Età media in Italia: siamo un paese di anziani?
L’Italia è un paese sempre più vecchio: la conferma arriva dai dati diffusi dall’Istat nell’aprile di quest’anno. Aumenta infatti l’età media della popolazione, che, nel periodo compreso tra l’inizio del 2021 e l’inizio del 2022, passa da 45,9 a 46,2 anni. Contrariamente a quanto si possa credere la crescita più importante si riscontra proprio tra la popolazione di persone di 90 e 100 anni ed oltre. Siamo di fronte ad una grossa discrepanza: mentre il numero degli ultracentenari raggiunge nel 2022 il suo livello più alto, la natalità è al minimo storico.
Quanti anziani ci sono in Italia?
Anche se la pandemia da Covid 19 ha avuto pesanti ricadute letali per gli anziani, sempre secondo gli ultimi dati Istat dell’aprile scorso, gli over 65 rappresentano in Italia, all’inizio del 2022, il 23,8% della popolazione totale contro il 23,5% dell’anno precedente, passando così dai 10 milioni e mezzo circa del 2002 ai 14 milioni circa del 2021 di fronte ad una popolazione totale sostanzialmente stabile. Diminuiscono invece sia gli individui in età attiva, sia i più giovani: i 15-64enni (-198mila) scendono dal 63,6% al 63,5% ed i ragazzi fino a 14 anni (-160mila) passano dal 12,9% al 12,7% del totale.
Se poi analizziamo i dati nelle diverse parti del paese, notiamo che la percentuale degli over 65 è maggiore al nord , che passa dal 24,1% al 24,3%, ed al Centro , che è cresciuta dal 24,2% al 24,5%, rispetto al sud, che resta mediamente più giovane (dal 22,3% al 22,7%).
Il trend è destinato a crescere e ciò che colpisce maggiormente è il fatto che è in atto una distribuzione demografica senza precedenti. Secondo il Centro Nazionale di Epidemiologia dell’ Istituto Superiore di Sanità, nei prossimi anni, soprattutto nei Paesi industrializzati, il numero di individui di età uguale o superiore a 65 anni supererà quello dei bambini al di sotto dei 5 anni.
Negli ultimi 50 anni l’Italia è uno dei paesi, tra quelli maggiormente sviluppati, che ha avuto il più rapido invecchiamento della popolazione. Ciò che preoccupa non è tanto l’aumento del numero di anziani in Italia, che anzi è un fattore positivo, quanto il cosiddetto indice di vecchiaia, cioè il rapporto in percentuale tra il numero degli ultra 65enni ed il numero dei giovani da 0 a 14 anni. Nel 2021 secondo l’indice di vecchiaia in Italia ci sono 182,6 anziani ogni 100 giovani.
Il processo di invecchiamento, che è avvenuto grazie alla diminuzione della mortalità in seguito ai progressi medici – scientifici e grazie alle migliori condizioni di vita, è indubbiamente un grande successo della nostra società, così come è un aspetto positivo la possibilità della donna di gestire la propria fertilità. Sono entrambi degli obiettivi positivi a cui dobbiamo sempre tendere.
Purtroppo però il progressivo invecchiamento di un Paese che non fa figli compromette seriamente il nostro futuro ed è questa l’emergenza più grande che dobbiamo affrontare. In pratica dobbiamo rendere sostenibile il processo di invecchiamento, che si può sviluppare soltanto in una società, dove da una parte ci sia una consistente presenza di giovani e di persone attive, che producono ricchezza e benessere per l’intero paese, e dall’altra ci sia una politica sociale e sanitaria efficiente per il benessere degli anziani.
Siamo un paese di anziani: conseguenze
L’invecchiamento della società e soprattutto l’indice di vecchiaia, il rapporto sfavorevole tra la popolazione inattiva e quella attiva comporteranno inevitabilmente un aumento della spesa sanitaria e pensionistica, peggiorando una situazione economica già poco favorevole. Sui pochi giovani che entrano nel mercato del lavoro grava perciò questa spesa, che rientra in un debito pubblico che è uno dei più alti d’Europa. Ecco perché tanti giovani italiani preferiscono emigrare all’estero dove trovano migliori condizioni di vita, maggiori offerte di lavoro con salari più elevati e con interessanti possibilità di crescita professionale, legate all’impegno ed alle proprie competenze e capacità. La cosa più grave è che migrano all’estero proprio i giovani laureati ed i dottori di ricerca: secondo i dati dell’Istat, negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso oltre 150mila laureati e diplomati. E’ un problema ancora sottovalutato, su cui invece è importante riflettere.
