Ageismo: l'ultimo tabù
Cos’è l’ageismo? È l’adattamento italiano di un termine inglese (ageism) coniato nel 1969 dal medico e psichiatra americano Robert Neil Butler e indica la discriminazione nei confronti di una persona sulla base dell’età. Per spiegarvelo meglio vi raccontiamo tre storie:
Troppo vecchia per essere bella
Francesca è una donna molto bella: alta, bionda, un fisico scolpito dalle ore che dedica ogni giorno al pilates e alla corsa, occhi verdi magnetici. Ha 61 anni, ma non li dimostra affatto. Occupandosi di tv, frequenta spesso persone molto più giovani di lei. «Non facendo mistero del mio essere fieramente single, molti trenta-quarantenni, o anche di più giovani», spiega a Cocooners, «provano spesso a corteggiarmi, a volte mi chiedono di uscire. È evidente che sono attratti da me, ma la loro attrazione di colpo si affievolisce quando decido di rivelare la mia età. A quel punto spariscono, o mettono una distanza, il loro tono si fa più formale ed evidentemente imbarazzato. Prima questo mi sconcertava, ora mi diverte. Ho imparato a dichiarare subito la mia età: è una specie di un test, un ottimo criterio di scrematura».
Troppo vecchio per essere creativo
Roberto ha 61 anni, è art director in una casa editrice. È bravo e molto stimato dai colleghi, ma l’azienda per cui lavora ha deciso di tagliare i costi proponendo ad alcuni dipendenti un incentivo all’esodo, lui è uno di questi. Roberto ama il suo lavoro, è il più creativo tra i suoi colleghi, i suoi giorni di malattia si contano sulle dita di una mano, è sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare. E, soprattutto, non può permettersi né economicamente né psicologicamente di andare in pensione, di vivere in pantofole e sparire dal mondo del lavoro. Il direttore del personale che l’ha convocato gli ha spiegato che l’azienda ha bisogno di svecchiarsi, di mettere al suo posto qualcuno che “morda il freno”, qualcuno di più “fresco”. Ma a detta di tutti in redazione non c’è nessuno nel suo team che morda il freno come lui; nessuno che, anche tra quelli molto giovani, sia altrettanto fresco.
Troppo vecchia per essere amata
In un’intervista del 2015, l’attrice Maggie Gyllenhaal, premiatissima e candidata all’Oscar, ha confessato di essere stata una volta esclusa dal cast di un film importante perché, a 37 anni, era considerata dai produttori “troppo vecchia” per interpretare l‘amante di un uomo che sulla scena ne aveva 55. «La cosa prima mi ha fatto stare male», ha dichiarato,«poi mi ha fatto arrabbiare, e alla fine mi ha fatto molto ridere».
Un pregiudizio subdolo
Non tutti riescono a ridere come Maggie Gyllenhaal o a prenderla con filosofia come la bella Francesca. L’ageismo pervade la società, inquina le menti e offusca la nostra capacità di giudizio. È un pregiudizio che può danneggiare, rovinare carriere e anche ferire nel profondo. Ed è particolarmente violento e offensivo nei confronti delle donne. Ma, a differenza di altri modelli di discriminazione come il sessismo e il razzismo, l’ageismo è raramente stigmatizzato, poco affrontato da un punto di vista politico, culturale e sociale. E non colpisce soltanto gli anziani, perché c’è sempre qualcuno più vecchio di noi: se chi lo esercita è un ventenne, le vittime potenziali possono essere trentenni o quarantenni. E, se pure si ripercuote in maniera più vistosa sulla popolazione anziana, può essere usato anche a rovescio: come un’arma nei confronti chi viene giudicato, per esempio ,“troppo giovane” per occupare una posizione di lavoro. Insomma riguarda tutti. Incarniamo il feroce paradosso di una società “anziana” ossessionata dal mito della gioventù (che però viene tenuta debitamente fuori dalle posizioni di responsabilità e ancora fatica ad accedere al mondo del lavoro). I casi di discriminazione basata sull’età sono pervasivi e si manifestano nelle forme più subdole e diverse. Gli slogan “anti-age” dettano la linea in ogni settore, dalla bolla dei media al mercato della moda e della bellezza, fino all’industria dell’intrattenimento.
