Misurazione dell'età biologica: gli orologi diagnostici
Con il supporto scientifico di SoLongevity
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Con test e punteggi, la scienza è in grado di dire quanti anni ha il nostro organismo, senza nemmeno guardarci in faccia
Se siete di quelli che si esaltano immaginandosi eterni ogni volta che qualcuno riesce a far ringiovanire un topo in laboratorio, forse quest’articolo non è per voi. Quello di cui si parla qui non ha niente di fantascientifico e non ci avvicina di un centimetro al concetto di superuomo. L’obiettivo non è vivere fino a 130 anni ma, più concretamente, vivere meglio gli anni che abbiamo. Come? Sganciando l’invecchiamento dalle patologie che normalmente lo accompagnano. E come? Applicando ciò che la scienza ha scoperto sulle cause e sugli effetti dell’invecchiamento biologico alla “clinica della longevità”.
Ma andiamo con ordine. In questo articolo parleremo di:
- biomarcatori dell’invecchiamento: 9+3
- segni dell’invecchiamento e orologi epigenetici
- diagnostica della longevità
Biomarcatori dell’invecchiamento: 9 + 3
L’invecchiamento, per l’organismo, è la perdita di efficacia nel gestire i processi di riparazione dei danni incidentali che avvengono a livello genetico, la diminuzione della funzionalità generale degli organi, la difficoltà di gestire lo stress fisico ed emotivo e di contrastare gli agenti patogeni esterni. Nel primo articolo di questa rubrica dedicata alla medicina della longevità abbiamo raccontato i 9 biomarker dell’invecchiamento individuati nel 2013 da un gruppo di ricerca guidato dal biologo cellulare Guido Kroemer: l’instabilità del genoma, l’accorciamento dei telomeri, le alterazioni epigenetiche, la perdita di proteine “sane”, le alterazioni dei meccanismi che permettono la corretta percezione del fabbisogno di nutrienti, le disfunzioni dei mitocondri, la senescenza cellulare, la perdita della capacità rigenerativa dei tessuti e l’alterazione della comunicazione tra le cellule.
Nel 2023 lo stesso gruppo di ricerca ha pubblicato un articolo sulla rivista scientifica Cell con il quale ne identifica altri 3:
- l’inflammaging, uno stato di infiammazione di bassa intensità ma costante collegato all’aumento delle citochine,
- la disattivazione della macroautofagia, la capacità delle cellule di eliminare proteine danneggiate o altri prodotti di scarto o addirittura interi organelli che non sono più in grado di svolgere le loro funzioni. Questa facoltà naturale del nostro organismo in altre epoche era garantita dal digiuno intermittente collegato all’incertezza alimentare: quando non c’è cibo il nostro corpo comincia a fare pulizia, “nutrendosi” degli scarti. Non è solo una questione igienica, l’accumulo di prodotti danneggiati all’interno della cellula è alla base dell’invecchiamento cellulare e dell’insorgenza di gravi malattie tipiche dell’età avanzata, come l’Alzheimer;
- la disbiosi o alterazione del microbiota intestinale, l’insieme dei microrganismi (funghi) che popolano l’intestino che ci aiuta a digerire e ad assorbire determinati nutrienti, ci protegge dalle infezioni ed ha in generale un ruolo importante nel controllo dei processi infiammatori. Con l’età la biodiversità del microbiota diminuisce, contribuendo all’insorgenza di moltissime patologie diverse fra cui l’obesità, il diabete di tipo 2, alcune patologie neurodegenerative e lo sviluppo di neoplasie.
“Segni” di invecchiamento e orologi biologici
In base a questa cultura dell’invecchiamento la scienza della longevità ha sviluppato sistemi di valutazione dell’età del nostro organismo, attraverso precise caratteristiche e specifici parametri clinici che per ciascun individuo indicano il livello di invecchiamento biologico: tante più le modificazioni che si riscontrano rispetto alla versione originale di noi, i segni dell’invecchiamento, tanto più alta l’età biologica.
L’invecchiamento ma anche la capacità di resistergli pur assecondando il calendario è legata in parte alla genetica, sia in senso statico (DNA) sia in senso dinamico (espressione dei geni, epigenetica), in parte, com’è noto, all’effetto degli stili di vita. Per esempio oggi sappiamo che esistono geni in grado di ridurre la propensione all’infiammazione, uno dei fattori responsabili del versante patologico dell’invecchiamento che spesso deriva da uno squilibrio tra facoltà pro infiammatorie e facoltà anti infiammatorie. Questi geni sono stati trovati nei centenari.
Sui processi epigenetici ha lavorato a lungo il biogerontologo Steve Hovarth che ha studiato un processo chiamato metilazione durante il quale alla catena del DNA, o meglio alle sue basi azotate, si aggrappano gruppi metili (parte di una molecola formata da due atomi di idrogeno legati ad un atomo di carbonio). L’aggiunta di questi gruppi metili al DNA ha l’effetto di silenziare l’espressione di alcuni geni.
