaggiare, fare sport e sono ancora interessati a nuove esperienze.
Dallo stereotipo negativo alla valorizzazione dell’anziano
Altro che considerare gli anziani un peso! Se li conoscessimo meglio, ci renderemmo conto che la maggior parte di queste persone rifiuta ogni forma di assistenzialismo, chiedendo invece la possibilità di mantenere un ruolo attivo nella società.
Le loro richieste però rimangono inascoltate e le loro potenzialità non vengono valutate dall’intera collettività. Non c’è ancora infatti la consapevolezza del patrimonio di competenze, di esperienza, e di saggezza che hanno gli anziani.
Offuscati dalla paura delle conseguenze negative del numero dei seniores sulla spesa pubblica, non ci si rende conto quindi dell’importanza di coniugare la sostenibilità economica con la creazione di opportunità in ambito socio-lavorativo anche per questa fascia di persone.
Evoluzione del concetto di invecchiamento
Non dimentichiamo che stiamo parlando di una fetta importante della popolazione. Secondo i dati Istat gli over 65enni costituiscono infatti il 23,8% della popolazione totale.
E’ un dato notevole, che se da una parte rappresenta per la società una grande conquista, perché testimonia il miglioramento delle condizioni di vita e i progressi della medicina, dall’altra le pone una grande sfida.
Per affrontarla positivamente, è necessario capire il cambiamento del concetto stesso di invecchiamento e le mutate esigenze dell’attuale generazione di persone non più giovani.
A livello istituzionale ci sono state varie “raccomandazioni”, che però vengono tuttora disattese.
Innanzitutto va ricordato che nella Carta europea dei diritti dell’anziano, siglata nel 2000, esattamente all’art. 25, l’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone anziane di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale della propria comunità.
Con la proclamazione, nel 2012, dell’ Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale, poi, l’Unione si poneva l’obbiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica perché dalla considerazione delle persone anziane come soggetti passivi si passasse al riconoscimento del loro diritto ad avere un ruolo attivo anche nell’età avanzata.
Nonostante che siano state date indicazioni operative in tal senso agli organismi dei vari paesi, di fatto anche in Italia gli anziani non sono ancora valorizzati come meriterebbero.
I contributi dell’anziano nella società odierna
Eppure in molti ambiti oggi gli anziani sono una risorsa importante! Lo furono in passato come artefici dello sviluppo socio economico del nostro paese. Lo sono tuttora, diventando spesso degli ammortizzatori sociali per i figli disoccupati o in difficoltà economiche e più in generale sopperendo in famiglia alle carenze di un welfare insoddisfacente. Oltre ad assistere i propri genitori, spesso, infatti, accudiscono i nipoti, dando così ai figli la possibilità di crearsi una famiglia, di continuare a lavorare e di essere produttivi per loro e per la società.
Non solo in famiglia, però, svolgono un ruolo importante, ma anche all’esterno, con una serie di attività.
Da una ricerca dell’Università Cattolica di Milano, durata due anni e pubblicata nel volume L’allungamento della vita. Una risorsa per la famiglia, un’opportunità per la società, a cura di Eugenia Scabini e Giovanna Rossi, edito da Vita e Pensiero, emerge che ci sono tanti seniores che si dedicano al volontariato. Lo dimostra il fatto che molte associazioni (Auser, Filo d’Argento, Anteas, Seniornet) sono costituite quasi esclusivamente da persone avanti con gli anni.
La ricerca evidenzia inoltre che molti si dedicano anche all’impegno politico ed all’insegnamento. All’interno degli ordini professionali per esempio si stanno sempre più affermando iniziative di mentoring per cui i professionisti in pensione aiutano i giovani imprenditori con programmi di accompagnamento. Anche in altri ambiti, come nell’artigianato di qualità, si stanno diffondendo progetti di affiancamento che trasmettono ai giovani i segreti di lavorazioni tradizionali.
