L'importanza delle radici nel libro di Elisa Ruotolo
Che cos’è l’amore? Ma esiste poi l’amore? Oppure è tutto come un vecchio filmino continuamente riavvolto, con fotogrammi spezzati e immagini annerite di cui però ci si ricorda che cosa celino?
È un qualche cosa da guardare lontano, senza lasciarsi sfiorare, fedeli a una preghiera agrodolce e primitiva che viene continuamente ripetuta. Non è per te, non è nulla. È “Quel luogo a me proibito” – il romanzo di Elisa Ruotolo edito da Feltrinelli -, un romanzo che si legge con una lentezza buona, un racconto devastante che trascina il lettore laddove la vita è più arcaica e forte e maledetta.
“Famiglia era questo: una messa in comune del privato, un difetto dell’autonomia, una continua chiamata in causa dell’altro, un sostenersi che diveniva peso. Più esattamente, una responsabilità reciproca a oltranza. Non ho mai desiderato una mia perché non c’era per noi un fuori a cui mescolarsi, esisteva solo un insieme in cui incancrenire sino alla fine, legati da una corda tanto spessa quanto disumana”.
È un Meridione elementare e senza tempo quello dove vive e cresce la protagonista senza nome della narrazione, oppressa da un ambiente famigliare in cui non esistono sentimenti o dolcezze ma solo l’implacabilità di un giudizio sociale sui cui pesano, naturalmente, anche le colpe degli avi, di quelle nonne troppo sbarazzine, di quei nonni impudenti nel portarsi a casa le amanti e a lasciarle davanti al focolaio come gatte inanimate. Un ambiente feroce, dove tutto è scandito da gesti implacabili e sempre uguali che portano allo sfinimento morale e fisico, accompagnato dall’idea di un futuro che non offre scampo e diventa una gabbia o, forse, un rifugio da accettare senza rivoluzioni.
Nel mezzo c’è il racconto della storia di una donna-bonsai, che si vede preclusa la possibilità di diventare albero “con i suoi fiori e i suoi frutti”, vittima di un’infanzia e di un’adolescenza rapaci e silenti, in cui l’inesperienza sentimentale del rapporto con gli uomini è una tara che sarà colmata dall’incontro con il misterioso – al suo sguardo – ma elementare Andrea che non solo la guiderà alla scoperta del suo corpo e dell’amore in età adulta ma finalmente le darà il coraggio di guardare dentro se stessa facendo fagotto della sua storia.
Vergogna e isolamento, desolazione e repressione, brutalità arcaica e mancanze segnano il ritmo di un libro in cui la sofferenza è qualcosa che viene da lontano per lordare il presente e la necessità è una sola, quella di scrollarsi di dosso il peso di ancestrali timori per gettarsi nella vita senza temere tutte le sue incognite.
“Un giorno mi sono ritrovata a incolonnare le cifre del mio vivere mentre gli altri tiravano la linea del bilancio”.
Elisa Ruotolo ha scritto un libro da divorare intensamente che dimostra come si possa sopravvivere ai vizi del passato, abbandonando la paura, lasciandosi andare, armonizzando quella dicotomia tra corpo e mente affinchè diventi la strada da seguire per la liberazione. Perché “non si può nascere ma si può morire innocenti” (Cristina Campo).
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