Il critico mascherato:Intervista a Valerio Massimo Visintin
Valerio io l’ho conosciuto. Sarà per la “maschera” che indossa sempre ma la mia prima impressione è stata un misto di stupore e reverenza. Occhiali, cappello e passamontagna nero per coprire il volto del critico gastronomico del Corriere della Sera che nessuno deve vedere. A completare l’outfit: guanti, giaccone in pelle, maglioncino e pantaloni ovviamente total black.
La prima domanda che ti viene è “Ma perché, Valerio, perché? D’inverno può anche essere utile ma d’estate perché apparire sempre e solo vestito così ormai da più di dieci anni, nelle occasioni pubbliche”? Lui, che con la maschera copre il volto durante i convegni, in Tv e in ogni occasione pubblica, mostra la sua faccia solo agli amici più stretti o quando deve sedersi al tavolo dei ristoranti per i quali scriverà la sua attenta recensione. Mi spiega questa sua curiosa decisione in modo semplice e assolutamente esaustivo.
Una maschera per essere equo
“Quando ho iniziato a fare questo lavoro ho pensato che sarebbe stato fondamentale poter vivere l’esperienza di un cliente qualunque. Se i ristoratori sapessero quale è il mio volto, secondo te mi tratterebbero allo stesso modo? Secondo me no. Non dico che lo facciano con cattiveria o per secondi fini ma se venisse un amico a cena tu non lo tratteresti cento volte meglio rispetto ad un perfetto estraneo? In secondo luogo io non voglio regali. Non voglio pagare meno o avere delle attenzioni in più. Il terzo motivo è che io non voglio diventare amico delle persone che devo giudicare. Sarebbe molto più difficile rimanere imparziali. Infine lo faccio per i miei lettori”.
Che lo legga una persona sul suo blog o mille sulle pagine del Corriere della Sera, Valerio vuole essere onesto “Un critico non deve solo sembrare onesto ma lo deve essere!”
Nel 2020 tutti abbiamo scoperto come può essere drammatica la perdita di uno dei nostri sensi che spesso sottovalutiamo: il gusto. Perdendo il gusto, direttamente collegato al naso e al cervello, perdiamo la possibilità di conoscere la realtà. L’esperienza pandemica ci ha segnati da vicino anche per quanto riguarda le nostre abitudini alimentari. Abbiamo scoperto quanto un pranzo o una cena non siano una cosa da poco ma un vero e proprio rito che cambia se si fa in solitudine, in famiglia o tra amici. Ci siamo messi in fila dal panettiere e a bassa voce abbiamo chiesto “È per caso rimasto del lievito di birra, se c’è te lo compro a qualsiasi cifra”. Se da una parte cucinare ci allontanava dalla noia quotidiana dall’altra riattivava i nostri sensi. Le pizze casalinghe sono fatte con le mani, dal forno usciva un profumo che invadeva casa e la nostra creazione era tutta da assaporare. Spesso ci siamo affidati al delivery che si è fatto sempre più sofisticato.
Un lavoro che è cambiato durante la pandemia
A questo proposito Valerio mi racconta “Durante la pandemia il mio lavoro è molto cambiato. Ho ordinato a casa i piatti dei ristoranti che prima provavo con gli amici. Non vado mai da solo nei ristoranti che devo giudicare perché un uomo seduto da solo al tavolo di un ristorante in Italia è inusuale e poi non potrei prendere troppe portate. Se vado con gli amici posso assaggiare anche quello che hanno ordinato loro e posso farmi un’idea più completa di quello che offre il menù del ristorante in questione. Durante il lockdown ho provato diverse volte l’esperienza del delivery ed è stato complicato dare un vero e proprio giudizio. Un ristorante lo valuti non solo per quello che mangi ma anche dall’ambiente, dal servizio, dalla carta dei vini. Posso dire che sono pochi i cibi (anche quelli preparati dai grandi chef) che si prestano per la consegna a casa. Sicuramente non si sbaglia se si ordinano: sushi, hamburger e pizza. Sono i cibi che “soffrono” meno”.
A coloro che stanno per aprire una nuova attività Valerio da alcuni consigli preziosi: “È importante dare una forte caratterizzazione alla propria immagine, non bisogna fare un’offerta generalista, è importante contenere i prezzi e crescere poco alla volta. Va valutata la zona della città in cui si da vita ad una nuova attività perché anche il lato del marciapiede potrebbe essere quello sbagliato. In era post covid mi sento di dire che di vitale importanza è il dehors”
Da Valerio io ho imparato due cose fondamentali: innanzitutto non è possibile dare un giudizio assoluto perché non esistono valori assoluti. Il cliente sceglie e valuta in base ai propri gusti ma anche alle proprie aspettative di spesa. Ognuno può decidere cosa è buono o non è buono per se stesso. Si deve certamente valutare la qualità dei prodotti ma anche il piatto finale e la sua esecuzione. Inoltre è fondamentale essere consapevoli che il gusto cambia con l’età perché ogni volta che assaggiamo qualcosa di nuovo, per valutarlo attingiamo alle nostre esperienze passate.
La storia di Visintin
Figlio di un padre giornalista Valerio si è avvicinato al mondo della cucina quasi per caso. Alla morte del padre trova dei taccuini che parlano di alcuni ristoranti Friulani, prende spunto da questi appunti per scrivere la sua prima recensione e da lì non smette più di scrivere. Oggi, in un mondo che cambia alla velocità della luce, lui tra food blogger e influencer, si trova a confrontarsi con un tipo di comunicazione che, a detta sua, è “molto più esibizione che sostanza”, un mondo in cui il lettore non riesce più a distinguere quelli che sono consigli pubblicitari dalla vera opinione del giornalista.
In Italia poi “Nel mondo della ristorazione c’è ancora tanto da fare, da migliorare. I ristoranti dovrebbero raccontare i prodotti del nostro ricchissimo territorio . Abbiamo un patrimonio enorme che spesso non viene valorizzato e i consumatori dovrebbero avere più etica e più coscienza”. Al termine della nostra chiacchiera chiedo “Valerio ma è vero che un critico a casa è sempre a dieta e non cucina mai?”. Lui mi risponde con tutta onestà “Non ho mai cucinato più di tanto e spesso l’ho fatto per conquistare le ragazze, considerando il fatto che da ventitré anni ho la stessa compagna … direi che è da ventitre anni che non cucino”.
E voi, cosa pensate: un critico gastronomico deve mostrarsi?
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