Quando Clapton era Dio e il Blues una faccenda inglese
Cosa vorreste come regalo di Natale? Una bella macchina del tempo che ci faccia atterrare direttamente nella Londra degli anni 60, ossia nel vero centro del mondo, dove tutto accadeva e diventava di tendenza: dai caschetti e girocolli dei Beatles all’irriverenza degli Stones all’esplosione della British Invasion, un po’ ovunque. Londra e la Gran Bretagna erano talmente all’avanguardia dal punto di visto socio-culturale che, a un certo punto, persino il blues, la colonna sonora delle piantagioni di cotone, una tradizione profondamente americana, sembrò essere nato sotto la Regina, che era già Lei, Elisabetta.
Un cofanetto regalo dedicato al blues inglese
La Cherry Red’s Grapefruit Imprint è un’etichetta che ha fatto delle ristampe di alta qualità la sua missione. Questa volta non si occupa di un’artista in particolare, ma di una scena, quella del British Blues, fotografata tra il 1966 e il 1971, la stessa che si ispirava ai neri americani del periodo pre-e post-bellico, Robert Johnson, Howlin’ Wolf, Elmore James e Muddy Waters, ma anche agli ultimi spasmi R&B britannici targati Alexis Korner, Graham Bond, Long John Baldry, Cyril Davies, proprio nel momento in cui John Mayall, il padrino di questa storia, stava per decollare con i Bluesbreakers e il suo nuovo chitarrista: Eric Clapton.
Un cofanetto di tre dischi, 56 tracce che raccontano i prodromi del rock moderno. Dentro troverete i citati Bluesbreakers che rileggono e trasformano Willie Dixon e Otis Rush, ma anche nomi dimenticati quali la Zany Woodruff Organization. E ancora: Jeff Beck, Love Sculpture, i primi Fleetwood Mac, Ten Years After, i Deviants, Christine Perfect Band (ossia Christine McVie, poi tra i leader dei Fleetwood Mac “americani”), rarità clamorose quali i Quiet Melon di “Diamond Joe”, con Ronnie Wood, Kenny Jones, Rod Stewart, Ian McLagan e Ronnie Lane prima che formassero i Faces, esempi di proto blues-metal con i gli Skid Row di Gary Moore e i primi tentativi boogie degli Status Quo. Quando poi parte un’incendiaria “I’m a Man” degli Yardbirds catturati dal vivo, è facile intravedere i Led Zeppelin e i semi del futuro.
Pronti a riascoltare Slow Hand&Co?
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