Gli over: un capitale ancora da valorizzare
Da quanto si è detto emerge chiaramente che l’allungamento della vita media è un’opportunità sociale e lavorativa da sviluppare e da sfruttare. Basti solo pensare che molti settori della società, dal welfare alla cultura, al volontariato presentano delle carenze, che potrebbero essere soddisfatte ricorrendo all’impiego dei seniores.
Tra l’altro l’immagine dell’anziano come una persona fuori dal sistema produttivo è tipica della società industriale, ma nell’attuale economia dei servizi chi è avanti con gli anni può ancora svolgere un ruolo da protagonista, con grande beneficio per la qualità della propria vita e con un notevole vantaggio per l’intera società.
L’istituzione, in primis, a tutti i livelli nazionale, regionale e locale, dovrebbe promuovere per il benessere del singolo, ma anche dell’intera comunità, una cultura dell’invecchiamento attivo, che permetta di valorizzare il contributo degli anziani, offrendo loro concrete possibilità per partecipare alla vita del paese.
La questione dell’invecchiamento attivo implica innanzitutto la necessità di passare dal lifelong learning (apprendimento lungo tutto il corso della vita) al lifewide learning, cioè ad un processo di formazione che comprenda tutti gli aspetti della vita e che avvenga non soltanto negli spazi deputati all’apprendimento formale. Una tale formazione potrebbe da un lato “sistemare” le abilità e le competenze, dall’altro rendere possibile l’incontro tra i bisogni e le esigenze di una popolazione che invecchia con quelli di un’economia mondiale in continuo divenire.
La Silver economy e le sue conseguenze
Nella nostra analisi non possiamo sorvolare su un altro aspetto molto importante.
Continua a crescere infatti una nuova forma di economia, la cosiddetta silver economy. E’ un’economia sollecitata direttamente o indirettamente dai bisogni e dai consumi delle persone non più giovani, che spazia dall’alimentazione all’ambito culturale, ai viaggi ed al turismo e che comprende anche i servizi sociosanitari. Questa economia risulta, per l’importanza dell’utenza, la terza al mondo e potrebbe compensare l’aumento delle spese per la sanità e per le pensioni.
Il dibattito pubblico dovrebbe perciò ribaltare l’usuale prospettiva e vedere gli anziani anche come opportunità di sviluppo economico. Basti solo pensare che il valore della spesa sostenuta dagli over 65 in Italia, secondo un’indagine del Centro studi di Confindustria del 5/2/2020, è quasi un quinto dell’intero ammontare dei consumi delle famiglie.
Pur variando da persona a persona e tra i vari nuclei familiari, dal rapporto di Confindustria appare evidente che, in generale, la generazione degli over 65 ha una maggiore ricchezza reale pro-capite, un’incidenza della povertà inferiore della metà rispetto agli under 35 (13% vs 30%) ed è meno indebitata, rispetto a quelle più giovani (con 1 anziano su 10 a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40). Si deve aggiungere, inoltre, che, poiché la loro posizione è consolidata sia sul piano familiare, sia su quello economico, i seniores hanno una maggior propensione al decumulo finanziario, cioè all’ utilizzo del risparmio accumulato, per aiutare i figli ed i nipoti o a proprio beneficio, per esempio, per curarsi o per viaggiare o per andare ai musei, alle mostre, al cinema.
Negli ultimi anni gli anziani hanno perciò incrementato notevolmente il loro consumi, contrariamente alle generazioni più giovani che invece si sono viste costrette a ridurli.
Non dobbiamo poi trascurare il valore generato dalle famiglie come datori di lavoro per i servizi delle badanti. Per accudire i parenti non auto-sufficienti, stanno creando infatti posti di lavoro, incrementando così l’occupazione. Sempre secondo i dati del rapporto di Confindustria il peso di questo settore sul valore aggiunto complessivamente prodotto era, già nel 2018, dell’1,2%, mentre in termini di occupazione la quota percentuale superava in media il 6%.
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