Andare in pensione sì, ma solo un po'
Dal 2009 in Italia è possibile andare in pensione e riprendere a lavorare, purché si rispettino alcune regole che vedremo nel dettaglio. Ma perché è un tema di grande interesse oggi? Per svariati motivi:
- perché l’inflazione si sta mangiando il potere di acquisto di molte persone
- l’allungamento continuo della vita impone di aumentare risparmi e i contributi il più possibile
- le condizioni migliori con le quali arriviamo all’età della pensione consentono di continuare il lavoro ancora per qualche anno, prima di doversi davvero mettere a riposo. Almeno per i lavori non pensati o usuranti.
Il pensionamento a tutela del rischio longevità non è più lo stesso
In molti conserviamo il sogno-mito del ‘900, messo in scena in una miriade di film americani, dell’ultimo giorno di lavoro prima della pensione: festicciola tra colleghi, orologio aziendale con tante grazie e da domani a pesca di lucci. Purtroppo o per fortuna non è più così. La vita rispetto a quel cliché ha guadagnato un paio di decina d’anni, trasformando non solo il nostro ciclo di vita ma anche il senso del pensionamento.
Invenzione di fine ‘800 ad opera di Otto von Bismarck che gettò le basi per molti sistemi previdenziali, all’origine il pensionamento era una rendita tesa a tutelare il lavoratore dal rischio longevità, quindi dal rischio di vivere più a lungo del previsto, tant’è che l’età pensionabile era fissata molto a ridosso dell’aspettativa media di vita. Nel tempo poi la vita si è allungata di qualche decennio mettendo in crisi il senso originale del sistema. Tanto più nel nostro Paese dove l’accantonamento contributivo obbligatoria è di fatto figurativo: nessuno di noi possiede un conto proprio presso l’Inps con i contributi versati. Sono di fatto i lavoratori correnti a pagare le pensioni contemporanee.
Ovvio quindi che l’aumentare dell’aspettativa di vita e il crollo della natalità mettano il carico da 90 all’insostenibilità del sistema pensionistico ereditato da un’epoca molto diversa e inducano i Governi a rivedere età pensionabili e importo delle pensioni, le uniche due variabili sulle quali si possa esercitare un controllo.
La pensione anticipata fa male allo Stato e alla salute
Il pensionamento come l’abbiamo inteso fino a oggi non fa male solo alle casse dello Stato e, in qualche modo, alla società (quali lavoratori infatti finanzieranno le pensioni di domani se abbiamo smesso di fare figli?). A sentire i geriatri fa male anche ai pensionati. Almeno quando è anticipata perché, secondo la Società italiana di Gerontologia e Geriatria anticiperebbe un decadimento fisico e cognitivo. Secondo i dati raccolti dagli specialisti, infatti, entro i primi due anni dal pensionamento aumentano problemi cardiovascolari, depressione e ricorso a medici e cure, e dal punto di vista psicologico si anticipa la percezione di inutilità e di “fine percorso”. Il decadimento cognitivo sarebbe confermato anche da uno studio condotto sulle comunità rurali cinesi, dove si è osservato in chi aderiva a un programma di pensionamento anticipato a 60 anni una riduzione di 3 punti di QI, il quoziente di intelligenza, mettendo a rischio facoltà come pianificare le proprie finanze o aderire scrupolosamente a un programma di farmaci.
Naturalmente l’Italia non è la Cina e la maggior parte dei nostri pensionandi non sono contadini. Inoltre ogni generalizzazione sconta un bias di miopia verso fattori individuali che possono fare la differenza come consapevolezza, cerchia di affetti, ruolo di cura dei nipoti, maggior libertà dedicata ad esercizi fisici e/o a un migliora routine del sonno.
L’allenamento del cervello aiuta
Le condizioni con le quali arriviamo all’età della pensione oggi sono molto migliori rispetto al passato e male si acconciano all’inattività totale e, per molti uomini meno inclini delle rispettive compagne a tessere relazioni sociali fuori dal lavoro, anche a un certo isolamento.
Forse per questo molti neo pensionati americani stanno tornando al lavoro pur non uscendo dal programma pensionistico: in realtà si considerano pensionati dal lavoro a tempo pieno, 5 giorni su 7, ma non dal lavoro tout court. Chi può permettersi consulenze, part time, lavori a progetto o una piccola attività imprenditoriale sceglie di farlo, non solo per tutelare il proprio potere di acquisto in tempi così pesantemente inflattivi, ma nel 60% dei casi per “avere qualcosa da fare”. Non avere nulla da fare può scatenare depressione e senso di inutilità.
