Sindrome del nido vuoto, come riconoscerla e ricostruirsi
Questo anno difficile, in cui molti ragazzi che erano già fuori casa hanno dovuto, a causa della pandemia, imprimere un brusco dietrofront alle loro vite adulte e riparare a tempo determinato di nuovo in famiglia, scombussolando equilibri, bilanci e architetture affettive, è stato, tra le altre cose, una grande occasione per riflettere, riconsiderare cause e prospettive.
Dopo tutto quel trambusto, un’insopportabile quiete
Sindrome del nido vuoto: così si definisce l’ineffabile afflizione che colpisce i genitori quando i figli, ormai grandi e autonomi, lasciano definitivamente la casa in cui sono cresciuti per la loro vita adulta: è un’esperienza transitoria e molto comune che può però provocare grande dolore, disorientare. «Dedichi tutta la vita a costruire per loro un bel paio di ali, gli insegni a spiccare il volo senza paura, e quando sono pronti e volano davvero, improvvisamente ti senti inutile, senza scopo e… vuoto», confessa Gianfranco, 60 anni e tre figli maschi, l’ultimo uscito di casa due mesi fa.
È il paradosso dell’essere genitori, un mestiere straordinario che non conosce orari, weekend e vacanze, che ti riempie, ti ribalta irreversibilmente la vita. E poi, quando ci hai preso gusto e ti sembra di aver finalmente capito come funziona, ti manda inesorabilmente in pensione, lasciandoti alle prese con un grande senso di smarrimento, spesso proprio nel momento in cui anche la vita professionale sta arrivando al capolinea. «Le mie giornate sono state per quasi due decenni piene di allenamenti di calcio, lezioni di danza, riunioni con i genitori e feste di compleanno. E poi bucati, tasse universitarie da pagare, confidenze da raccogliere, lacrime da asciugare, pranzi e cene da arrangiare», racconta Anna 58, anni una figlia che frequenta un college inglese e il più piccolo appena ammesso in una prestigiosa scuola di restauro in un’altra città. La mia ossessione, al ritorno dal lavoro era: cosa metto in tavola per i miei lupi affamati? I miei pensieri quasi tutti per loro. Ora, senza tutto quel trambusto, ci ritroviamo da soli, io e mio marito, a tirar fuori avanzi dal frigo, a dover riempire un tempo inutilmente sgombro di impegni».
L’importante è riconoscerla
Fino un decennio fa, quando si parlava di vittime del nido vuoto ci si riferiva, per ragioni culturali e sociali, esclusivamente alle donne: erano le più coinvolte nell’educazione dei figli, nei carichi di cura, spesso quelle che trascorrevano più tempo a casa o si ritrovavano comunque assorbite da professioni meno coinvolgenti e appaganti. Ora che, grazie al cielo, il divario si sta rapidamente colmando e molti uomini cominciano davvero a condividere il lavoro di cura familiare con le compagne, ora che tante donne (sempre troppo poche in Italia) lavorano a tempo pieno e con passione, è diventato davvero un disagio condiviso.
Anzi, mentre le madri, che comunque affrontano ancora la maggior parte delle fatiche domestiche legate ai figli, imparano presto ad apprezzare tempo lasciato libero dalla loro assenza e arrivano, ci dicono gli esperti, a quella boa esistenziale fisicamente più in forma, sono più disposte a emanciparsi e riempire di attività il nuovo tempo libero, socialmente più attive e organizzate, i papà, invece, che beneficiano spesso degli aspetti più gradevoli della genitorialità, cadono più facilmente preda di blande forme di depressione quando i figli escono di casa. Proprio perché sono meno pronti a riconoscere l’origine del loro malessere e affrontarlo con una terapia di aiuto, o semplicemente con una sana riorganizzazione di abitudini e priorità.
Un nuovo inizio
Una riorganizzazione che scaturisce dal prendere faticosamente atto che il mestiere di un genitore non è che questo: crescere figli solidi e sereni, pronti per affrontare il grande viaggio della vita in autonomia. Donare loro la libertà e riprendere in mano la propria. Visto da questa prospettiva, un nido vuoto dovrebbe suscitare gioia, quanto meno soddisfazione. Alleggerito dalla responsabilità e dai sacrifici che richiede un figlio da accudire, ogni genitore merita una pausa, un tempo per ricostruirsi come individuo, per tornare ad ascoltare sogni e desideri che, qui non smetteremo mai di ripeterlo, non è mai troppo tardi per esaudire. Da soli o in coppia. È il tempo, questo, in cui riparare e rimettere in moto tutto ciò che nel frattempo si era arrugginito, riprendere quanto abbiamo lasciato incompiuto, o semplicemente riposare. È, insomma, un nuovo inizio, per tutti.
Buona nuova vita a tutti!
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