A cent’anni dalla nascita Enrico Baj ritorna a Palazzo Reale di Milano
A cent’anni dalla sua nascita Enrico Baj (1924 –2003), pittore, scultore, saggista italiano ed importante rappresentante della neoavanguardia italiana e internazionale, ritorna a Palazzo Reale di Milano. Anarchico, ribelle, erede dello spirito surreal-dadaista, Baj fu una figura poliedrica e sperimentatore di nuove tecniche artistiche.
La mostra, intitolata Baj chez Baj ed aperta al pubblico fino al 9/2/2025, è promossa dal Comune di Milano-Cultura ed è curata da Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj. Parallelamente all’esposizione milanese questo progetto è presentato anche a Savona e ad Albissola Marina con l’esposizione dei lavori in ceramica eseguiti da Baj.
La rassegna di Milano ha un aspetto insolito e particolare, in quanto i capolavori esposti dialogano con i testi dei grandi scrittori che hanno conosciuto Baj, come André Breton, il teorico del surrealismo, lo scrittore Italo Calvino o il filosofo Umberto Eco.
Baj e l’Arte Nucleare
Nel 1951 Baj fondò con Sergio Dangelo il Movimento di Pittura Nucleare. Il termine, Nucleare, è un chiaro riferimento alla fissione atomica, un tema attualissimo in un periodo storico che vedeva possibile l’idea di una guerra nucleare, ma anche l’utilizzo pacifico dell’energia atomica.
Erano gli anni dell’astrazione e dell’Arte Informale, in cui gli artisti contestavano i canoni della pittura precedente, rifiutando sia l’elemento figurativo tradizionale, sia lo stile dell’Astrattismo di inizio Novecento ed, influenzati dall’ irrazionalità del Surrealismo, erano alla ricerca di nuove modalità espressive. In questo contesto culturale i due artisti rinnovarono completamente la pittura, superando l’arte informale e sperimentando nuove forme possibili fra arte e scienza, fra gioco ed impegno sociale.
Le nuove immagini artistiche furono trovate nell’universo dell’atomo e nelle sue cariche elettriche. Il rifiuto di ogni dogma ha spinto, infatti, gli artisti nucleari a mettere in discussione la forma, il colore e lo stile tradizionali ed a riflettere su un mondo formato da onde magnetiche e da funghi atomici.
Nel manifesto della pittura nucleare, firmato a Bruxelles nel 1952, si legge infatti: i Nucleari … vogliono e possono reinventare la Pittura. Le forme si disintegrano: le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo atomico. Le forze sono le cariche elettriche. La bellezza ideale … coincide con la rappresentazione dell’uomo nucleare e del suo spazio. … La verità non vi appartiene: è dentro l’atomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verità.
Le opere di Baj alla mostra di Milano
La mostra ripercorre, con oltre 50 opere, le principali fasi della produzione di Baj, dal 1950 fino agli inizi degli anni 2000.
Durante il percorso il visitatore potrà apprezzare le opere di un artista che, oltre ad aver inciso profondamente sull’arte contemporanea, ha fatto dell’ironia e del grottesco una cifra stilistica capace di smantellare il conformismo borghese e di combattere la violenza del potere, la militarizzazione, la robotizzazione dell’uomo e la tecnologia esasperata.
Baj l’ha fatto con un uso audace del colore, con una ricchezza di materiali e con un spirito ora ludico, surreale ed eclettico, ora originale, ironico e dissacrante, fino a cadere spesso nell’assurdo o addirittura nel grottesco.
La mostra milanese si apre con l’installazione monumentale di L’Apocalisse, un polittico di quasi 100 metri quadrati, allestito in altezza ed idealmente ispirato al Giudizio Universale di Michelangelo. E’ un assemblaggio di demoni e di figure grottesche e maligne che urlano e si arrampicano fino al soffitto e che rispecchiano il degrado della società ed il processo di disumanizzazione dell’uomo.
L’iter espositivo, poi, si snoda tra le opere nucleari (1951-’55), come Due personaggi notturni e Piccolo bambino con i suoi giochi del 1952, tra gli Ultracorpi, delle strane figure inquietanti che troviamo lungo tutto il percorso dell’artista e che, attraverso molteplici metamorfosi, diventano il riflesso del malessere sociale, tra i Generali ( della fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta), dei pupazzi tozzi in divisa che rappresentano la guerra, l’autoritarismo e la prepotenza del potere. Non mancano le sculture con i Meccani (1963-‘84), che, pur riportando alla dimensione infantile del divertimento puro, diventano strumento di dissacrazione e di riflessione critica.
Con i Mobili, realizzati tra il 1960 e il 1962, opere create con frammenti di legno, di stoffe e di rivestimento di mobili d’epoca, l’artista ha voluto deridere, sempre comunque in modo giocoso, quel gusto borghese che quei lavori evocano. Chiudono il percorso espositivo le Dame, nate negli anni ’60 come compagne dei Generali e diventate simboli di una società vacua ed ipocrita.
Per la realizzazione delle sue opere l’artista ha usato i materiali più disparati: pizzi, bottoni, passamanerie, candele, pomelli, medaglie, legno, i moduli del Meccano, i mattoncini LEGO ed altri materiali di vario genere. Li ha assemblati in modo sorprendente, derisorio e pungente, ma mai violento o spaventoso.
I funerali dell’anarchico Pinelli
I funerali dell’anarchico Pinelli è indubbiamente il capolavoro di Enrico Baj ed è diventato un manifesto contro il sopruso.
Il motivo ispiratore è stata la morte violenta di Giuseppe Pinelli, ferroviere, anarchico e partigiano, gettatosi da una finestra del quarto piano della centrale di polizia di Milano, dove era stato trattenuto illegalmente dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
L’opera, esposta nella sala delle Cariatidi, fa pensare ad una scenografia teatrale: è una composizione di grandi dimensioni, 3 metri di altezza e 12 di lunghezza, formata da pannelli smontabili. Le figure, ritagliate su sagome di legno, sono dipinte e decorate con inserti di tessuti damascati, con medagli e fregi militari.
Al centro della tela è raffigurato un uomo a torso nudo che precipita in mezzo a tante braccia alzate che cercano di afferrarlo. Sopra la scena troneggia, come un baldacchino, una finestra da cui si vede una lampada accesa sul soffitto della stanza. Intorno alla figura centrale sono raffigurati, con crudo realismo, a sinistra undici anarchici sconvolti e disperati ed a destra sette poliziotti che, con fucili e bastoni, urlano contro la folla del lato opposto e che sembrano pronti a caricarla.
I due gruppi sono differenziati anche dai colori: a quelli molto accesi delle figure di destra, che rappresentano i poliziotti, si contrappongono i toni più cupi del grigio con cui sono dipinti gli anarchici.
Davanti alla scena appare un campo di fiori stilizzato ed ai due lati estremi, sempre staccate dalla tela, emergono le sagome di due bambine piangenti, le figlie di Pinelli, e dall’altra parte attira l’attenzione una giovane donna, seminuda, che si dispera: è la moglie Licia.
L’opera più che ai funerali dà la centralità alla persona che precipita al suolo. Evidentemente con quel titolo, I funerali dell’anarchico Pinelli, Baj, aveva voluto rendere omaggio al futurista Carrà, che, nel 1911, aveva dipinto un’opera proprio dal titolo I funerali dell’anarchico Galli, ucciso a Milano nel 1904 durante uno sciopero generale.
Il comune denominatore di questi due lavori è indubbiamente la volontà di lasciare una testimonianza dello sdegno e del dolore di un’intera società, sconvolta di fronte ad episodi di violenza.
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