Si può continuare a lavorare da pensionati?
Da 2009 la legge dice che i lavoratori dipendenti possono riprendere a lavorare a partire dalla prima prestazione pensionistica. E’ obbligatorio quindi licenziarsi per avere diritto alla pensione, ma una volta entrati nel programma pensionistico si può riprendere a lavorare. Naturalmente i redditi da lavoro si cumuleranno con i redditi pensionistici e qui è opportuna la consulenza di un commercialista per capire se ciò porta a uno scaglione fiscale superiore e quanto possa inficiare l’utilità economica di questa decisione.
Dopo 5 anni dalla pensione o – per chi ha superato l’età pensionabile – dopo 2 (ma solo per una volta) è possibile richiedere un aumento dell’assegno pensionistico in virtù dei contributi aggiuntivi versati nei 5/2 anni.
I lavoratori autonomi non hanno invece l’obbligo di lasciare il lavoro per andare in pensione.
Fanno eccezione a queste regole di pensione e lavoro coloro che sono andati in pensione anticipatamente con Quota 100 o Quota 102 e anche Quota 41
Almeno finché non avranno raggiunto l’età della pensione di vecchiaia (o anticipata o di anzianità contributiva). Naturalmente nel periodo di interdizione possono svolgere prestazioni occasionali fino a un massimo di 5.000 euro annui.
Riassumendo quindi, alla domanda si può continuare a lavorare dopo la pensione, rispondiamo
- continuare no, se sei dipendente, riprendere a lavorare sì
- se sei autonomo può tranquillamente continuare a lavorare
- no, non puoi lavorare se sei pensionato con Quota 100, Quota 102 o Quota 41, almeno finché non raggiungi l’età della pensione di vecchiaia o anticipata (di anzianità contributiva)
- redditi da lavoro e redditi pensionistici si sommano, occhio agli scaloni fiscali
- lavorare, magari part time, potrebbe rallentare il decadimento fisico e cognitivo associato alla vecchiaia
Qualche idea su cosa fare dopo la pensione per non andare in depressione? Dai un’occhiata a questo articolo di Indeed
Dal 2009 in Italia è possibile andare in pensione e riprendere a lavorare, purché si rispettino alcune regole che vedremo nel dettaglio. Ma perché è un tema di grande interesse oggi? Per svariati motivi:
- perché l’inflazione si sta mangiando il potere di acquisto di molte persone
- l’allungamento continuo della vita impone di aumentare risparmi e i contributi il più possibile
- le condizioni migliori con le quali arriviamo all’età della pensione consentono di continuare il lavoro ancora per qualche anno, prima di doversi davvero mettere a riposo. Almeno per i lavori non pensati o usuranti.
Il pensionamento a tutela del rischio longevità non è più lo stesso
In molti conserviamo il sogno-mito del ‘900, messo in scena in una miriade di film americani, dell’ultimo giorno di lavoro prima della pensione: festicciola tra colleghi, orologio aziendale con tante grazie e da domani a pesca di lucci. Purtroppo o per fortuna non è più così. La vita rispetto a quel cliché ha guadagnato un paio di decina d’anni, trasformando non solo il nostro ciclo di vita ma anche il senso del pensionamento.
Invenzione di fine ‘800 ad opera di Otto von Bismarck che gettò le basi per molti sistemi previdenziali, all’origine il pensionamento era una rendita tesa a tutelare il lavoratore dal rischio longevità, quindi dal rischio di vivere più a lungo del previsto, tant’è che l’età pensionabile era fissata molto a ridosso dell’aspettativa media di vita. Nel tempo poi la vita si è allungata di qualche decennio mettendo in crisi il senso originale del sistema. Tanto più nel nostro Paese dove l’accantonamento contributivo obbligatoria è di fatto figurativo: nessuno di noi possiede un conto proprio presso l’Inps con i contributi versati. Sono di fatto i lavoratori correnti a pagare le pensioni contemporanee.
Ovvio quindi che l’aumentare dell’aspettativa di vita e il crollo della natalità mettano il carico da 90 all’insostenibilità del sistema pensionistico ereditato da un’epoca molto diversa e inducano i Governi a rivedere età pensionabili e importo delle pensioni, le uniche due variabili sulle quali si possa esercitare un controllo.