Il campo minato del lavoro
Il mercato del lavoro ne è pervaso: quando le opportunità di formazione e aggiornamento, la partecipazione a conferenze professionali o di settore vengono offerte esclusivamente ai dipendenti più giovani. Quando, se si tratta di attribuire incarichi impegnativi, i più anziani vengono trascurati o ignorati con la scusa che si tratta di incombenze spiacevoli o noiose. Quando si viene sistematicamente scavalcati in caso di aumenti e promozioni. Ogni volta che circola una battuta maliziosa sull'”età della pensione”. Ogni volta che si pone un limite di età nel reclutamento di nuovo personale.
Categorie a rischio
La crisi pandemica che stiamo attraversando ha dato gran fiato allo stigma dell’ageismo, soprattutto da quando l’Oms ha classificato ogni over 60, senza eccezione alcuna, nella categoria dei soggetti a rischio, considerandoli, come è accaduto in paesi e situazioni in cui l’emergenza era più aspra, categorie “sacrificabili” sulla sola base anagrafica, blindandoli di fatto a casa ed escludendoli dalla vita comunitaria.
Ok, boomer!
C’è un’espressione che è diventata virale tra i teenager del pianeta: “Ok, boomer!”. Probabilmente se avete figli tra i 15 e i 20 ve la siete anche sentita rivolgere qualche volta. Sembra abbia cominciato a circolare tra le comunità di TikToker. Beh, sappiate che passando di bocca in bocca ha finito col diventare uno slogan polemico, un modo con cui i ragazzini irridono e liquidano le osservazioni mosse dalle persone mature, in particolare da chi appartiene alla generazione dei baby boomer, un’accusa implicita di “passatismo”, di non essere più adeguati ai tempi. Tanto sdoganata da esser stata recentemente proferita anche da una giovane deputata neozelandese per zittire un collega che provava a interromperla durante un intervento in parlamento su una questione ambientale. Il fenomeno ha sollevato un’onda di reazioni e polemiche nel mondo anglosassone, è diventato in un certo senso il simbolo di ogni atteggiamento discriminatorio sulla base dell’età, di sicuro il sintomo di un movimento di sensibilizzazione e reazione crescente.
Senza data di scadenza
Un movimento ormai ben radicato a Hollywood e dintorni. Sono molte le attrici che hanno preso posizione in maniera netta contro la discriminazione basata sull’età nell’industria dell’intrattenimento, attraverso post sui social, interviste o accorati discorsi di accettazione in occasione di un premio. Dopo aver elencato, in un discorso tenuto nel 2018 nel corso degli Screen Actors Guild Awards, i nomi di una serie di colleghe eccellenti, tra cui Meryl Streep, Jane Fonda, Judi Dench e Susan Sarandon, Nicole Kidman ha dichiarato: «Voglio ringraziarvi tutte per le performance all’avanguardia che ci avete regalato nel corso delle vostre carriere e per quanto sia meraviglioso che oggi le attrici possano continuare a recitare anche oltre i 40 anni. Vent’anni fa, eravamo piuttosto spaesate in questa fase della nostra vita, ora non è più così. Prego solo che l’industria rimanga al nostro fianco perché finalmente le nostre storie vengano raccontate».
«Spesso la gente mi chiede: “Hai superato i 45 anni, perché non passi il testimone a un’altra?”», ha rivelato Heidi Klum, 47 anni, modella, produttrice e imprenditrice. «Allora penso alle tante donne straordinarie con cui collaboro quotidianamente, cinquantenni, sessantenni, settantenni eccezionali e spesso ancora molto belle a attive, e mi domando: abbiamo forse perso con l’età il diritto di partecipare al gioco, di sentirci sexy o impegnate? Cos’è: abbiamo forse una data di scadenza?»
La discriminazione per l’età è un problema che avverti anche tu?
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