Il pensionamento ibrido per una forza lavoro in crisi
Secondo i dati 2021, sono in aumento del 13% i lavoratori-pensionati rispetto al 2020, fenomeno detto anche pensionamento ibrido. Naturalmente il 2020 è stato un anno molto particolare che aveva fatto segnare una contrazione del 6,5% rispetto al 2019 del cumulo reddito pensionistico + reddito da lavoro. Quindi il dato va probabilmente depurato del fattore crisi pandemica, ma resta in aumento. D’altronde così è anche in molti altri Paesi, in testa a tutti USA e UK.
Il trend per il futuro per il pensionamento ibrido
Nel nostro Paese partiamo da una base molto bassa di lavoratori tra i 55 e i 64 anni: 53,4% rispetto alla media europea di 61% e di Paesi come la Germania con 71.8%, Pasi Bassi con il 71.4% e Svezia con addirittura l’80.2% (Eurostat). Nel tempo questa particolarità tutta Italiana perderà dimensione con l’aumento dell’età pensionabile. I dati dell’Unione Europea dicono che più della metà degli over 65 in Germania, Svezia e Inghilterra producono reddito da lavoro indipendente. Che sia per necessità o per volontà, il lavoro si inoltrerà sempre più in profondità nella nuova longevità.
Secondo un’indagine BVA-Doxa, in Italia nel 2019 erano poco più di 2 milioni gli over 60 al lavoro, pari all’8.5% di tutti i lavoratori. Intervistati nell’indagine BVA-Doxa più della metà sostenevano di lavorare per scelta, anche se avrebbero potuto smettere. Interessanti le motivazioni: mantenere viva la voglia di imparare e di restare aggiornati (50%), guadagnare dimestichezza con la tecnologia (45%), creare un legame con i giovani e le diverse generazioni (41%). «Dal nostro osservatorio emerge come gli over 60 italiani siano carichi di desideri, ancor più che di bisogni, con voglia di futuro e di progettualità. E pronti a vivere con positività la contaminazione con le generazioni più giovani» affermava Vilma Scarpino, ceo di BVA Doxa. Di fatto, l’ingresso nell’età di vecchiaia delle generazioni dei Boomers e a seguito dei Millennials, porterà entro il 2030 la componente senior della forza lavoro europea, secondo le stime, a oltre il 75% e saranno lavoratori molti diversi dal cliché che ancora conserviamo sugli anziani, tecnologici e iperconnessi.
Molti osservatori sostengono che, come sta già succedendo in alcuni Paesi, i pensionati che mediamente raggiungono l’età di quiescenza in condizioni fisiche molto migliori rispetto al passato saranno più disponibili a integrare il proprio reddito pensionistico, prospetticamente sempre più basso, con un reddito da lavoro. Magari part-time, molto probabilmente autonomo.
La suddivisione per genere nel pensionamento ibrido
E’ quello che già risulta a Istat con riferimento ai lavoratori-pensionati italiani che hanno un’età media di 69 anni, in tre casi su quattro sono uomini, in due casi su tre vivono in regioni del Nord Italia e per l’86% sono lavoratori non dipendenti: 56% lavoratori autonomi, 25% liberi professionisti. Per il 41% svolgono una professione qualificata (una quota in diminuzione negli ultimi anni, ma pur sempre superiore alla media nazionale degli occupati con il 34.5%). Lo stesso accade per gli operai (34,3% qualificati tra i lavoratori-pensionati vs 23,2% tra i lavoratori totali). Sei di loro su dieci lavorano nel settore dei servizi, un terzo dei quali nel commercio, mentre il 16% è occupato in agricoltura.
La rivoluzione del lavoro imposta dalla crisi pandemica, con i lock-down e l’adozione a tappeto di lavoro in remoto, sebbene in parte rientrata, ha segnato un chiaro aumento della possibilità di lavorare da casa per persone che forse, per questioni di età, avrebbero cominciato a pensare al pensionamento. O per pensionati precoci, spesso figli dello shock pandemico, che adesso comprendono di poter e forse voler tornare destinare una parte del proprio tempo a una occupazione remunerata tanto più se può essere svolta da casa senza sobbarcarsi il peso dei trasferimenti e delle frequentazioni a stretto contatto con altri colleghi e/o potendola conciliare con carichi di cura all’interno del nucleo familiare, magari di un partner o genitore non autosufficiente. Allo stesso modo lo sdoganamento del lavoro da casa ha aperto le porte a molti lavoratori con disabilità per i quali “andare al lavoro” significava spesso un impegno fisico e psichico straordinario.
La situazione demografica del nostro Paese d’altronde fa pensare che la permanenza sul lavoro dei senior, insieme con più lavoro femminile e una più fattiva promozione del lavoro giovanile, attraverso formazione adeguata all’evoluzione del mercato del lavoro e un modo più efficace di incrociare a livello nazionale domanda e offerta di lavoro, saranno fattori imprescindibili della sostenibilità dell’economia nei prossimi decenni. Le stime danno infatti in diminuzione la popolazione in età lavorativa e in aumento gli anziani, più che in altri Paesi che pure condividono con noi la tendenza demografica all’invecchiamento. E già oggi il 45% della ricerca di lavoratori da parte delle imprese non è soddisfatta.
I dati demografici sulla forza lavoro europea dicono che entro il 2050 il numero di persone in età da lavoro (intesa in questo caso come 20-64) diminuirà di 49 milioni rispetto al 2015, 22 milioni in Russia e 20 milioni in Giappone, mentre crescerà negli USA e, ovviamente, triplicherà nell’Africa Sub-Sahariana, raggiungendo un numero di 1,3 miliardi di persone, pari al doppio di quella di tutte le nazioni ad alto reddito.
Per quanto l’automazione e l’intelligenza artificiale possano gradualmente ridurre le necessità di manodopera, restano infiniti ambiti nei quali l’apporto dell’uomo (e della donna) è insostituibile. A proposito delle differenze occupazionali di genere, l’Italia con il suo 50% di occupazione femminile è in linea con la media mondiale, ma non con i paesi più sviluppati. Portarla al 60%, secondo Laura Sabatini – Istat, porterebbe un aumento del 7% del Pil e, a livello mondiale, la parità di genere nel lavoro aumenterebbe il Pil globale di 5.800 miliardi di dollari (dati Commissione Europea).
Il cambiamento culturale necessario al pensionamento ibrido
Sarà necessario un cambio di mentalità da parte dei lavoratori, cui si chiede ci comprendere che la responsabilità del proprio benessere economico in vecchiaia pesa ora sulle loro spalle. E da parte delle aziende che fino ad oggi hanno cercato di liberarsene appena possibile dei lavoratori senior perché più costosi, salvo poi lamentarsi dell’emorragia di competenze. E, infine, da parte del Governo che dovrà fare di tutto per scoraggiare il pensionamento anticipato e, al contrario, incentivare il mantenimento di un’attività lavorativa più a lungo possibile. La demografia ha cambiato i parametri sui quali avevamo disegnato il nostro stato sociale e relativo modello economico. Dovremo adeguarli, con la volontà e l’impegno di tutti.
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