Nel nostro paese purtroppo c’è una contrazione dei posti di lavoro, che fa aumentare la disoccupazione giovanile. Questa situazione di incertezza e di precarietà è ovviamente una delle cause per cui nel nostro paese i matrimoni sono sempre più rari e tardivi e le nascite sono sensibilmente diminuite.
Cosa si deve fare per garantire la tenuta del sistema?
La situazione demografica italiana ci pone di fronte a delle sfide decisive per incrementare la crescita e per non fallire sul piano finanziario.
L’Italia è un paese di vecchi, ma non per vecchi e non è neppure un paese per giovani. Di conseguenza bisogna intervenire su due fronti: garantire il benessere agli anziani e favorire la formazione dei giovani ed il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Come favorire il benessere degli anziani in Italia
Quando si parla degli anziani, lo si fa il più delle volte per farli sentire un peso, per tagliare le loro pensioni ed i loro costi sociali. Gli anziani invece non sono un peso, ma sono le radici della nostra storia, sono portatori di valori e di esperienze di vita. Spesso sono addirittura una risorsa per i propri familiari, perché si prendono cura dei nipoti e dei congiunti, supplendo così alle carenze di un welfare italiano inadeguato. Il più delle volte sono anche un risparmio per lo Stato grazie alla loro attività di volontariato.
Ci sarebbero comunque molti altri compiti che l’anziano può svolgere, offrendo il proprio impegno e condividendo con altri le competenze acquisite. Non a caso da qualche anno si parla di invecchiamento attivo non solo nell’interesse della società, ma anche per il benessere del singolo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel rapporto Active Ageing: A Policy Framework del 2002, ha definito infatti il concetto di invecchiamento attivo come un processo di ottimizzazione delle opportunità per la salute, la partecipazione e la sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano.
Perché si possa invecchiare attivamente devono essere programmati innanzitutto interventi di promozione della salute e di prevenzione delle malattie, partendo dall’esame dei fattori di rischio legati all’età degli anziani. L’impegno delle istituzioni politiche e sociali deve puntare al mantenimento della qualità della vita e dell’autosufficienza dell’anziano e favorire quelle condizioni, che permettano a tutti i cittadini, in ogni momento della loro vita, di partecipare alla vita della società secondo i propri bisogni e capacità. Solo in questo modo gli anziani possono continuare ad interessarsi degli affari sociali, economici, culturali e civili, a vivere con dignità, a restare attivi per molto tempo, superando così i pregiudizi e gli stereotipi legati all’età.
La promozione di una cultura a favore dell’invecchiamento attivo comporta quindi vantaggi al singolo, ma anche all’intera comunità, in quanto più persone vivono un buon invecchiamento, maggiore è il risparmio in termini economici per la collettività.
Cosa fare per i giovani?
Il primo problema che si evidenzia è la difficoltà dei giovani a rendersi indipendenti dalla famiglia di origine. E’ fondamentale perciò favorire un passaggio rapido tra la scuola ed il mondo del lavoro, facilitando un’occupazione di qualità, che permetta al giovane di sviluppare il proprio potenziale e di acquisire abilità e competenze, poi spendibili sul mercato del lavoro.
Contemporaneamente la politica deve rendere più efficienti gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia, in modo tale che i giovani ritornino a far figli e perché anche le donne, su cui finora è gravato l’onere della cura della famiglia e della casa, possano entrare nel mondo del lavoro, contribuendo con il loro potenziale all’incremento economico del paese. Le misure a favore delle famiglie perciò non devono essere viste in opposizione agli investimenti per il mondo del lavoro, in quanto i due ambiti sono interconnessi in una politica di sviluppo del paese.
Il Family Act, approvato in aprile dal Senato, può essere un passo importante in materia di famiglia e di conciliazione, ma dipende da come verranno realizzate le riforme.
Il ruolo degli immigrati in una prospettiva demografica
Se vogliamo ridurre gli squilibri demografici, dovuti al repentino invecchiamento della popolazione ed al crollo delle nascite, una politica a favore della ripresa della natalità però non comporta ricadute positive nell’immediato, visto che potrà dare i suoi frutti solo fra venti o trenta anni. Nel frattempo infatti molti esperti guardano favorevolmente ad una immigrazione regolare e ben inserita nel nostro contesto sociale. L’immigrazione infatti favorisce un ringiovanimento della popolazione, abbassando l’età media in Italia, e comporta un afflusso di persone nel pieno dell’età giovanile, quando si produce ricchezza e benessere.
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