La pensione anticipata fa male allo Stato e alla salute
Il pensionamento come l’abbiamo inteso fino a oggi non fa male solo alle casse dello Stato e, in qualche modo, alla società (quali lavoratori infatti finanzieranno le pensioni di domani se abbiamo smesso di fare figli?). A sentire i geriatri fa male anche ai pensionati. Almeno quando è anticipata perché, secondo la Società italiana di Gerontologia e Geriatria anticiperebbe un decadimento fisico e cognitivo. Secondo i dati raccolti dagli specialisti, infatti, entro i primi due anni dal pensionamento aumentano problemi cardiovascolari, depressione e ricorso a medici e cure, e dal punto di vista psicologico si anticipa la percezione di inutilità e di “fine percorso”. Il decadimento cognitivo sarebbe confermato anche da uno studio condotto sulle comunità rurali cinesi, dove si è osservato in chi aderiva a un programma di pensionamento anticipato a 60 anni una riduzione di 3 punti di QI, il quoziente di intelligenza, mettendo a rischio facoltà come pianificare le proprie finanze o aderire scrupolosamente a un programma di farmaci.
Naturalmente l’Italia non è la Cina e la maggior parte dei nostri pensionandi non sono contadini. Inoltre ogni generalizzazione sconta un bias di miopia verso fattori individuali che possono fare la differenza come consapevolezza, cerchia di affetti, ruolo di cura dei nipoti, maggior libertà dedicata ad esercizi fisici e/o a un migliora routine del sonno.
L’allenamento del cervello aiuta
Le condizioni con le quali arriviamo all’età della pensione oggi sono molto migliori rispetto al passato e male si acconciano all’inattività totale e, per molti uomini meno inclini delle rispettive compagne a tessere relazioni sociali fuori dal lavoro, anche a un certo isolamento.
Forse per questo molti neo pensionati americani stanno tornando al lavoro pur non uscendo dal programma pensionistico: in realtà si considerano pensionati dal lavoro a tempo pieno, 5 giorni su 7, ma non dal lavoro tout court. Chi può permettersi consulenze, part time, lavori a progetto o una piccola attività imprenditoriale sceglie di farlo, non solo per tutelare il proprio potere di acquisto in tempi così pesantemente inflattivi, ma nel 60% dei casi per “avere qualcosa da fare”. Non avere nulla da fare può scatenare depressione e senso di inutilità.
Si può continuare a lavorare da pensionati?
Da 2009 la legge dice che i lavoratori dipendenti possono riprendere a lavorare a partire dalla prima prestazione pensionistica. E’ obbligatorio quindi licenziarsi per avere diritto alla pensione, ma una volta entrati nel programma pensionistico si può riprendere a lavorare. Naturalmente i redditi da lavoro si cumuleranno con i redditi pensionistici e qui è opportuna la consulenza di un commercialista per capire se ciò porta a uno scaglione fiscale superiore e quanto possa inficiare l’utilità economica di questa decisione.
Dopo 5 anni dalla pensione o – per chi ha superato l’età pensionabile – dopo 2 (ma solo per una volta) è possibile richiedere un aumento dell’assegno pensionistico in virtù dei contributi aggiuntivi versati nei 5/2 anni.
I lavoratori autonomi non hanno invece l’obbligo di lasciare il lavoro per andare in pensione.
Fanno eccezione a queste regole di pensione e lavoro coloro che sono andati in pensione anticipatamente con Quota 100 o Quota 102 e anche Quota 41
Almeno finché non avranno raggiunto l’età della pensione di vecchiaia (o anticipata o di anzianità contributiva). Naturalmente nel periodo di interdizione possono svolgere prestazioni occasionali fino a un massimo di 5.000 euro annui.
Riassumendo quindi, alla domanda si può continuare a lavorare dopo la pensione, rispondiamo
- continuare no, se sei dipendente, riprendere a lavorare sì
- se sei autonomo può tranquillamente continuare a lavorare
- no, non puoi lavorare se sei pensionato con Quota 100, Quota 102 o Quota 41, almeno finché non raggiungi l’età della pensione di vecchiaia o anticipata (di anzianità contributiva)
- redditi da lavoro e redditi pensionistici si sommano, occhio agli scaloni fiscali
- lavorare, magari part time, potrebbe rallentare il decadimento fisico e cognitivo associato alla vecchiaia
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