Ma questo è bene o male?
Dipende, esistono geni buoni che è meglio non silenziare e geni cattivi che se lo meritano. In ogni caso, la metilazione (ipometilazione o ipermetilazione) del DNA, secondo Horvath, è largamente responsabile dell’invecchiamento biologico e delle patologie ad esso associate. Per fortuna è facilmente osservabile nell’analisi del DNA di un individuo. Grazie a questa proprietà è oggi utilizzata per misurare l’età biologica della persona.. Era infatti necessario identificare processi che servissero a definire l’invecchiamento generale dell’organismo: la metilazione è uno di questi, un processo strettamente correlato con l’età che riguarda tutti gli organi.
Ma altri test sono stati sviluppati per la stima dell’età biologica, come per esempio il BAS (Biological Age Score), un punteggio che indica l’età biologica basandosi su una serie di biomarkers i e i cambiamenti fisiologici che avvengono nei vari organi con l’età. Il risultato di questa analisi multifattoriale permette di classificare l’invecchiamento biologico dell’individuo tra normale (normal ager), accelerato (accelerated ager) o eccellente (super ager).
Un altro orologio biologico, scartando quelli poco attendibili o troppo sofisticati per essere utilizzati, è quello che utilizza la glicazione, un processo degenerativo strettamente legato all’infiammazione generale che si esprime quando una molecola di zucchero si lega a una molecola proteica, alterandone il funzionamento. Analizzando la presenza di questi zuccheri (glicani) sulle immunoglobuline (anticorpi), e correlando questo dato con i processi infiammatori in corso nell’organismo, è possibile definire l’età biologica dell’individuo.
Diagnostica della longevità
La “diagnostica della longevità” è a tutti gli effetti un campo della medicina di precisione che, utilizzando un insieme di tecnologie all’avanguardia, individua precise caratteristiche e specifici parametri clinici di ciascun individuo che ne esprimono il grado di invecchiamento biologico e la cosiddetta “riserva fisiologica”, il livello del serbatoio biologico che ne definisce il grado di invecchiamento biologico.
Gli studi condotti finora hanno mostrato che gli orologi biologici sono utili a predire i principali fattori di rischio dell’invecchiamento (come la pressione sanguigna, il colesterolo, la proteina c-reattiva) e dello sviluppo di malattie. La forza di queste misurazioni, il numero sintetico, è però anche il loro limite: ovvero non fornisce indicazioni su come intervenire per migliorare questo numero, questo indice consolidato e ringiovanire fisiologicamente, e non ci indica un rischio specifico ma solo un rischio generico. Occorre, infatti, integrare diversi marcatori per definire in modo esauriente lo stato di diversi processi fisiologici, fattori di rischio e di invecchiamento.
SoLongevity vi consiglia Age360, il percorso per la longevità
SoLongevity ha messo a punto Age360, un suo sistema multidimensionale di misurazione dell’età biologica, che si basa in gran parte sui processi epigenetici e che fornisce sia il dato sintetico, sia le componenti che lo costituiscono, con indicazioni sulle aree di miglioramento con interventi terapeutici e preventivi, e la possibilità di rallentare – o persino spostare indietro – le lancette dell’orologio biologico.
Age360 è un programma diagnostico e di intervento personalizzato che ha l’obiettivo di determinare lo stato di salute e i fattori di rischio, attraverso tecnologie diagnostiche sia convenzionali sia molto avanzate, frutto delle ricerche più recenti anche nell’ambito della genomica, per arrivare a definire i cosiddetti Physioage e Neuroage profile, indici dell’età biologica e cognitiva della persona.
La fase finale è l’analisia matrice: gli oltre 250 parametri raccolti nelle 2 fasi precedenti vengono convertiti in un punteggio e in una scala di intervento. Vengono così identificati i parametri chiave da controllare nel tempo per monitorare l’impatto dell’intervento terapeutico a distanza di tre-sei mesi.
Grazie a Age360 Program si arriva alla definizione di un programma di interventi altamente personalizzato: nutrizionale, di attività fisica e di “allenamento cognitivo”, coadiuvati da specifici supporti nutraceutici che mirano a riequilibrare lo stress ossidativo e a contrastare l’infiammazione. Il programma è pensato per adattarsi facilmente alle esigenze della vita quotidiana: dalla pianificazione dei pasti all’attività fisica.
Il programma Age360 è ora disponibile a Milano, dove Solongevity ha aperto il suo primo centro medico dedicato alla longevità, e presso la Longevity Clinic La Salette, a soli 30 km dal centro di Milano (e all’incrocio tra Monza, Bergamo e Lecco), un nuovo concetto di clinica applicata al tema della longevità e della medicina preventiva, che fonde un’ospitalità di alto livello alberghiero con un’elevata professionalità in ambito medico, il tutto in una struttura risalente al 1856 accuratamente ristrutturata e rinnovata dall’architetto Alessandro Agrati.
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Longevity Clinic La Salette. Per informazioni: https://solongevity.com/contattaci/
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