Consegnare alla storia la sentenza capitale
Nel 2018, 121 stati membri dell’Onu hanno chiesto una moratoria sulle esecuzioni in vista della sua abolizione. Tuttavia, ancora oggi la pena di morte esiste, persino per reati di droga.
Tra le migliori notizie per i diritti umani del 2023 Amnesty International Italia Italia ha segnalato che in Zambia il presidente Hakainde Hichilema ha chiuso i bracci della morte, commutando in ergastolo la pena per 11 donne e 379 uomini.
Mentre si festeggia un paese che abolisce la pena capitale, se ne contano ancora tanti, troppi, che la applicano addirittura per reati di droga. Nel mondo, sono 36 gli stati che prevedono la pena di morte per reati legati a spaccio e consumo di sostanze stupefacenti.
Tra il 2018 e il 2022 Amnesty International ha registrato oltre 700 esecuzioni per reati di droga. Si tratta di un trend in crescita, considerando che nell’ultimo anno le condanne a morte sono state 325, oltre il doppio dell’anno precedente. Le tre nazioni che detengono il record più negativo sono l’Iran, al primo posto con il 78% delle esecuzioni, seguito dall’Arabia Saudita e da Singapore.
In Asia l’uso della pena capitale per i reati di droga avviene a seguito di processi ingiusti che non soddisfano gli standard procedurali. Per portare all’attenzione internazionale questa aberrazione, alla fine del 2023 Amnesty International ha lanciato una ‘postcard action‘: un’azione attraverso la quale ha invitato le persone in tutto il mondo a inviare una cartolina a Lee Hsien Loong, primo ministro di Singapore, per chiedere di porre fine alle esecuzioni e di abolire la pena di morte.
L’altro paese che vede Amnesty International in prima linea è lo Yemen, dove oltre 40 persone sono state condannate a morte, frustate o incarcerate da tribunali huthi per reati legati ad atteggiamenti omosessuali.
Difficile credere che ancora oggi si possa essere perseguitati e condannati per il proprio orientamento sessuale, reale o presunto, e la propria identità di genere. Ancora di più si fa fatica a pensare che questo possa essere un reato punibile con la morte. Eppure, ci sono paesi al mondo in cui si viene condannati alla pena capitale per molto meno. Ci sono posti in cui si rischia la vita per un messaggio Whatsapp.
Un semplice messaggio audio con una canzone piacevole e talmente orecchiabile da diventare subito virale, è passata di cellulare in cellulare fino ad arrivare alle orecchie sbagliate. Il cantante nigeriano Yahay Sharif Amin viene arrestato e condannato per blasfemia alla pena morte per impiccagione. È il febbraio 2020 e il testo dell’audio, che infiamma il paese, rende omaggio a un imam che l’autore dice di stimare più di Maometto. Un’iperbole, una licenza poetica, che però in un paese dove l’autorità è religiosa e il governatore applica la sharia, può costare la vita.
Grazie ad Amnesty International l’esecuzione di Yahay Sharif Amin è stata sospesa.
In Iran, lo stesso è accaduto al rapper Toomaj Salehi, colpevole di aver appoggiato con le sue canzoni le proteste del movimento “Donna Vita Libertà”.
Ma molto altro resta da fare quando ci sono paesi al mondo in cui si può morire anche solo per aver espresso un’opinione. O aver mostrato la propria identità. Proprio sulla situazione iraniana Amnesty International ha sollecitato una forte azione internazionale per interrompere l’orribile crescendo di esecuzioni all’indomani della rivolta “Donna Vita Libertà”. Nel 2023 le autorità religiose che guidano il paese hanno intensificato l’uso della pena di morte per seminare la paura nella popolazione e aggrapparsi al potere. Un incremento esponenziale: il numero delle esecuzioni registrato l’anno scorso è il più alto dal 2015, con un aumento del 48% rispetto al 2022 e del 172% rispetto al 2021. E il trend sanguinoso si mantiene purtroppo nel 2024, con un centinaio di condanne a morte già eseguite nel solo primo trimestre dell’anno.
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