Orietta e Iva, le eterne debuttanti (a Sanremo)
C’era una volta la canzone pop tricolore che guardava in alto alla ricerca di un battito d’ali. Si raccontavano le gesta dell’Aquila di Ligonchio e dell’Usignolo di Cavriago. Spesso si tornava con i piedi per terra, ma a distanza di sicurezza al cospetto della Pantera di Goro e della Tigre di Cremona. Richiami zoologici per sottolineare il carisma, il fascino, la bellezza, la qualità. L’Italia del boom era inconsapevolmente e clamorosamente animalista, fiera dei propri trascorsi pascoliani/leopardiani (la civetta, Il passero solitario, il cane notturno). Quasi sessanta anni dopo, l’Orietta “usignolo” Berti e l’Iva “Aquila” Zanicchi si sono trasformate, in maniera appropriata all’epoca social, in gatti che, si sa, hanno sette vite. Eccole atterrare, ancora una volta, in quel di Sanremo, in tempo per l’ennesimo Festival della canzone italica. Ma, attenzione, non nel ruolo di tappabuchi, di regalo folkloristico, di contentino confezionato per la platea più legata alla tradizione, ai ricordi, ai bei tempi andati. No, il duo Berti-Zanicchi è qui e lotta per tutti noi.
La riscossa
Il “tardon fashion” si è trasformato in “classic memory”, da souvenir ad àncora perfetta per calibrare, addomesticare uno spettacolo sempre più privo di volti rassicuranti, ma anche carismatici, di appigli concreti, di fenomeni pluri-stagionali, in un panorama divenuto cangiante per l’eccessiva offerta, che non attende, che non ha pazienza, tempo e voglia di capire, memorizzare, innamorarsi per più di un minuto. E allora, ancora una volta, Iva e Orietta, Zanicchi e Berti, alla riscossa, proprio loro due, raccontate al tempo come seconde scelte, come umili professioniste del canto, protagoniste da centro classifica, mentre i trofei e gli applausi ricoprivano, giustamente, le gesta epocali di Mina, Milva, Ornella, Patty, Mia, splendenti, chic, nobili, artiste. Orietta e Iva, da compagne della porta accanto, sin troppo raggiungibili, quindi facili, scarsamente oniriche, sono diventate le nuove suffragette della cultura pop nazionale, e i loro inciampi sono anche i nostri, e le gaffe sono consolanti quando non appaganti. A nulla sono valse le cadute kitch, ampiamente ridicolizzate, le scelte politiche giudicate poco progressiste e dunque bastonate con foga, il portamento eccessivamente nazional popolare, qualche lacrima di troppo illuminata da telecamere pomeridiane.
Due come noi
Sanremo 2022, il Festival che conforta, che consola, tra un vezzo, un lazzo, un trucco, una sorpresa, l’ennesima, poco sorprendente. Iva che dice “Sarò la nota classica tra tanti nipotini” e, intanto, propone il classico tema, sempreverde, un vero e proprio invito, una speranza, “Vorrei amarti”. Orietta che caracolla buffa, ma decisa, forte della recente acclamazione giovanile, del connubio ironico stretto con Achille Lauro e Fedez, sulle rime di “Mille”, ultimo tormentone in ordine di tempo, cinquant’anni dopo il primo, impresa sconosciuta a tutti, persino a Gianni Morandi. Sarà madrina, mamma, nonna, in collegamento da una crociera, perché si sa, e lei lo sa, fin che la barca va, lasciala andare.
Due braccia grandi
Per abbandonarmi dentro
Se la notte avevo un po’ paura
Occhi profondi
Per cui ero un libro aperto
Le mamme sognano
Le mamme invecchiano
le mamme si amano
Ma ti amano di più
(Toto Cutugno – Le mamme – Sanremo 1989)
In attesa del nuovo avvento di Iva e Orietta, volete fare un ripasso del loro canzoniere? Eccovi il meglio di Zanicchi e Berti
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