Ageismo: che roba è?
Ageismo è una brutta parola, primo perché malamente derivata non tradotta dall’inglese – fu coniata da Robert Neil Butler, psichiatra americano e direttore del National Institute of Aging – secondo perché gli ismi non sono mai una bella cosa. Butler diceva che ageismo è “a process of systematic stereotyping and discrimination against people because they are old, just as racism and sexism accomplish this for skin color and gender.” Ovvero, esattamente come il razzismo o il sessismo, l’ageismo è un processo che discrimina le persone in base a una caratteristica stereotipa, nel caso specifico l’età. E non solo nei confronti degli anziani. E’ un termine usato anche per definire la discriminazione dei ragazzi in base all’età. Quante volte non li si considera o li si considera privi di una serie di diritti di base che non toglieremmo a nessuno, salvo un animale domestico. La scuola è la prima struttura che fa dell’ageismo nei confronti dei giovani la sua cifra. Il pregiudizio è frutto di una mastodontica erronea generalizzazione, e quindi ce lo si può aspettare da una istituzione che per sua natura ha a che fare con una categoria, per quanto l’obiettivo sia e resti cancellarlo. Meno giustificabile nelle relazioni interpersonali e professionali. L’eterno gioco a sottopagare i giovani perché privi di esperienza e nello stesso tempo ignorare o invitare all’uscita i lavoratori senior fa parte di questo giro dell’oca dove ci perdiamo tutti. Quindi, la prima risposta è che sì, l’ageismo esiste anche da noi.
Ti diranno che sei vecchio
Quand’è che le persone diventano invisibili per l’età, nello specifico, matura? Negli USA dove si studia e si cataloga tutto, una ricerca di Mumsnet and Gransnet colloca quell’età per gli uomini intorno ai 64 anni ma per le donne molto prima, a 52 anni, e con un certo humor gli autori sostengono che in qualche modo questa cosa si può misurare con il tempo che ci vuole perché il cameriere in un bar si accorga di noi. Cosa vuol dire? Che non siamo – mi ci metto dentro perché da un po’ ho superato i 52 – non siamo più “rilevanti” per gli altri. Ci siamo ma facciamo un po’ tappezzeria. Un po’ come l’odore di soffritto per le scale.
L’ageismo lo è ancora di più se sei donna
Trovo molto interessante che per le donne l’invisibilità sia così anticipata ma non mi sorprende. Le donne devono vedersela anche con il pregiudizio sessuale che vuole che per esistere, agli occhi degli altri, bisogna essere desiderabili. Così le donne, appena smettono di essere “desiderabili sessualmente,” spariscono dalla circolazione. Nel senso che continuano a circolare ma sono, appunto, invisibili. E’ una cosa umiliante, specie per le fortunate che in altra epoca sono state carine e adesso si sentono trapassate dallo sguardo degli uomini che arriva direttamente a cosa c’è alle loro spalle.
Ayesha Walawalkar, chief strategy officer di MullenLowe, agenzia di pubblicità di Boston, in un articolo comparso su Campaignlive.co. uk, sostiene che anche la pubblicità non fa niente per migliorare la situazione, anzi. Tanto che negli annunci pubblicitari non c’è quasi mai un over 55 e se c’è non ne esce vincente, come se nella vita reale non ci fossero over che hanno qualcosa da dire. Come se dopo i 55 ci fosse un baratro infernale abitato solo da vecchi sbadati e incontinenti. Mai, credo mai, la pubblicità si è persa un’occasione di mercato con tanta leggerezza. Negli USA, come in Italia, sono gli over 55 ad avere i soldi in tasca: potere d’acquisto cui si accompagna potere politico, o dimentichiamo l’età della maggior parte dei governanti? Ma poi che vuol dire? Solo perché sono meno veloci con la tecnologia? Ma qualcuno ha idea che Steve Jobbs oggi avrebbe 66 anni, tanti quanti ne ha Bill Gates? E Elon Musk ne ha compiuti 50?
Il pregiudizio verso l’età forse c’è sempre stato, ma oggi è quantomeno anacronistico, oltre che ingiusto. Gli “anziani” di oggi, tutti gli over 65 per l’Istat, sono un gruppo di persone estremamente eterogeneo, che comprende chi è ancora attivo e senza di lui/lei l’azienda non andrebbe avanti o le famiglie non saprebbero a chi affidare i bambini.
Allo stesso tempo nella stessa categoria ci sono anziani molto anziani con inevitabili fragilità. Un’enorme generalizzazione che guarda allo stesso modo, quando lo fa, a persone diverse e a generazioni diverse, mettendo insieme chi ha ricostruito questo Paese dopo la guerra rimboccandosi le maniche con lo stesso spirito di sacrificio con il quale aveva vissuto i bombardamenti e chi, nato dopo, ha fatto la rivoluzione sessuale.
Generalizzare è un’operazione semplicistica e molto pericolosa. Quando poi risulta nella negazione del valore di un terzo del Paese che l’ha fatto quello che è, nel bene e nel male, è anche un’operazione economicamente suicida.
E voi cosa ne pensate’ C’è ageismo anche da noi? L’avete mai vissuto sulla vostra pelle?
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