Il Giappone sposta in là l'età della vecchiaia
C’è una città in Giappone la cui giunta ha deliberato che sul suo territorio non si definisce anziano nessuno prima dei 75 anni. Si chiama Nagano. Yamato, un sobborgo di Kyoto, ha preso la decisione di non considerare anziano nessuno fino agli 80 anni e sul ponte dell’autostrada c’è una scritta: “Benvenuti nella città dove i 70enni non sono chiamati anziani”.
Una decisione perfettamente plausibile. Secondo il white paper giapponese sull’anzianità la maggior parte delle persone tra i 65 e i 74 anni non hanno tratti da “anziano”. La velocità di andatura a piedi, per esempio, direbbe che i 60/70enni di oggi mediamente sono nello stesso stato di salute di chi aveva 10 anni meno solo una o due generazioni fa. Inoltre, la metà di chi ha tra i 65 e i 69 anni in Giappone lavora e così un terzo dei 70enni. Quindi non è poi così strano decidere che a 65/70 anni non si è vecchi.
In Italia come in Giappone?
A parte la profonda differenza di quote di partecipazione al lavoro degli over 65 (650.000 in tutto), la situazione da noi è piuttosto simile. Basti il fatto che già 3 anni fa la Società Italiana di Gerontologa e Geriatria aveva annunciato che da allora in poi avrebbe considerato anziane le persone over 75, anziché over 65 come è tuttora per categoria Istat.
“Per anziano si intende una persona la cui aspettativa di vita ulteriore sia intorno ai 10 anni” è stato dichiarato durante la riunione annuale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria a Roma. Se l’aspettativa media di vita oggi è di 83 anni, non sorprende che si considerino anziani gli over 75.
In realtà la vecchiaia è sempre meno definita dall’età e sempre più dalle condizioni fisiche, mentali, lavorative, economiche, familiari. La migliore qualità della vita, la prevenzione, il progresso medico scientifico e il miglioramento delle condizioni di lavoro hanno alzato significativamente lo standard di capacità fisica e cognitiva di chi varca la soglia dei 65 anni, producendo risultati di longevità finora inediti (divertitevi a vedere com’è cambiata l’aspettativa di vita negli ultimi 150 anni qui.
“Un 65enne di oggi ha la stessa forma fisica e cognitiva di un 40/45enne di 30 anni fa e un 75enne di oggi quella di una persona di 55 anni nel 1980” sostiene Nicolò Marchionni, Professore ordinario dell’Università di Firenze e direttore del dipartimento cardiotoracevascolare dell’Ospedale di Careggi. Ma se si arriva a 65 anni in condizioni che sarebbero state plausibili, fino a una generazione fa, a 55 anni e la longevità è cresciuta di 10 anni dal 1980 ad oggi, potremmo probabilmente fare anche noi come Nagano e spostare l’inizio della vecchiaia a 75 anni.
Meno anziani di quanto potremmo pensare
Di fatto se togliamo ai 14 milioni di over 65 le persone che si collocano tra i 65 e i 74 anni, rimangono 7 milioni di “anziani”. La situazione demografica del Paese risulterebbe più bilanciata e più vicina alla realtà.
Così non dovremmo parlare di quantità enorme di anziani rispetto alla popolazione, bilanciando meglio il livello bassissimo di nuovi nati; chi ha raggiunto l’età della pensione del 1980 capirà che non è poi tanto strano continuare a lavorare ancora per un po’, con l’eccezione comprensibile dei lavori usuranti) e le stesse aziende smetteranno di discriminare chi ha superato i 50. Così non ci sarà bisogno di spiegare agli uomini di marketing e ai pubblicitari che il mercato non si ferma a 50 anni.
La longevità insieme con le condizioni economiche e i cambiamenti sociali ha cambiato le fasi del ciclo di vita, creando una specie di adolescenza della senescenza, un’anticamera della vecchiaia che non ha niente di stantio.
Guardate qui dove arriva la vostra longevità e ridisegnate le fasi che ancora vi aspettano.
Photo by Metin Ozer on Unsplash
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